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QT n. 2, 26 gennaio 2008 Cover story

L’inceneritore è inevitabile?

In queste settimane di emergenza napoletana, una sequela di analisi, imprecise o addirittura strampalate, ha annegato il pubblico in un mare di disinformazione sulla questione-rifiuti. Proviamo a fare un po’ di chiarezza, con un'intervista-dibattito sull'alternativa raccolta differenziata/inceneritore tra due tecnici (teoricamente) su fronti opposti.

La raccolta differenziata serve per far funzionare meglio il termovalorizzatore. Buona questa! Peccato che chi l’ha detta non pensava di fare una battuta. Il sottoscritto ricorda di averla sentita pronunciare con estrema serietà dagli affermati giornalisti Luca Floris e Aldo Forbice, durante le loro seguitissime trasmissioni in onda su RaiDue e RadioUno.

L’emergenza-rifiuti di Napoli, in queste settimane, ha consentito a politici e, cosa ancor più grave, a giornalisti di tutte le taglie e di tutti i colori di improvvisarsi esperti della gestione dei rifiuti, senza avere le conoscenze minime necessarie anche solo a dichiararsi informati sulla materia, e di scatenarsi conseguentemente in una sequela di analisi più o meno imprecise quando non addirittura strampalate, annegando il pubblico in un mare di disinformazione maleodorante (in tutti i sensi).

Foto di Marco Parisi.

Dalla nuvola di nebbia alzata dagli operatori dell’informazione, l’unico elemento che è riuscito a svettare senza farsene avvolgere è stato il camino dell’inceneritore. Anzi, termovalorizzatore, come in questi giorni lo hanno sempre definito, con instancabile sistematicità, coloro che si sono prodigati a presentarlo come il deus ex machina, o, potremmo dire, la machina ex deo: la macchina della Provvidenza, quella che salverà tutti noi dalla montagna di rifiuti sotto la quale saremmo altrimenti condannati a soffocare.

In estrema sintesi: i rifiuti o li si porta in discarica o li si brucia. E siccome le discariche si esauriscono, e bruciarli produce energia oltre che farli sparire (quasi una magia!), allora è chiaro che debba essere quella dell’incenerimento la strada da percorrere per forza di cose, superando finalmente le ottuse resistenze dei radicali dell’ambientalismo e dell’allarmismo sanitario.

Peccato che le cose non siano così semplici come sembrano ascoltando questa semplicistica ricetta confezionata in quattro e quattr’otto dai fan del camino.

Anche qui da noi in Trentino, dove è prevista da tempo la costruzione di un inceneritore, l’emergenza-rifiuti di Napoli ha dato nuovo fiato alle trombe della "termovalorizzazione". Per fare un minimo di chiarezza in merito, abbiamo deciso di intervistare insieme Paolo Mayr di Italia Nostra e Nicola Salvati, consigliere comunale di Trento Democratica, i quali, in materia, la pensano sì diversamente, ma hanno in comune le competenze e la preparazione necessarie per discutere della questione senza cadere vittime del semplicismo.

Partiamo da una domanda molto semplice: perché, e ci rivolgiamo a Mayr, sarebbe necessario dire no all’incenerimento dei rifiuti? E perché, e ci rivolgiamo a Salvati, sarebbe invece necessario dire sì?

"E’ dimostrato da esperienze già realizzate – ci risponde Mayr – che la raccolta differenziata, ove praticata con convinzione e con efficacia gestionale, può arrivare a percentuali molto elevate, attorno al 75% almeno. Se anche in Trentino, grazie a una politica di differenziata spinta, si raggiungesse una tale percentuale – e ci sono tutti i presupposti per ritenere che ci si possa arrivare andando anche oltre – si produrrebbe assai meno delle 100.000 tonnellate l’anno necessarie a far funzionare l’inceneritore di Ischia Podetti, che, quindi, con meno rifiuti da bruciare, diventerebbe antieconomico.

Gli ingegneri Paolo Mayr (a sinistra) e Nicola Salvati.

Io boccio l’incenerimento soprattutto perché il suo bilancio energetico, e quindi ambientale, è negativo. Si dice sempre che l’inceneritore è un’ottima soluzione al problema dei rifiuti perché, per giunta, permette di produrre energia, mentre la discarica no. Ma quando si fa questo ragionamento si bara: il confronto non va fatto con la discarica, ma con il riciclo dei materiali. Incenerire una tonnellata di rifiuti urbani porta al recupero di circa 1,2 milioni di kilocalorie, riciclarla 4,2: ovvero, quasi quattro volte di più".

"Quello che dice Mayr sul vantaggio energetico del riciclo è verissimo – interviene Salvati – ma non possiamo dimenticare che, anche dopo una buona raccolta differenziata, resterà sempre una percentuale non bassa di rifiuto secco residuo, attorno al 25-30%. Infatti, se è vero che è piuttosto facile arrivare attorno al 70%, anche 75% di differenziata, è altrettanto vero che poi diventa molto difficile andare oltre tale percentuale, per ragioni sia economiche che gestionali. Di quel 25-30% di materiale indifferenziato che rimane bisogna fare qualcosa, e non si può certo continuare a utilizzare il metodo arcaico della discarica".

Mayr, cosa risponde a questa osservazione? Vuole davvero che si continui a usare la discarica per gestire il residuo secco indifferenziato?

"Ovviamente no. La soluzione che indico è già praticata con successo in diverse parti del mondo: Australia, Germania e anche Italia, in Veneto, a Fusina (VE) e a Vedelago (TV). Rappresenta un’alternativa vera sia alla discarica che all’incenerimento, e mi riferisco al cosiddetto trattamento meccanico-biologico del residuo secco indifferenziato".

Di cosa si tratta?

"Il trattamento meccanico-biologico (TMB) non è altro che una ulteriore differenziazione, che avviene dopo quella fatta dai cittadini. Una differenziazione che, avendo luogo con più cura e con mezzi più adeguati, risulta migliore di quella che possiamo attuare a casa nostra tutti noi, che, per quanto sensibili, rimaniamo inevitabilmente vittime di distrazioni oppure delle frequenti difficoltà di separazione dei materiali.

Dentro l’impianto di TMB avviene innanzitutto la separazione meccanica dei materiali recuperabili: vetro, acciaio, alluminio, carta. Dalla separazione meccanica si ottiene anche una frazione organica, che subisce una successiva fase di trattamento biologico e viene così trasformata in materiale inerte, pressoché privo di potenzialità inquinanti. Il risultato finale del TMB è il recupero, sotto forma di materiale riciclabile, di circa il 70-75% del rifiuto residuo secco che era entrato nell’impianto. Il restante 25-30%, che corrisponde soltanto al 10% di tutti i rifiuti prodotti dalla comunità, viene sì destinato alla discarica, ma si tratta di una frazione del tutto inerte, dalla tossicità estremamente ridotta rispetto al residuo portato in discarica oggi. E comunque non dimentichiamo che anche dopo l’incenerimento rimane da smaltire una frazione di rifiuto di quantità circa pari a quella che rimane dopo il TMB, ovvero le ceneri. E dove finiscono le ceneri? In discarica, con la non lieve differenza che in tal caso, a differenza dell’inerte rimasto dopo il TMB, si tratta di materiale altamente tossico. L’incenerimento esce quindi malissimo dal confronto col TMB, rivelando le sue caratteristiche di soluzione obsoleta, peggiore sia dal punto di vista sanitario, con emissioni inquinanti nettamente più alte del TMB, che ambientale, con un recupero energetico nettamente più basso del TMB".

Salvati, cosa risponde? L’alternativa indicata da Mayr sembra molto seria.

"E infatti lo è, e va tenuta in massima considerazione. Ma, anche ove si prevedesse di arrivare a praticare una raccolta differenziata spinta che si avvalga pure del TMB, non credo che si potrebbe comunque fare a meno, se non altro nei prossimi 5-10 anni, di una gestione dei rifiuti che preveda, dopo la raccolta differenziata fatta dai cittadini, di bruciare la frazione secca residua".

Si spieghi meglio. Mayr ha precisato che il TMB è alternativo al camino…

"Lo è, ma solo nel momento in cui si abbia a che fare con una raccolta differenziata attestata attorno al 70-75% minimo. Se scendiamo al di sotto di questa percentuale, il TMB diventa difficile da praticare. E io credo che ci vorranno appunto 5-10 anni prima che in Trentino si arrivi ad una capacità di differenziazione simile. Prima di allora, il residuo secco andrà per forza di cose bruciato, perché in discarica non ci sarà più posto. In altre parole, vedo la combustione del residuo secco come un tampone precauzionale che possa farci transitare, nel giro di una decina d’anni al massimo, a una gestione dei rifiuti che possa fare a meno di esso, basandosi solo sul riciclo dei materiali attraverso il TMB".

"Ed è qui l’errore – interviene Mayr. – La transizione con progressivo miglioramento della differenziata di cui parla Salvati non ci potrebbe mai essere. L’inceneritore da 100.000 tonnellate l’anno, infatti, è una macchina basata su di una tecnologia estremamente rigida. Non può bruciare meno di quanto è stato previsto, e per questo fermerebbe la raccolta differenziata trentina al 65%. Mai nessuno degli inceneritoristi, quando addita come esempio di impianto eccellente l’inceneritore di Brescia, ricorda che la raccolta differenziata bresciana è ancorata al 35%, e da lì non si muove. Ma ci sono esempi ancora più istruttivi, come quello di Karlshrue, in Germania. Prima vi hanno costruito un inceneritore enorme, poi i cittadini hanno cominciato ad attuare una raccolta differenziata sempre migliore, e alla fine l’inceneritore è rimasto senza la necessaria quantità di rifiuti da bruciare. Così, oggi, gli abitanti si ritrovano costretti a desiderare i rifiuti della Napoli di turno e a pagare in ogni caso tariffe più salate di quelle che pagavano prima di avere l’inceneritore: in altre parole, si ritrovano a pagare di tasca loro un impianto che doveva generare guadagno economico. Con un inceneritore, infatti, i casi sono due: o si fa come a Brescia, e si rinuncia a migliorare la differenziata, o si fa come a Karlshrue, e ci si rimette economicamente".

Salvati, ancora una volta le osservazioni di Mayr ci sembrano sensate...

"E ancora una volta devo dire che lo sono. E infatti, in Trentino, non si costruirà nessun inceneritore da 100.000 tonnellate".

Prego?

"Proprio così. Grazie anche al mio personale impegno, ritengo che la decisione politica si orienterà verso una soluzione diversa, sempre basata sull’incenerimento, ma effettuato in modo completamente diverso da quello pensato sinora".

Ovvero?

"La proposta attualmente sul tavolo è quella della gassificazione dei rifiuti, ovvero la loro trasformazione in gas, da usare poi come combustibile. Si tratta di una tecnologia già sperimentata con successo in Nord Europa. La caratteristica vincente della gassificazione è il fatto che essa avviene grazie a una combustione a bassa temperatura. Negli impianti di gassificazione, i rifiuti bruciano infatti a 400°C contro i 1.300°C degli inceneritori propriamente detti. La bassa temperatura limita di molto gli impatti ambientali della combustione, garantendo la totale assenza di diossine. Le temute polveri sottili si riducono di oltre 100 volte, mentre inquinanti come i composti dello zolfo, gli ossidi di azoto, il monossido di carbonio diminuiscono fino alla metà, e così pure i metalli pesanti. Come residuo della gassificazione, in discarica finirebbe, nei casi di maggior efficienza, una quantità di inerti pari al 10% dei rifiuti fatti entrare nell’impianto, contro il 30% che rimarrebbe con l’incenerimento.

D’accordo, la gassificazione avrà anche un impatto sanitario e ambientale inferiore a quello dell’incenerimento, ma ciò che più interessa, alla luce del discorso fatto da Mayr, è la compatibilità di una simile tecnologia con il miglioramento della raccolta differenziata. L’inceneritore, s’è detto, non garantirebbe tale compatibilità, la gassificazione sì?

"Gli impianti di cui parlo possono funzionare tranquillamente anche bruciando solo 30.000 tonnellate l’anno, o anche meno. Non c’è dunque il rischio che l’impianto di gassificazione si ponga in contrasto con la riduzione del volume dei rifiuti e con la massimizzazione della raccolta differenziata. Tanto è vero che la proposta in discussione è quella di costruire, al posto dell’inceneritore da 100.000 tonnellate, tre impianti di gassificazione da 30.000 tonnellate l’uno. Questo permetterebbe, trascorsi i 5-10 anni necessari a ripagare i 65 milioni di euro investiti per costruirli, di chiuderli progressivamente uno dopo l’altro, man mano che la raccolta differenziata migliorerà, fino a che sarà possibile farne completamente a meno".

E che garanzie ci sono che non ci si siederà a contemplare il funzionamento di queste macchine, frenando l’impegno nella differenziazione e quindi nel riciclo?

"Le garanzie verranno messe nero su bianco al momento di decidere la costruzione dei tre impianti. Infatti verrà precisato che essi non dovranno porsi per nulla in contrasto non solo con la raccolta differenziata e il TMB, ma nemmeno con la riduzione dei rifiuti, elemento che, nella loro gestione, è ancora più importante del riciclo. La proposta non potrà prescindere dalla garanzia che riduzione e riciclo continueranno ad essere perseguiti, affinché migliorino e raggiungano la massima efficacia nel più breve tempo possibile. Ma, nonostante tutto l’impegno che ci si potrà mettere, il raggiungimento della massima efficacia di riduzione e riciclo, e quindi la possibilità di prescindere dalla necessità di smaltire il residuo secco negli impianti di gassificazione, non si otterrà immediatamente, ma serviranno degli anni. Gli impianti di gassificazione ci garantiranno una transizione tranquilla, che faccia a meno delle ormai sature discariche".

Mayr, adesso è il ragionamento di Salvati ad apparire dotato di logica. Non si parlerebbe più, dunque, dell’inceneritore da 100.000 tonnellate, ma di tre impianti di gassificazione da 30.000 tonnellate l’uno, caratterizzati da una gestione più flessibile: lei cosa risponde a questa proposta?

"Resto scettico. A mio avviso, se ci si impegnasse davvero sulla strada di riduzione e riciclo, si potrebbe fare a meno anche della gassificazione, che, per quanto meno rigida dell’incenerimento, richiederebbe comunque, come ammesso da Salvati, un periodo di 5-10 anni di funzionamento per evitare che l’investimento risulti diseconomico. Ma per raggiungere il 75% di raccolta differenziata non serve così tanto tempo: è possibile farlo nel giro di un paio di anni al massimo, come dimostrano le esperienze di successo conseguite anche nella nostra provincia. Certo, per ottenere il risultato del 75% a livello provinciale bisognerebbe investire molto di più in materia di sensibilizzazione, informazione ed educazione del cittadino, non solo alla differenziazione, ma anche al consumo critico finalizzato alla riduzione dei rifiuti. A questo bisognerebbe abbinare il miglioramento gestionale della raccolta differenziata, che dovrebbe poter contare su un sistema unico, anziché sui tanti, troppi, oggi in vigore.

Certo, tutto questo richiederebbe dei soldi. Molti più soldi di quelli investiti oggi dall’amministrazione provinciale. Ma senz’altro meno di quelli necessari a costruire l’inceneritore o gli impianti di gassificazione, con in più il pregio che si tratta di soldi che tornerebbero indietro molto più velocemente di quelli investiti in tali macchine, senza peraltro far correre rischi né per la salute pubblica né per l’ambiente".

Insomma, ancora una volta, la partita sembra giocarsi tra elemento culturale e tecnologico. Nella proposta di Salvati, è il tecnologico a prevalere, in quella di Mayr, viceversa, è quello culturale. Nessuna delle due proposte, tuttavia, fa totalmente a meno dell’ altro elemento. Quella di Salvati punta anche sull’elemento culturale, assegnando importanza (reale, non fittizia) sia alla riduzione che alla differenziazione, mentre quella di Mayr punta realisticamente anche sull’elemento tecnologico, contenuto nel TMB. Chiaramente, si tratta degli aspetti secondari delle loro proposte. Tuttavia, entrambe hanno il pregio di non fare affidamento esclusivo su uno dei due elementi. E questo ci pare il loro punto di forza: nessuna delle due affronta il problema in modo semplicistico o viziato da preclusioni ideologiche, come ultimamente è stato fatto da più parti. Così, dopo questa intervista, la frase inserita in apertura di questo articolo appare in tutta evidenza per quello che è: una baggianata. O una battuta.