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“Critical mass”: novità ma non troppo

Cento anni di biciclettate “politiche”.

Elena Tonezzer

Domenica 15 aprile si è svolto a Rovereto il primo "Critical mass", che ha riproposto una manifestazione nata negli Stati Uniti con l’intento di sollecitare l’attenzione dei politici e dell’opinione pubblica sul tema dell’ecologia e della necessità di diffondere l’uso della bicicletta.

Il giro in bicicletta è partito da Piazza delle Erbe, raggiunto il MART, ha intralciato la trafficata rotatoria di fronte alla stazione ferroviaria, per risalire poi verso il centro e giungere in piazza Podestà, dove il corteo si è fermato davanti al palazzo del comune, anche se nessuno si è affacciato a raccogliere le voci dei partecipanti. Imboccata via della Terra, le biciclette, circa 400!, sono tornate al punto di partenza, in piazza delle Erbe.

La manifestazione, salutata dalla stampa per il suo carattere di fresca novità, ha in realtà un sapore d’altri tempi, e il carattere espressamente politico di questa occasione spinge ad alcune riflessioni che lungi dal ridurne l’importanza la inscrivono nella lunga tradizione dell’uso della bicicletta come strumento di appropriazione politica del territorio. Una storia che ha espressioni importanti a partire dal Tour de France, corso per la prima volta nel 1903. Una delle tappe più significative dal punto di vista simbolico lambiva infatti i territori occupati dalla Germania dopo la battaglia di Sedan e assumeva un significato molto particolare: nel 1906 il passaggio nell’Alsazia Lorena, ripetuto fino al 1911 quando le autorità tedesche lo avrebbero vietato, aveva fornito l’occasione per una ri-appropriazione culturale di quelle zone, dove alcuni ciclisti pedalando cantavano la Marsigliese.

Cento anni fa il tema politico locale più caldo non era il traffico automobilistico e l’ecologia, ma la crescente tensione nazionale che contrapponeva i trentini all’amministrazione austriaca e in particolare alla numerose associazioni pantedesche che facevano opera di proselitismo nazionale tedesco.

La cifra della lotta per l’autonomia cambiò inesorabilmente nei primi anni del secolo scorso, spostandosi dalle aule consiliari e parlamentari a quelle dell’università e alle piazze, e il corpo stesso delle persone diventò sempre più centrale in manifestazioni nazionali filo-italiane.

Per opporsi a qualcuno o a qualcosa bisogna sapere prima chi si è, e il Giro dei confini ciclistici del Trentino corso nel 1908 appartiene alle tante manifestazioni in cui corpo, territorio e identità trovano una fusione efficace. Quasi cento anni prima del "Critical mass", la Federazione velocipedista del Trentino organizzò un tour in bicicletta che, come l’occasione roveretana, non aveva nessun carattere sportivo – non era competitivo – ma era un gesto squisitamente politico. In quel caso solo 7 corridori percorsero il giro nella sua interezza, anche se ogni giorno erano accompagnati dai gruppi locali dei velocipedisti federati (dalle cronache mai inferiori a venti) che li seguivano come in una processione. A differenza di quanto accaduto il 15 aprile 2007, quando nessuna figura istituzionale ha dato un ascolto ufficiale ai manifestanti, cento anni prima i ciclisti erano stati accolti in occasione dei pranzi e delle cena dai podestà dei paesi toccati.

Ma torniamo al passato, al Giro dei confini ciclistici del Trentino.

La prima parola, Giro, presuppone una circolarità, la compiutezza di una forma geometrica chiusa, che anche i nostri contemporanei si sono dati. Con una interessante differenza: una volta chiuso l’anello, la piazza delle Erbe da cui erano partiti è stata informalmente ribattezzata piazza delle Biciclette Festose. Un atto simbolico di appropriazione, come se la manifestazione abbia cambiato nei sentimenti dei partecipanti la realtà del territorio in cui si è svolta e meritasse un nuovo toponimo. Anche questo piccolo esempio ripropone una pratica molto diffusa nelle manifestazioni sportivo-nazionali di inizio secolo. Largo Carducci, a Trento, venne dedicato al poeta italiano in occasione della grande festa del Polisportivo del 1911, e sostituì per sempre il precedente nome che era largo del Macello Vecchio.

Nella cronaca del Giro del 1908 pubblicata sull’Alto Adige, si legge che uno dei corridori, di fronte all’accoglienza ricevuta a Cavalese, disse che "la gita era stata fatta unicamente per dimostrare che il Trentino non è un’utopia, ma bensì esiste e sa far rispettare il proprio diritto di esistere". Utopia nel senso di desiderio, ma anche etimologicamente di non-luogo a cui contrapporre un’entità geografica in grado addirittura non solo di esistere ma dotata di diritti da far rispettare.

Il Giro era ciclistico, non a piedi, non a cavallo, ma in bicicletta. A differenza dell’alpinismo, pratica più elitaria e già all’inizio del secolo radicata e con una sua tradizione alle spalle, il velocipedismo si caratterizzava come metafora di modernità. Con i treni e i transatlantici, la bicicletta si inseriva nel mito della velocità, contribuendo a cambiare la percezione del tempo e soprattutto delle distanze: la bicicletta accelerava di 4 volte la velocità del camminare, permettendo per la prima volta a moltissime persone di viaggiare individualmente e liberamente.

La copertura territoriale delle società trentine era notevole, soprattutto se si considera il cattivo stato delle strade, nonché la natura montusa del territorio. Nel 1912 la strenna della Federazione velocipedistica dichiarava 1.000 soci, non concentrati nei centri maggiori ma distribuiti anche nelle vallate.

Il Giro era ciclistico e del Trentino: un termine, Trentino, per nulla scontato in quell’epoca.

Cartolina ricordo del Veloce Club trentino (1907).

Del tutto inutilizzato dalle autorità imperiali, ma ampiamente dotato di senso antropogeografico da Cesare Battisti nel suo celeberrimo saggio del 1898, venne fatto proprio anche dal quotidiano cattolico diretto da Alcide De Gasperi, che lo assunse come titolo il 27 marzo del 1906, suscitando notevoli polemiche tra chi oltre Brennero sostenne addirittura che "Es gibt kein Trentino" (non c’è nessun Trentino), come recitava il titolo di un opuscolo edito a Vienna nello stesso anno.

Poi la parola confini: il confine fornisce uno straordinario principio di rafforzamento della realtà, contribuendo a rendere unitario, per il solo effetto di esistere, quello che esso circoscrive e abbraccia.

Confini e non frontiera: due termini non sinonimi e con distinte implicazioni dato che la frontiera è qualcosa in continua evoluzione, si pensi al Far West, mentre stabilire un confine significa fondare uno spazio che impone con l’evidenza dei suoi segni (anche delle tracce delle biciclette) il suo essere uno spazio chiuso, risponde ad una domanda di sicurezza che la frontiera non assicura.

Ma torniamo al Giro, che durò 5 giorni e coprì circa 449 km. Il 1° giorno prevedeva: Rovereto, Riva, molina, bezzecca, tione; il 2° giorno: tione, spiazzo, campiglio, malè, mostizzolo, cavareno; il 3°: cavareno, dermulo, mezzolombardo, lavis, cembra, grumo, cavalese; il 4°: cavalese, predazzo, primiero; infine il 5°: primiero, dogane, fonzaso, primolano, borgo, levico, e il ritorno a Trento.

Le cronache che seguono nel dettaglio lo svolgersi della manifestazione hanno il tono trionfale dei fiori gettati dai balconi, dei discorsi e delle festose accoglienze. Si tratta di un piccolo Trentino, quello segnato da questo confine, più che altro è una rappresentazione simbolica (basti pensare a Bezzecca e alle memorie garibaldine), in cui la precisione conta meno delle esigenze politiche che gli organizzatori volevano sottolineare.

Del resto anche il "Critical mass" ha soprattutto toccato luoghi simbolici, la piazza antica, la piazza nuova del MART – contestato per l’inno all’automobile che la mostra "Mitomacchina" ha cantato – l’azione di disturbo del traffico automobilistico lungo corso Rosmini e soprattutto l’invocazione di un’apertura di dialogo da parte delle autorità comunali.

Sono mutate le richieste e i temi, ma la bicicletta rimane un grande mezzo di trasporto che non perde con il tempo la sua capacità di veicolo anche della comunicazione politica per la capacità di legare le persone al proprio territorio. Nel 1973, in piena crisi petrolifera, il filosofo e storico Ivan Illich scriveva nel suo "Elogio della bicicletta", che "essa permette alla gente di creare un nuovo rapporto tra il proprio spazio e il proprio tempo, tra il proprio territorio e le pulsazioni del proprio essere, senza distruggere l’equilibrio ereditario".