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QT n. 10, 19 maggio 2007 Cover story

Famiglie cooperative contro Sait?

I negozi cooperativi chiudono in rosso il 2006: i nuovi consumi delle famiglie, le politiche di mercato “aggressive”, le difficoltà dei piccoli punti vendita. Ma anche il dubbio che il consorzio di tutti, il Sait, non sia all’altezza, che giochi in proprio, dettando legge al movimento per poi riversare sulle coop le proprie diseconomie. Storia di una contestazione rientrata, per il desiderio di non rompere un grande e prezioso meccanismo. Ma se non ci sarà rinnovamento...

Forse in tanti hanno solo una vaga informazione su cosa siano il Sait o le Famiglie Cooperative; di sicuro però tutti, in Trentino, con queste realtà hanno a che fare (letteralmente) i conti, quando vanno a fare la spesa, dai SuperStore delle città ai minuscoli punti vendita dei paesini di montagna. Un sistema articolato e ben oliato, caratteristico del Trentino, che permette – in simbiosi e produttiva concorrenza con i privati – di offrire un servizio ramificato su tutto il territorio. La notizia di questi giorni è che questo sistema arranca; e che al suo interno c’è chi si interroga sulla sua validità, se continuerà ad essere gestito nei termini attuali.

Tabella 1
annovenditeincrementoinflazionedifferenza netta
1997199.0006,56%1,7%4,86%
1998209.0004,88%1,8%3,08%
1999214.0002,92%1,6%1,32%
2000228.0006,01%2,6%3,41%
2001245.0007,42%2,7%4,72%
2002260.0006,56%2,4%4,16%
2003281.0008,26%2,5%5,76%
2004282.0000,57%2%-1,43%
2005284.7741,39%1,9%-0,51%
2006291.2972,29%1,7%0,59%
Tabella 2. DATI FATTURATO SAIT E IPERMERCATI
TipoFatturato 2006Fatturato 2005Variazioni
Sait dettaglio alimentare40.94538.254+ 7.03%
Superstore Trento33.39730.917+ 8.02%
Millenium Rovereto21.04718.815+ 11.86%
Tabella 3. FAMIGLIE COOPERATIVE
differenza risultati 2007/2002
Margine lordo9,82%
Spese17,12%
Risultato netto-7,30%
Tabella 4. Risultato operativo netto (RON) per classi di fatturato
n. coopScaglioni di attivitàM. lordoSpeseR.O.N.
12fino a € 500.00024,9926,67-1,68
23da € 500.001 a 1.500.00024,8525,27-0,42
19da € 1.500.001 a 3.000.00025,2425,5-0,26
11da € 3.000.001 a 5.000.00023,7924,4-0,61
13da € 5.000.001 a 10.000.00023,8624,15-0,29
5oltre € 10.000.00124,6523,770,88

Tabella 1 e 3: l’andamento delle vendite e delle spese (e il peggioramento dei conti) negli ultimi anni dell’insieme dei negozi cooperativi. Tabella 2: il fatturato dei negozi Sait. Tabella 4: i risultati economici analizzati in funzione della grandezza delle coop (della serie: piccolo è brutto).

I dati del 2006 sono infatti più che un campanello di allarme: la maggioranza delle famiglie cooperative ha chiuso i conti in rosso, il sistema nel suo complesso ha perso 100.000 euro. Dato non allarmante in sé, ma che va visto all’interno di una inequivocabile e finora inarrestabile tendenza al peggioramento: cinque anni fa il sistema produceva utili per 5 milioni di euro, ma da allora, ogni anno, ha lasciato per strada un milione, fino ad arrivare all’attuale perdita. La dinamica è evidenziata dalla tabella 1: negli ultimi anni il valore delle vendite è aumentato di meno del 10%, e le spese di oltre il 17%. Una differenza di più di sette punti, che ha portato al rosso bilanci prima floridi.

In questa situazione è logica la domanda: perché? Ed è logico che sia iniziata la caccia alle responsabilità.

La prima risposta, è stata automatica. Il sistema paga proprio le sue caratteristiche più apprezzate: la ramificazione sul territorio, l’ostinarsi a fornire un presidio sociale in località sperdute. Nella risposta ci sono elementi di indubbia verità. Un punto vendita piccolo ha costi maggiori: se in un ipermercato la forza lavoro incide per il 10%, in un negozietto supera il 20%. E poi gli scarti: ogni giorno il reparto salumeria taglia e getta la prima fetta di ogni insaccato; se ne vende 100 fette, lo scarto è dell’1%, ma se ne vende dieci è del 10%; e ancor maggiore è l’incidenza degli scarti nell’ortofrutta. Tutto questo in una situazione in cui la mobilità è generalizzata e il cliente va al megastore, viene ammaliato dall’ampiezza della scelta in chilometri di scaffali, e poi, al negozietto di paese si ritrova con pochi articoli e più cari. Di qui la disaffezione.

E i dati parlano chiaro: delle famiglie cooperative, quelle più piccole (tabella 3) sono le più in difficoltà, le uniche in attivo sono le più grandi.

Eppure il discorso, pur vero in sé, non convince, anzi, sinceramente, sembra una risposta da catechismo cooperativo. I problemi dei piccoli erano gli stessi anche cinque anni fa, quando i conti tornavano. E nel frattempo la situazione è, semmai, migliorata: il processo di fusioni tra famiglie cooperative dovrebbe aver portato alla razionalizzazione di una serie di costi. E allora?

E un problema di tutto il consumo alimentare" ci dice il presidente di una famiglia cooperativa. "La domanda di consumi delle famiglie è debole" conferma la relazione del presidente del Sait Giorgio Fiorini. In questi anni si è registrata una variazione nei bilanci famigliari: le spese in nuove tecnologie hanno ridefinito la ripartizione delle voci di spesa, per cui "se una famiglia deve pagare il cellulare ai figli, risparmia facendo a meno degli ammorbidenti" ci esemplifica Marcello Poli, dei concorrenti Supermercati Poli, privati ma che si trovano a fronteggiare gli stessi problemi. E il credito al consumo ha uccellato gli allocchi (e notoriamente non sono pochi) che si trovano impiccati a far fronte alle rate del Suv, e finiscono con il risparmiare sugli alimentari.

A questa situazione la grande distribuzione, privata o cooperativa, ha risposto "con politiche di prezzi aggressive" – dice Fiorini – cioè con promozioni in serie, vendite sottocosto o addirittura articoli dati gratis (o meglio, pagati, ma ricevendone in cambio un buono da scontarsi alla prossima spesa). Questo ha permesso ai fatturati di reggere (fino a un certo punto, vedi tab. 1), ma la redditività è stata messa a dura prova, perché la merce venduta sottocosto, al fornitore bisogna pur pagarla.

E’ stato in questo quadro che i nodi sono venuti al pettine e nel mondo cooperativo sono sorti i dubbi prima, le polemiche poi.

Il fatto è che le cooperative al consumo formano un insieme articolato, dicevamo, ma anche complesso. Un piccolo gioiello istituzionale. Infatti le varie famiglie cooperative (di cui soci sono i cittadini di una località) si consorziano in una cosiddetta cooperativa di secondo livello – il Sait, cooperativa i cui soci sono altre coop – la cui funzione è centralizzare tutta una serie di compiti, a cominciare dagli acquisti. Con questa architettura (caratteristica della cooperazione trentina, che la replica negli altri settori, a iniziare dal vinicolo con la Cavit che commercializza i vini delle Cantine Sociali, e dal bancario, con la Cassa Centrale che fornisce servizi alle Casse Rurali) si combinano i pregi del piccolo e del grande: l’aderenza al territorio della singola Famiglia Cooperativa e la possibilità di poter giocare sui grandi numeri nei rapporti con i fornitori attraverso il Sait.

In questo schema però il momento decisionale si sposta, le strategie di mercato non le decide più la singola cooperativa, bensì il Sait. Che per di più, come vedremo, gioca anche in proprio.

Di qui le contestazioni, che hanno preso lo spunto da un dato imbarazzante: i soldi dei "premi", che il Sait tiene per sé. I grandi fornitori a fine anno danno consistenti "premi" ai loro clienti: così, se il Sait compera dalla Barilla alcuni vagoni di pasta, a fine anno riceve un cospicuo compenso. "Che però si incamera lui, mentre la pasta l’hanno venduta le famiglie cooperative" afferma uno dei contestatori, Mauro Cominotti, presidente della Cooperativa di Pinzolo, la più grande del Trentino.

Il dato non è di poco conto: si tratta di 34 milioni su 250 di bilancio complessivo: dei quali alle coop, sotto forma di ristorni, arrivano solo le briciole. E la cosa brucia, anche perché, in parallelo, la DAO (consorzio che rifornisce i negozi Conad) ristorna il 9% del bilancio complessivo.

"Grazie alle sinergie con il colosso Coop Italia, Sait acquista le merci ai prezzi più bassi: ma poi il vantaggio si perde per strada. A questo punto ci chiediamo: non è che paghiamo noi le diseconomie del Sait? Il quale, oltre a rifornirci, fa altre attività: ha i suoi negozi Sait, il Millennium, il Big Center, investe 5 milioni per aprire ad Agordo, 50 milioni per un nuovo magazzino. Queste attività, sono in pareggio? Noi non abbiamo chiarezza".

Quello che serpeggia è un grosso dubbio: che il Sait abbia problemi suoi, con un apparato ipertrofico ed attività proprie dalla dubbia redditività, e che li scarichi sulle famiglie cooperative.

Il tutto sintetizzato in uno slogan: "E’ il Sait strumento delle Famiglie Cooperative, o le coop strumento del Sait?"

Si finisce così con l’investire il problema chiave della cooperazione odierna: la democrazia interna. Al di là delle teorie e delle chiacchiere, i soci di una cooperativa si trovano in realtà ad avere pochi strumenti per incidere sulle scelte, tutte in mano a tecnici ed amministratori; e analogamente, i soci del Sait, cioè le famiglie cooperative, si trovano a contare poco nel consorzio: "Sono nella Commissione Marketing del Sait, che dovrebbe svilupparne le linee strategiche – ci dice Cominotti – Ma le direttive arrivano già preconfezionate dai vertici Sait, i margini per discuterle sono ridottissimi".

Giorgio Fiorini, presidente del Sait.

Siamo alla solita divaricazione socio\manager (vedi Cooperative: il nodo del potere, su QT n° 13 del 2005). Una divaricazione che nel Sait è accentuata dalla presenza di un presidente forte e inamovibile, Giorgio Fiorini,

E’ questa una delle caratteristiche più discutibili della cooperazione trentina, il formarsi di un gruppo dirigenziale ristretto e chiuso: Fiorini è presidente da 15 anni e corre per un altro reincarico. Contemporaneamente è presente in millanta cda di altri organismi cooperativi. E’ sano un organismo incapace di rinnovarsi? Che cumula cariche – e potere – in pochissime persone? "Io Fiorini me lo trovo sempre di fronte – si sfoga Cominotti – Quando devo acquistare le merci, quando vado in Federazione, tra poco quando devo accedere a un mutuo. Questo si tramuta nell’egemonia di una persona".

Ora in effetti Giorgio Fiorini ha grossi meriti storici. In particolare quello di aver risollevato il Sait da una situazione prefallimentare, e di aver portato la cooperazione trentina ad un non facile accordo, di vitale importanza strategica, con Coop Italia. Ma 15 anni sono 15 anni; se il settore ora arranca, non è il caso di pensare ad un rinnovamento, anche di uomini?

Con queste premesse, si è svolta nei gironi scorsi l’assemblea di settore: molto affollata, presenti 75 cooperative su 87, un dato inusuale, ad indicare la preoccupazione per una situazione che inizia ad essere difficile. La contestazione è in pratica rientrata, convinta a più miti consigli dalle promesse di Fiorini e dalle belle parole del gran capo della Cooperazione, Diego Schelfi.

Diego Schelfi, presidente della Federazione dei consorzi cooperativi.

"Il Sait è una risorsa da ricalibrare, non è il problema" ci dice Luciano Maistri, presidente della Cooperativa di Aldeno e nel cda della Federazione.

"Noi ‘contestatori’ siamo usciti soddisfatti – ci dice Mario Ventura, presidente della Cooperativa Val di Fiemme, anch’egli nel cda della Federazione - di fronte all’impegno del Sait di mettersi attorno a un tavolo ed analizzare i punti di criticità".

Beh, è il minimo... In fondo i padroni del Sait non è Fiorini, siete voi.

"All’inizio sembrava il contrario, che problemi non ce ne fossero proprio. Ora ci sarà tempo e modo per discutere e delle strategie, e dei ristorni (secondo me sempre troppo bassi). In particolare la conclusione di Schelfi, che si è impegnato per evitare una spaccatura, è stata molto positiva".

La montagna ha partorito il topolino? Forse una lettura così aspra (che pure c’è stata in alcuni cooperatori) è ingenerosa. Come abbiamo visto, il mondo cooperativo è costruito attorno ad istituzioni collaudate da lustri, ma complesse, in cui si annidano sì poteri invasivi, ma sono globalmente funzionali, e sanno confrontarsi con il mercato e, con qualche caduta, con le tematiche mutualistiche.

In questo quadro è comprensibile il timore di rompere un giocattolo utile e complesso. E quindi si capisce come la ricerca della mediazione sia talora vista come risultato positivo, mentre dovrebbe essere un mero metodo di lavoro.

I problemi però restano sul tappeto. Vedremo se si saprà affrontarli nel merito. E se il presidentissimo Schelfi, bravissimo nei discorsi, saprà farsi carico, nel settore del consumo come negli altri, dell’indispensabile opera di rinnovamento.