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QT n. 6, giugno 2009 Cover story

Più tasse, più tumori

Pagare di più per avere più tumori. Questo, in sintesi, l’esito della scelta dell’inceneritore cui ci si sta avviando. Quando invece l’alternativa c’è ed è più conveniente.

Bidoni rifiuti

Ci rendiamo conto, con le parole del titolo, di drammatizzare il problema. Eppure queste sono le conclusioni cui è inevitabile pervenire se si approfondisce il problema. Al punto che non può non sorgere la domanda: come mai si continua a percorrere una strada così vistosamente sbagliata? Vedremo di rispondere anche a questo interrogativo. Per intanto presentiamo questa nostra inchiesta, che si articola su due fronti: uno economico/tecnologico (cosa comporta la soluzione inceneritorista e cosa le attuali alternative) e uno sanitario (gli ultimi studi sugli effetti dell’inquinamento da inceneritore, vedi Gli inceneritori uccidono).

Confessiamo, in premessa, un nostro limite: è vero, siamo prevenuti, abbiamo sempre pensato che disperdere i rifiuti, surriscaldati, nell’aria (questo in definitiva fa un inceneritore, che deve anch’esso sottostare alla nota legge di Lavoisier: nulla si crea, nulla si distrugge) sia una soluzione demenziale. Ebbene, questa prevenzione è condivisa da tanti; e oggi si può dire che gli studi sui due versanti - i danni dell’inquinamento dell’aria da una parte, la ricerca di alternative dall’altra - sono arrivati a risultati non più controvertibili.

L’alternativa

L’inceneritore ha una sua - pur perversa - logica quando l’alternativa è il sistema delle discariche, inesorabilmente a termine. Ma ormai sono maturi sistemi di trattamento che si integrano molto bene con una raccolta differenziata spinta. La differenziata, attraverso la collaborazione del cittadino, separa l’organico, le plastiche, la carta ecc, fino al 65% secondo il piano provinciale dei rifiuti, ma anche fino all’80% in diverse realtà; il rimanente “residuo secco” viene avviato a uno di questi centri di trattamento.

Come funzionano questi centri? Il residuo viene depurato (con calamite o altro) dai metalli, poi viene triturato e avviato all’estrusione (innalzamento di temperatura fino a 200°, senza arrivare alla cottura e quindi senza innescare processi chimici sempre pericolosi) e successivamente alla trafilatura (riduzione del materiale in fili, che vengono tranciati e trasformati in granuli). Il granulato che ne esce è sostanzialmente una materia plastica assolutamente inerte (quindi con grado di pericolosità zero) e riutilizzabile in molteplici forme, sia nell’industria della plastica o, male che vada, come inerte nell’edilizia.

Si ricicla quindi tutto, o meglio quasi tutto: del materiale che entra, rimarrà uno scarto del 3-5%, da avviare in discarica. “Noi abbiamo uno scarto del 2,99% - ci dice Carla Poli, titolare del Centro Riciclo Vedelago - ma stiamo lavorando per abbassare ancora questa percentuale”.

Troppo bello. Quali sono i punti critici? Il sistema funziona bene se il residuo secco è tale, se cioè non contiene materiale organico. “Non è che la presenza di organico mandi a monte il lavoro - precisa Poli - ma rallenta il processo, anche in maniera consistente”.

Il discorso dell’organico apre nuovi fronti, oggettivamente a favore dell’inceneritore, che invece la frazione umida la brucia senza problemi. In Trentino infatti le esperienze dei trattamenti biologici sono state estremamente negative: l’impianto di compostaggio di Levico, con le sue inaccettabili puzze, ha prodotto effetti devastanti e oggi nessuno vuole un biodigestore nelle vicinanze. “La filiera del biologico deve essere progettata, gestita, controllata, più seriamente” ci dice l’ing. Massimo Cerani, consulente in materia rifiuti, incaricato da diversi Comuni della Piana Rotaliana di progettare un sistema completo di raccolta e trattamento alternativo all’inceneritore.

Siamo andati a vedere un impianto integrato a Fusina, presso Porto Marghera. Il biodigestore era progettato come si deve: doppie porte, interno in moderata depressione in maniera che naturalmente l’aria entri e non esca. Ci siamo affacciati: all’interno la puzza era insopportabile (“Non stia così in prossimità, le si impregnano i vestiti” ci raccomandava l’accompagnatore) e gli operai lavoravano con maschere a gas. Ma all’esterno, su un piazzale liscio e pulitissimo, non c’era alcun odore significativo, e alla sala mensa distante venti metri, dove abbiamo pranzato, l’ambiente era normale, ci si trovava a proprio agio.

Insomma, fuori provincia i trattamenti biologici non sono un problema; possibile che lo siano in Trentino (che difatti oggi è ridotto ad esportare, pagando, la frazione organica)?

C’è poi l’aspetto specifico: il trattamento meccanico e per estrusione ha bisogno di un residuo secco non contaminato da residui organici. “Qui si tratta di controllare bene la filiera, entrando in una nuova ottica, per cui il materiale non è più da buttare via, ma da lavorare. - afferma l’ing. Cerani - E questo si ottiene facilmente attraverso la responsabilizzazione, passando dalla campana dove conferiscono tutti, ai contenitori individuali. Allora anche i controlli di qualità diventano molto efficaci”.

A quel punto i problemi sono molto circoscritti: pannolini e pannolloni (che però possono essere raccolti separatamente e messi in grosse lavatrici che separano l’organico dai materiali sintetici; o ancora meglio e più economicamente, possono essere costituiti da materiali biodegradabili); e gli elementi “misti” in quanto sporchi, ad esempio la classica carta oleata sporca di gorgonzola (ma non è un problema, una frazione secondaria di organico l’impianto di estrusione riesce a gestirlo).

“Prima di avviare il materiale nell’impianto, noi facciamo un’opera di selezione e pulizia, in pratica correggiamo gli errori dei cittadini. - ci dice Poli - In realtà questi errori sono pochi, se c’è il porta a porta loro stessi fanno una buona selezione”.

I costi

L’impianto di Vedelago

A questo punto dobbiamo confrontare i costi dei due sistemi. Il discorso sarà solo indicativo, per due motivi. Da una parte il sistema a trattamento ha costi molto variabili, che “dipendono dal territorio, dalle abitudini della popolazione, dalle possibilità di integrare diversi sistemi di raccolta e trattamento” ci dice Cerani, che proprio su questo progetto applicato al Trentino sta lavorando. Dall’altra parte i costi dell’inceneritore sono misteriosi: correva l’anno 2005 quando il Consiglio comunale di Trento dava il via libera all’impianto vincolandolo a tutta una serie di verifiche, a iniziare da quella economica; e da allora nessuna cifra è stata fornita, nessun preventivo, confidando che i consiglieri che avevano detto “sì, però...” il “però” se lo scordassero, come difatti puntualmente è avvenuto (vedi Le verifiche promesse ed omesse nel n° 18 di QT del 2005). Possiamo anche qui andare a spanne, rapportandoci ai costi di altri inceneritori.

Fatte queste premesse, veniamo ai dati. Il costo di un inceneritore di 100.000 tonnellate è sui 70-80 milioni di euro, cui ne vanno aggiunti altri 10 per le opere di viabilità connesse (tra cui un ponte sull’Adige). I costi di gestione possono variare dai 60 euro/tonnellata dell’impianto di Bolzano, agli 80-100 €/t di quello mostruoso di Brescia, ai 174 di quello di Treviso; per un impianto come quello di Trento il costo si aggirerà intorno ai 90 €/t, che diventeranno 110 se verranno a mancare i contestati incentivi statali.

E il sistema del trattamento meccanico\estrusione? Il costo di costruzione, difficilmente quantificabile in mancanza di un progetto definito, è comunque molto più ridotto: “Da un minimo di 5 milioni a un massimo, nel caso peggiore, di 20” ci risponde l’ing. Cerani. Il costo di gestione, se facciamo riferimento a quello di Vedelago, è anch’esso inferiore, meno della metà: 40 €/t.

Certo, nel caso del trattamento occorre una raccolta differenziata più raffinata, i cui costi aggiuntivi non sono ora quantificabili. Va però considerato che anche l’inceneritore ha ulteriori costi (economici, oltre a quelli ambientali) nel dover smaltire in discarica un 25% di residui tossici (che, su 100.000 tonnellate, vogliono dire 25.000 t) e un 4-5% (altre 5.000 tonnellate) di residui ricavati dalla pulizia dei filtri, molto pericolosi, e quindi molto costosi da sbolognare.

Insomma, il paragone economico (vedi tabella 1) risulta tutto sbilanciato a favore del trattamento meccanico: 5-20 milioni il costo di costruzione, contro 80-90; 40 euro/tonnellata il costo di gestione, contro 100; un residuo del 3-5% di materiali inerti da avviare in discarica, contro il 25-30% di materiali nocivi.

Anzi, quest’ultimo dato smonta alla radice la motivazione “forte” pro-inceneritore addotta da Dellai e Andreatta: “Per chiudere il ciclo bisogna per forza incenerire”. L’inceneritore non chiude un bel niente, lascia un 30% per le discariche; è il trattamento meccanico quello che il ciclo lo chiude.

Tabella 1: confronto economico
INCENERITORETRATTAMENTO MECCANICO
Costo impianto80-90 milioni5-20 milioni
Costi di gestione90-110 €/t40 €/t
Residui in discarica25-30% nocivi3-5% inerti
Costi ulterioriLo smaltimento dei residuiRaccolta differenziata più raffinata

Le contestazioni

Da quando gli ambientalisti, e in particolare il Comitato Nimby trentino, hanno portato l’attenzione sul trattamento meccanico, organizzando anche visite all’impianto di Vedelago (Treviso), contro questo si è levato un fuoco di sbarramento. In particolare il neo-sindaco Andreatta ha dichiarato: “Ma per favore! Ricordo che a Treviso la gran parte dei rifiuti va nell’inceneritore, non a Vedelago”. Qui bisogna puntualizzare. Il Centro Riciclo Vedelago è una realtà seria: impiega 58 dipendenti (tutti con contratto a tempo determinato), ha progettato impianti di imminente apertura in Sardegna, Sicilia e a Roma, ha ricevuto da Eco Innovation, il fondo dell’Unione Europea che promuove le migliori tecnologie in campo ambientale, un premio di 275.000 euro come incentivo a implementare ulteriormente ricerca e prodotti. Il fatto che la provincia di Treviso conferisca ancora (a prezzi mostruosi, 174 €/t) nell’inceneritore della Contarina spa è una delle conseguenze disastrose della costruzione di un inceneritore: l’impianto ormai c’è, va alimentato e si obbligano i consorzi di raccolta rifiuti a conferirvi il residuo, tanto a pagare ci pensa Pantalone, e alle conseguenze sanitarie non ci pensa nessuno. E così anche in Emilia: fatto l’inceneritore, se non lo si alimenta, si deve addirittura pagare una penale. Ma a Trento l’inceneritore non lo si è ancora fatto. Perchè mai si vuole insistere su questa strada perversa?

Qui possono esserci due risposte. La prima, più semplice: la materia è complessa e in continua evoluzione, i nostri decisori (leggi Dellai, Andreatta a ruota, Pacher, assessore all’ambiente, non conta) non padroneggiano la materia.

Seconda risposta: ormai si è dato il via a un sistema di potere che procede secondo proprie logiche, propri interessi, autonomi da quelli della cittadinanza. A gestire la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti è la multiutility Dolomiti Energia spa, aperta anche ai privati (Isa, la finanziaria della Curia) e partecipata da A2A, la società bresciana che gestisce il maxi-inceneritore di Brescia. È noto che queste società tendono a costituirsi come centri di potere autonomi, che con la politica possono avere rapporti di padronato più che di dipendenza (l’Autobrennero che finanziava i politici, come a suo tempo l’Eni di Mattei, per rimanere ai casi storicamente e giudiziariamente accertati) e che in ogni caso - anche su spinta dei soci privati, che prossimamente spingeranno per la quotazione in borsa - puntano alla massimizzazione del fatturato, non certo alla riduzione delle tariffe.

Se poi questa logica si sposa col disegno industriale di uno dei soci (la A2A di Brescia, che tende ad espandere il proprio modello inceneritorista) i conti tornano. L’inceneritore, proprio perché costa di più e comporta tariffe più alte, è la scelta conseguente.

A pagare saranno i cittadini: in soldi e in salute.