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“Non ignavi, non codardi vuol la patria i figli suoi”

Alcune osservazioni a margine di una lezione di ginnastica nel 2007.

Elena Tonezzer

Sono reduce da due esperienze: una fisica, proprio nel senso che fa sudare, l’altra intellettuale, ma non meno debilitante. Per motivi di lavoro mi sono occupata di una ricerca dedicata allo sport in Trentino nel passaggio dal XIX al XX secolo, al suo impiego politico, ‘irredentistico’, ma anche ai riflessi culturali intesi in senso lato.

Trento, 1913, corso femminile organizzato dall’Unione Ginnastica.

La ginnastica infatti nel corso del XIX secolo è stata una tra le modalità in cui si manifestò il mutato rapporto con il corpo. La ‘nascita’ o la ‘ri-scoperta’ del corpo equivalsero ad una riformulazione della sua immagine e rappresentazione culturale, tanto che le sue sorti vennero legate a quelle della società civile fino a diventare oggetto di continua opera di pedagogizzazione.

Per quanto mi riguarda direttamente, anche per non trasformarmi in una propaggine della scrivania, mi sono iscritta in palestra. Inevitabile che ad un certo punto i due aspetti cortocircuitassero nella mia testa. Così, mentre mi trovavo di giorno a studiare i teorici della ginnastica ottocentesca, i riflessi di questa pratica sull’emancipazione del corpo femminile, come e con quali attrezzi si praticava nelle palestre trentine cento anni fa, la sera mi trovavo con decine di altre donne a faticare come una dannata. Tra uno step e l’altro, mentre facevo GAC o TRIS, non potevo evitare di pensare cosa avrebbero detto i ginnasiarchi come Rodolfo Obermann o Emilio Baumann, ma anche il maestro di ginnastica del regio ginnasio liceo di Trento, Augusto Dante, che cercava di attirare le giovani della città nella palestra dell’Unione Ginnastica, convinto che in questo modo sarebbe migliorata la salute loro e soprattutto quella dei futuri figli, auspicabilmente maschi e abili.

Nel 1863 un insegnante delle scuole superiori di Rovereto scrisse nel Programma delle scuole di ginnastica che in “un tempo in cui l’ammucchiamento degli umori del corpo espone le giovani a grandi pericoli morali” sarebbe stato utile che fossero “assoggettate a regolari esercizi corporali” e ricordava che “la sola ginnastica offre il mezzo perfetto per sviluppare il loro corpo”. Venticinque anni più tardi, il regio ispettore Szuppan scrisse che l’educazione fisica delle ragazze era quasi più importante di quella dei maschi proprio perché l’avvenire della nazione voleva che le future madri fossero sane e robuste.

Alcuni caratteri si sono mantenuti, ad esempio la separazione tra la pratica maschile e quella femminile; non perché sia impedito da regolamenti ma perché è poco frequente che gli uomini si avventurino a sgambettare a suon di musica, di solito si cimentano soprattutto nelle sale macchina.

Articolo illustrato tratto da un numero di “Vita Trentina” del 1907.

La musica è dunque un primo elemento di differenza: mentre oggi ci carichiamo di energia a ritmo di canzoni a tutto volume, nel XIX secolo gli esercizi si eseguivano in un silenzio interrotto solo dallo scandire dei comandi del maestro. Proprio di comandi si trattava, perché la ginnastica era eseguita in maniera rigida e codificata fin nei dettagli e il legame con l’addestramento militare era molto stretto.

Anche oggi il movimento è di gruppo, e a seconda del tipo di ginnastica è più o meno legato a coreografie anche complesse, ma decisamente meno vincolato. Mi sono sempre spiegata l’uso della musica soltanto come stimolo per superare la fatica, finché non mi è capitato di essere presente ad una sua accidentale interruzione: il rumore improvviso dei nostri movimenti, il respiro ansimante, il battito non proprio sincronizzato dei piedi sul pavimento, mi ha fatto scattare un immediato imbarazzo. Per cosa? Per i nostri corpi. Allo stesso modo con cui nascondiamo la nostra fisicità con deodoranti, creme, profumi, la musica copre la fatica che il rumore della pratica ginnastica rende percepibile. E che evidentemente non disturbava le nostre bis e trisnonne.

Una cosa che sarebbe stata impensabile nella palestra in stile liberty che si ergeva in località Centa, erano gli specchi. Invece guardarsi, controllare la propria posizione, il proprio corpo – anche quello delle vicine – l’eventuale scarsa sincronicità rispetto all’insieme del gruppo, è un elemento importante della ginnastica contemporanea. Il senso della vista sembra essere consentito e anzi diventa ossessivo nei riflessi delle pareti di specchi che circondano la palestra che frequento.

L’abbigliamento fa parte di questo aspetto e di solito è molto variabile, a seconda del tipo di palestra, più o meno trendy, grande, dotata di servizi che facilitano la socialità, come bar o saune, e anche dello stile personale dell’insegnante.

Ho sempre constatato una stretta mimesi che si sviluppa dopo i primi incontri tra l’abbigliamento della/del maestra/o e quello dei frequentatori del corso, quasi che si perpetui anche in questo ambito la necessità di piacere all’insegnante, di omologarsi almeno nel vestiario, dato che è più difficile esserlo nella prestanza.

Le fotografie delle giovani iscritte ai corsi di ginnastica popolare dell’Unione Ginnastica invece ci mostrano file di ragazzine in divisa, tutte uguali, interscambiabili, piccole soldatine assoldate nella guerra per l’igiene e il progresso, contro la malattia e l’oscurantismo. Chi obbligherebbe oggi i suoi iscritti a vestire solo la maglietta della palestra?

Neppure alla scuola elementare le maestre impongono più il grembiule ai piccoli alunni...

Le considerazioni sul personalismo che si realizza e manifesta anche nell’abbigliamento che ognuno sceglie, porta a riflettere su quella che mi è sembrata la più importante differenza tra la ginnastica che si praticava nelle palestre del XIX secolo e quella odierna. Una distanza soprattutto motivazionale.

Nel loro insieme le diverse correnti teoriche che si svilupparono in Europa e che diedero vita ad altrettante scuole di ginnastica risentirono tutte del principio che l’educazione del corpo fosse indispensabile per il perfezionamento dell’individuo nella sua dimensione sociale e per il raggiungimento di forme più elevate di civilizzazione. Secondo questa prospettiva, l’addestramento del complesso fisiologico e biologico della persona serviva a migliorare il rendimento non solo fisico, ma anche economico, sociale e etico dell’intera società, nonché a servire meglio la patria. In questa fase i saggi ginnici continuavano a non avere un vero e proprio carattere competitivo, i concorsi assomigliavano più a delle esibizioni e dovevano servire a verificare il grado dell’addestramento, il controllo dei muscoli, la capacità di costruire coreografie composte da più ginnasti che staticamente andavano a formare delle figure. Caratteristico ad esempio era l’esercizio della ‘piramide’, un’esercitazione acrobatica che esprimeva lo spirito della partecipazione collettiva e corale proprio delle accademie ginnastiche.

La fiducia nella ginnastica come panacea per risolvere i mali fisici della popolazione, specialmente della più umile, aveva sicuramente dei riflessi di verità, perché la ginnastica assumeva il significato molto più ampio e generale di cura del corpo e di assunzione dei più moderni precetti della medicina dell’epoca, stretti dalla fiducia nella scienza e nel progresso.

Posso dire di essermi iscritta in palestra per questi motivi? Quello che mi spinge a pagare per fare fatica non è neanche lontanamente ascrivibile ad una motivazione di carattere sociale, sicuramente non è in funzione militare-procreativa, anche se l’obbligo ad essere sani, nella particolare accezione di sembrare giovani, è un imperativo della cultura occidentale contemporanea. Ciò che induce a frequentare le palestre è principalmente individuale ed edonistico: lo si fa per se stessi, certo per risultare anche più piacevoli agli altri, ma soprattutto per un senso di soddisfazione personale, per arrivare in forma alla ‘prova costume’, per aiutare ‘la naturale regolarità’, perché è vietato invecchiare.

In altre parole, mentre i soci dell’Associazione ginnastica di Rovereto, dell’Unione di Trento o della Benacense di Riva del Garda faticavano per la patria, ora al massimo lo facciamo per avere i glutei tonici.

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Commenti (2)

jimmie moglia

Gentile Elena,
Potrebbe per favore inviarmi l'origine della citazione nel titolo dell'articolo?
In rete ho trovato qualche riferimento a Dante ma nemmeno la concordanza piu'completa riporta, per esempio, l'aggettivo "ignavi".
Il Suo articolo r' peraltro interessante indipendentemente dall'origine del titolo
Grazie e cordiali saluti,
Jimmie Moglia
Portland Oregon

Alberto

Cara Elena, cosa avrebbereo detto i due grandi ginnasiarchi al cospetto del cosidetto fitness? Probabilmente si sarebbero messi a piangere avendo vista sprecata tutta la loro opera tesa a migliorare la salute e il benessere sociale e la loro volontà di formare degli uomini di carattere, forti e di elevate doti morali, per la costruzione di una società migliore, di un Italia migliore. Quello che succede nelle palestre oggi è sotto gli occhi di tutti... Viviamo in un mondo commerciale dove la cultura è ignorata e tutto quello che ci circonda sembra veramente non avere senso. La gente non si chiede più il perchè fa delle stupidaggini e questa mi sembra la cosa più grave. Ti ringrazio per la sensibilità ed intelligenza con la quale hai posto l'argomento. Grazie a nome di chi ama e crede nell'educazione fisica, quella vera, e si adopera ogni giorno per diffonderla nella popolazione. Alberto
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