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Elisa e il suo finto rock

Bellissima voce, concerto "natalizio" tutto dolcezze e gentilezze quello della giovane cantante friulana: ma che c'entra con la passione, l'alterità del rock?

Del concerto di Elisa ho visto solo la seconda parte e l’ho vista in piedi dal corridoio d’entrata, ma posso dirvi che il chitarrista (quello a sinistra del palco) usava plettri da 0.46mm. I più morbidi, quelli che accarezzano le corde, specialmente di una chitarra acustica. E infatti lui quella chitarra, ancor più che suonarla, appunto l’accarezzava, quasi fosse una delicata amante. Effettivamente c’è chi l’amore lo fa così, tutto gentilezze, premure e delicatezze di superficie. Ma che c’entra questo col rock’n’roll?

La domanda potrebbe apparre incongrua, visto che Elisa sta al rock’n’roll come un tenero fior di loto sta ad una putrefatta serra di orchidee. Ma non siamo stati noi a tirare in campo la questione, quanto la musicista di Monfalcone, che ha inserito in repertorio "Hallelujah" di Leonard Cohen, "Redemption Song" di Bob Marley e "Femme fatale" dei Velvet Underground, che col rock’n’roll da spartire hanno ben più di qualcosa. Quello che voglio dire è che ognuno è legittimato a scegliere nell’immenso repertorio della musica del passato ciò che vuole, ciò che preferisce e ama di più e proporlo al pubblico senza timore di accattivante ruffianeria. Non è questo il punto, e poi mi piacerebbe proprio sapere quanti del giovanissimo pubblico presente conoscono il brano di Lou Reed cantato da Nico. Quindi non è un problema, si può fare.

La questione diventa tale quando appare incongruente il contesto in cui vengono portati certi brani e come in quel contesto vengono resi. Elisa è una brava ragazza, una giovane ventenne con una bellissima voce, mossa anche da un certo fuoco interiore (come per altro dimostrato dal documentario in dvd che tra breve uscirà allegato al suo ultimo cd "Lotus"). Dopo essersi ispirata a forme musicali del nostro tempo, tipo Björk, ed aver reso il suo omaggio/tributo al cantautorato femminile italiano (vedi "Almeno tu nell’universo"), in un’intervista ha detto di aver scoperto da poco "Blue" di Joni Mitchell e di esserne stata fortemente influenzata per la sua attuale impostazione musicale. Così, sotto l’influenza della, ritardataria, tendenza unplugged italiana degli ultimi tempi, vedi Ligabue e Carmen Consoli, ha proposto un concerto "natalizio", dove tutti, bravissimi, buonissimi e fermissimi su un palco-presepe, hanno eseguito il loro repertorio intimo, quasi fosse una cantata tra amici sotto l’albero illuminato dalle candeline.

E qui torna la domanda: cosa c’entra questo con il rock’n’roll? Con la passione, con la sua alterità alla società e al mondo tutto, con la trasgressione, la rabbia, le depressioni, le denunce, con i valori, i disvalori, le ambiguità, con le asprezze e dolcezze, le illusioni e le disillusioni, la profondità del sentire e condividere del rock’n’roll? Forse sbaglio, forse sono questi i tempi che viviamo oggi, ma la mia impressione è che il giovane pubblico che ha esaurito l’Auditorium, che ha anche ritmato i brani con le mani, che si è alzato in piedi all’ultimo bis e che alla fine ha pure ballato su "Positive Vibration", brano iniziale di "Babylon By Bus" di Bob Marley, gustosamente proposto dal tecnico audio per il commiato finale a luci accese in sala, questo pubblico insomma, sia andato al concerto di Elisa per divertirsi, per godersi uno, come tanti altri, dei beni di consumo che la nostra realtà ci propone. Una società, appunto, che ci offre "eventi" da vedere seduti in poltrona, cui assistere e accettati così, salvo poi chiederci un giorno: cosa ho vissuto? Quando ho vissuto?

Io non lo so, forse sono vecchio, ma non credo che preferire Bob Dylan, i primi Rolling Stones, i Velvet Underground, Neil Young, Iggy Pop, i Ramones, Prince, perfino DeGregori, ai No Doubt, ai Linkin Park, a Kylie Minogue, all’Articolo 31, sia un fatto di nostalgia, quanto di buon gusto. Così per me oggi, come sempre, l’intensità delle emozioni suscitate è il criterio più valido per giudicare la musica. In questo senso, ma senza cattiveria, suggerirei ad Elisa di ascoltare la recente versione di "Redemption Song" di Joe Strummer e di lasciar perdere per un po’ la sua, almeno fino a quando dalla sua cristallina voce non avrà avuto modo di tirare fuori una raucedine che dal raffinato commosso tributo la porti ad una devastante rinnovata compartecipazione.