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QT n. 20, 25 novembre 2006 Servizi

I vandali in casa

L’assalto ai centri storici del Trentino.

Salvatore Ferrari

Cinquant’anni fa Antonio Cederna (1921-1996) pubblicò il suo primo libro intitolato “I vandali in casa”, che raccoglieva gli articoli pubblicati sul settimanale Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, tra il 1949 e il ‘56. In quegli scritti il battagliero giornalista e archeologo, socio fondatore di Italia Nostra, denunciò gli sventramenti del centro storico di Roma, ma anche di Lucca; le distruzioni di varie chiese a Milano; le manomissioni diffuse del paesaggio.

Monclassico, casa Mocatti: rifacimento in stile tirolese.

Ma chi erano per Cederna i vandali all’opera nell’Italia della ricostruzione postbellica? “Proprietari e mercanti di terreni, speculatori di aree fabbricabili, imprese edilizie, società immobiliari industriali commerciali, privati affaristi chierici e laici, architetti e ingegneri senza dignità professionale, urbanisti sventratori, autorità statali e comunali impotenti o vendute” e altri ancora.

Cinquant’anni dopo la sezione trentina di Italia Nostra si è posta la stessa domanda di Cederna: nel Trentino di oggi sono ancora in circolazione i vandali? Per rispondere al quesito sono state compiute alcune indagini a campione sul territorio provinciale da parte di 12 qualificati relatori (ambientalisti, storici dell’arte, cittadini impegnati in comitati locali), profondi conoscitori delle realtà prese in esame, in quanto ci vivono o lavorano.

Monclassico, casa Mocatti: rifacimento in stile tirolese.

Le testimonianze sullo stato del patrimonio culturale e ambientale nella nostra provincia, esposte in due incontri pubblici a Trento (6 ottobre) e a Rovereto (10 novembre), hanno dimostrato come in questi anni siano continuate le operazioni di speculazione edilizia nelle città e nelle valli, le distruzioni del patrimonio architettonico, gli stravolgimenti urbanistici, lo sfruttamento delle risorse naturali, il consumo del territorio agricolo pregiato, la moltiplicazione di aree artigianali, la costruzione di impianti di risalita nelle aree protette, eccetera.

In questa sede mi soffermerò principalmente sulla situazione dei centri storici. Nelle aree urbane – da Trento a Rovereto, da Pergine alla piana tra Arco e Riva – accanto a significativi interventi di risanamento e recupero dei nuclei antichi si è assistito ad un’espansione disordinata, a macchia d’olio, dei quartieri moderni. Case, capannoni, centri commerciali, depositi di materiali edili, fabbrichette, distributori di benzina – sorti lungo i principali assi viari, ma anche nelle zone collinari e a ridosso dei corsi d’acqua – hanno stravolto il paesaggio, con risultati non molto diversi dal tanto deprecato sistema “sale e pepe” descritto dagli urbanisti per il caso veneto.

Molte volte gli interessi riconosciuti della collettività sono stati trascurati in favore di quelli di alcuni privati, ai quali, di fatto, è stata affidata la pianificazione dello sviluppo delle città. Nelle valli la proliferazione delle seconde case è continuata senza interruzioni fino all’entrata in vigore della legge Gilmozzi (2005), che non risolve però tutti i problemi e rischia di essere facilmente aggirata.

Tra l’altro, mentre si discuteva questo provvedimento, c’è stata la corsa alle concessioni edilizie e molti uffici tecnici comunali a tempo di record (pensiamo alle 127 licenze rilasciate a Ossana citate da Pinter in un’interrogazione) hanno rilasciato decine di autorizzazioni per alloggi e complessi residenziali a scopi turistici.

In molti paesi l’aggressione ai centri storici è sistematica. Invece di procedere con interventi di restauro e di risanamento conservativo, salvaguardando così il tessuto edilizio originario e con esso l’identità del borgo, si preferisce demolire e ricostruire ex-novo.

Pellizzano, masi di Claiano: prima.

Si perdono così per sempre, come è accaduto negli ultimi dieci anni in Val di Sole, edifici di notevole valore storico-artistico risalenti al XVI, XVII e XVIII secolo (casa Framba a Cogolo di Peio, casa Mocatti a Monclassico, casa Taddei a Croviana, casa Busetti a Fraviano di Vermiglio); importanti esempi dell’architettura tradizionale alpina, come i masi di Claiano presso Pellizzano, in molti casi lasciati cadere in rovina e poi ricostruiti dalle fondamenta, oppure singoli elementi architettonici e decorativi, quali bifore, portali, affreschi, iscrizioni.

Pellizzano, masi di Claiano: dopo.

Il disinteresse, l’ignoranza e l’opportunismo dei proprietari – in molti casi società immobiliari giunte da fuori regione, ma anche locali -, la scarsa sensibilità delle amministrazioni locali, il mancato controllo da parte degli uffici tecnici comunali, la scarsa incisività degli organi di tutela (Commissioni per la tutela del paesaggio, Soprintendenza per i beni architettonici) e il cinismo dei progettisti e delle imprese, contribuiscono a stravolgere irreparabilmente il volto dei centri antichi.

Queste operazioni sciagurate sono state facilitate dalle modifiche introdotte con la L.P. n. 10 del 2004, duramente contrastata dalle associazione ambientaliste. L’estensione della DIA (Dichiarazione d’Inizio Attività) anche alle opere di restauro, risanamento conservativo e demolizione d’immobili, sottratte all’esame preventivo delle Commissioni edilizie, sta provocando veri e propri disastri.

I tempi brevi concessi agli Uffici tecnici per verificare la regolarità delle richieste ha provocato di fatto la diffusa scelta di far scattare il silenzio-assenso senza fare la fatica di affrontare lo studio dei progetti come avveniva in precedenza. La responsabilità della regolarità degli atti viene lasciata al progettista, che deve dimostrare la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adotatti o approvati e ai regolamenti edilizi vigenti.

Due anni fa l’assessore Gilmozzi, in occasione della discussione in aula del d.d.l. 25 (omnibus), poi convertito nella L.P. 10/2004, aveva dichiarato che i tecnici comunali “dovranno muoversi sul territorio per verificare che poi ciò che viene dichiarato si realizzi effettivamente…uffici tecnici meno a rincorrere le autorizzazioni edilizie e più sul territorio a controllare”. Purtroppo allo snellimento delle procedure sbandierato dal legislatore provinciale non sempre ha corrisposto un aumento dei controlli sia preventivi in merito ai progetti presentati che durante l’esecuzione dei lavori.

Talvolta sono le stesse amministrazioni comunali a proporre progetti di arredi urbani o di “sistemazione” degli spazi pubblici con risultati negativi, quando non devastanti. Come è accaduto, per esempio, a Revò, in Val di Non, dove una “volgare piattaforma” di cemento arrmato, come l’ha definita Roberto Pancheri, poi rivestita di pietra, ha preso il posto dell’antica piazza Madonna. In questo caso “nessun parere preventivo né autorizzazione paesaggistica sono stati rilasciati dalla Commissione comprensoriale per la Tutela del Paesaggio ambientale di Cles in quanto, trattandosi di intervento in centro storico, la competenza è demandata al Comune”. Questa la risposta dell’assessore Grisenti al consigliere Marcello Carli, che chiedeva informazioni su un intervento che aveva del tutto “stravolto il tradizionale fascino della piazza”.

A San Cristoforo al lago, presso Pergine Valsugana, invece, la collina dove sorge la chiesetta romanica, nonostante fosse sottoposta a vincolo di tutela, è stata sfregiata nel versante nord dall’inserimento di un impianto di mineralizzazione a servizio dell’acquedotto, promosso dall’azienda municipalizzata A.M.E.A. Ora il manufatto appare fuori terra su tutto il fronte nord e l’ angolo nord-ovest sporge di circa 4 metri dal profilo naturale. Siamo in presenza di abuso edilizio?

A Lizzanella, frazione di Rovereto, invece, nei mesi scorsi, come denunciato da William Belli, alcuni spazi dell’ex-Filanda Bettini e in particolare l’edificio che il 15 ottobre 1822 aveva ospitato l’imperatore d’Austria e lo zar di Russia sono stati stravolti da pesanti manomissioni interne ed esterne. E pensare che una parte dell’importante complesso per la lavorazione della seta, fabbricato nel 1816 su progetto dell’ing. Valentino Gasperini, ma inglobando un filatoio ed altri edifici più antichi (sono stati ritrovati e per fortuna restaurati cicli affrescati della prima metà del ‘500), è stato acquistato dal Comune di Rovereto con l’ipotesi di farne la sede del Museo dell’archeologia industriale!

Anche il patrimonio edilizio montano non sembra godere di miglior fortuna. Basta ricordare il caso di Malga Albi, situata alle pendici del Monte Bondone.

La struttura, di notevole interesse storico e ambientale, perfettamente inserita nell’ambiente e del tutto funzionale all’allevamento bovino ed all’alpeggio, è stata completamente demolita la scorsa primavera per iniziativa dell’amministrazione comunale di Garniga Terme.

Al suo posto si può ammirare una struttura prefabbricata in legno destinata ad attività connesse all’agriturismo. Il progetto approvato nel 2002 parlava però di “lavori di ristrutturazione ed ampliamento”, non certo di demolizione del manufatto documentato già nel 1654!

Di fronte a questo quadro sconsolante, che dimostra il fallimento della gestione della materia urbanistica da parte dei comuni, è opportuno porsi qualche interrogativo. Il primo e il più urgente è questo: è saggio trasferire ai Comuni, tramite le Comunità di valle, anche la pianificazione urbanistica, come prevede la proposta di nuovo Piano Urbanistico Provinciale?