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QT n. 11, novembre 2022 Cover story

Ancora l'inceneritore!

Dopo vent’anni di latitanza sui rifiuti si torna a proporre la soluzione iniziale, già bocciata, insensata, dannosa.

Aldo Colombo

A volte ritornano. No, non è un racconto di Stephen King, questo. È scritto troppo male per esserlo. Però mette paura lo stesso. È la triste storia di come, per vent’anni, la classe dirigente trentina - di ogni colore - sia stata incapace di risolvere un problema - la monnezza dove la metto? - e sia ricaduta a proporre la soluzione iniziale, dannosa e già bocciata su più fronti. Vediamo come sia stato possibile, e soprattutto cosa ci aspetta. Perché il finale potrebbe essere la parte peggiore.

Un po’ di storia: dall’inceneritore all’inceneritore

Correva l’anno 2002. In Trentino già governava il centro-sinistra targato Dellai. Al quale il problema di cosa fare dei troppi rifiuti urbani si presentò in modo serio. Già, perché all’epoca la raccolta differenziata languiva poco sopra il 20% e il residuo da portare in discarica, in un territorio da sempre avaro di spazi, aumentava ogni anno (in quel 2002, oltre 230.000 tonnellate).

la discarica di Ischia Podetti

La soluzione trovata apparve semplice e all’apparenza geniale, suggerita agli amministratori trentini da un uccellino che veniva da Brescia, dalla sede di A2A, l’azienda che gestiva (e gestisce ancora oggi) il più grande inceneritore d’Italia: bruciarli. Costruendo a Trento un mega-inceneritore da 330.000 tonnellate, un mostro da erigere a Ischia Podetti, a poca distanza in linea d’aria dal centro città e dai vigneti della Rotaliana.

Dieci anni dopo, la giravolta. Sempre il centro-sinistra al governo, sempre Dellai sullo scranno più alto. Un saggio ripensamento? Nemmeno per sogno. Fosse stato per la Giunta provinciale, l’inceneritore si sarebbe fatto eccome. A bocciarlo furono i cittadini, sulla spinta di una lunga battaglia condotta dalla società civile, e in particolare da Nimby Trentino. Proprio a partire da quel 2002, infatti, i trentini iniziarono a differenziare i rifiuti con grande impegno, arrivando fino a oltre il 70% di quelli prodotti, così che, dieci anni dopo, col rifiuto residuo da smaltire in discarica ridottosi di oltre due terzi (in quel 2012, circa 70.000 tonnellate), la gara bandita dalla Provincia per affidare la gestione del previsto inceneritore (frattanto necessariamente ridotto a 150.000 tonnellate) andò deserta, in quanto gli operatori del settore ritennero anti-economico gestire un impianto di dimensioni così piccole. Storia chiusa? Nemmeno per sogno.

Altri dieci anni, ed eccoci daccapo. Stavolta al governo provinciale c’è il centro-destra targato Fugatti. Membro di quella Lega che, ricordiamolo, quindici anni fa si opponeva strenuamente all’inceneritore dellaiano. Ma così van le cose della politica, in una terra di gattopardi sempre nuovi. A ben vedere, la principale differenza, in tutta questa faccenda, tra il centro-sinistra e il centro-destra è che le giunte Dellai erano decisioniste e decidevano male, mentre quella Fugatti ha, fino a oggi, semplicemente deciso di non decidere. E così eccoci, nel 2022, a “scoprirci” in piena emergenza, “improvvisamente” orfani di discariche in cui smaltire i rifiuti urbani residui. E di nuovo ammaliati dalla soluzione più semplice, e più dannosa: bruciarli.

Un po’ di numeri: trentini più bravi, ma...

Proviamo a inquadrare meglio il contesto, dando un po’ di numeri. Nel 2021 in Trentino la raccolta differenziata si è attestata al 79%. Nel bidone del secco residuo sono finite, l’anno scorso, 67.000 tonnellate di rifiuti urbani. Se facciamo un confronto coi dati nazionali, scopriamo che i trentini differenziano più degli italiani (fermi poco sopra il 60%) e producono meno residuo (ogni italiano produce in media circa 20 chili all’anno in più rispetto a ogni trentino).

Tuttavia, se confrontiamo i dati trentini di oggi con quelli del recente passato, ci accorgiamo che la situazione non migliora da ormai troppo tempo. Anzi, se guardiamo bene notiamo che c’è stato un peggioramento: la produzione complessiva di rifiuti (inclusi quelli differenziati) è leggermente aumentata negli ultimi anni, mentre, e soprattutto, la qualità della raccolta differenziata si è fatta sempre più scarsa (possiamo stimare che solo il 60-70% di quanto viene differenziato dai trentini finisca poi effettivamente riciclato; il resto, causa impurità, finisce a sua volta a smaltimento).

Il problema: discariche esaurite. Di colpo...

Questa situazione di apparente stabilità, tendente in realtà al peggioramento, ha fatto sì che le discariche trentine siano arrivate a esaurimento più velocemente del previsto, per quanto parlare di qualcosa di “improvviso” sia ovviamente fuori luogo e persino ridicolo.

Ancora nel 2012, quando l’amministrazione decise obtorto collo di fare a meno dell’inceneritore, sul territorio provinciale erano attive ben 8 discariche (Arco, Imer, Monclassico, Rovereto, Scurelle, Taio, Trento, Zuclo). Si decise allora di aumentare la volumetria delle più utilizzate (Arco, Rovereto e Trento) per poter allungare nel tempo la capacità di gestire tutti i rifiuti trentini indifferenziati senza esportarli (cosa costosa e contraria ai principi di autosufficienza e prossimità territoriale), contando anche sulla riduzione continua di quelli prodotti.

Solo cinque anni dopo, tuttavia, proprio perché quella riduzione continua si era infine arrestata, tutte le discariche si erano già esaurite tranne quella di Trento, anch’essa ormai in procinto di arrivare a fine vita e pertanto ampliata nuovamente, e notevolmente, con il cosiddetto quarto lotto. Ma già a quel tempo era chiaro che il giochino non poteva continuare all’infinito.

Trascorso un altro quinquennio, infatti, la discarica di Trento è arrivata oggi a esaurirsi nuovamente, benché già dal 2017 parte dei rifiuti indifferenziati trentini finisca all’inceneritore di Bolzano. Nel frattempo, la politica comunitaria ha dato alle discariche una forte stretta, imponendo che entro il 2035 possa essere interrato al massimo il 10% dei rifiuti urbani residui. Nell’attuale situazione di emergenza, tuttavia, in Trentino si è deciso di riaprire le discariche di Imer e Monclassico e di ampliare ancora una volta quella di Trento. Ma è solo l’ennesima pezza, e prima o dopo, senza fare nulla, saremo daccapo. E quindi? Quindi ecco che l’inceneritore, buttato fuori dalla porta dieci anni fa, si appresta a rientrare dalla finestra.

Una politica miope e incapace

Le responsabilità della situazione odierna sono tutte della miope e incapace politica trentina, di ogni colore. La normativa comunitaria, recepita tal quale da quella nazionale, cui anche il Trentino deve sottostare, oltre a considerare la discarica come il male peggiore, indica come soluzione preferibile, nella gestione dei rifiuti, la loro riduzione, seguita dal riuso e dal riciclo (e solo dopo, appena prima della discarica, dal recupero, ovvero l’incenerimento). Le cose da fare, in questi dieci anni in cui ci si è limitati a osservare impotenti le discariche riempirsi fino al colmo, potevano essere tante. Eppure, sia le giunte di centro-sinistra (Dellai prima e Rossi poi) sia quella di centro-destra hanno fatto poco e niente per ridurre davvero i rifiuti trentini, in particolare quelli indifferenziati che poi vanno a riempire le discariche.

Qualche esempio? Si dovevano ridurre i rifiuti da imballaggio, specialmente quelli generati dai prodotti monouso, nei settori del commercio, della ristorazione, degli eventi, eppure lo sfuso e il vuoto a rendere sono rimasti al palo, mai adeguatamente sostenuti.

Si dovevano favorire i circuiti del riuso, con il sostegno agli appositi centri e alle piattaforme per lo scambio di beni: mai successo.

Si doveva agire contro lo spreco alimentare e invece, al di là dell’approvazione di una legge rimasta lettera morta, non si è fatto nulla di concreto: nella ristorazione privata e collettiva si continua a buttare via cibo ancora buono in quantità intollerabili.

Si doveva incentivare il compostaggio domestico e quello di prossimità, invece negli ultimi anni si è assistito all’aumento dei quantitativi di rifiuto organico finiti in discarica e al peggioramento della qualità della frazione organica raccolta, sempre più impura.

Si doveva ridurre la tariffa rifiuti a beneficio di chi ne produceva di meno, invece ci sono ancora alcuni territori fermi addirittura a un sistema di tassazione, contrario al principio cogente del “chi inquina paga”.

Si doveva introdurre ovunque il porta-a-porta spinto, utile non solo ad aumentare la quantità di raccolta differenziata, ma anche la qualità, invece sono molti i territori ancora fermi al cassonetto stradale.

Si doveva unificare il sistema di gestione dei rifiuti, invece sono ancora ben 12 i bacini di raccolta, ognuno con le sue regole, che generano difformità e confusione nell’utenza.

Si doveva continuare a sensibilizzare i cittadini e anche, forse soprattutto, i non cittadini (immigrati e turisti) alla corretta differenziazione dei rifiuti e alla loro riduzione, invece in tal senso non si è mai investito abbastanza.

Doveva anche, per finire, esserci un’opposizione politica degna di questo nome, per chiedere un cambio di passo ai governanti di turno, invece le voci che si sono levate in tal senso sono state, in tutti questi anni, poche, deboli e sporadiche. Risultato? L’emergenza. “Improvvisa”, naturalmente.

Le soluzioni: bruciare o ridurre

Ora, quando è tardi, ci si affanna a trovare una soluzione per uscirne. Con fare bizantino per non dire grottesco. Il Quinto aggiornamento del Piano provinciale di gestione dei rifiuti, approvato dalla Giunta provinciale nell’agosto di quest’anno, ha rinviato il problema ai tecnici. Siamo alle solite: la politica abdica vilmente al suo ruolo e si affida al messia della tecnica per togliersi d’impiccio.

All’Università di Trento e alla Fondazione Bruno Kessler è stato demandato il compito di supportare la giunta provinciale nel definire, entro la fine dell’anno, se e quale impianto costruire in Trentino per gestire i rifiuti urbani indifferenziati, evitando di esportarli fuori provincia. Il “se”, evidentemente, è solo retorica. Appare chiaro che chi ci governa, nascondendosi dietro il dito, ha in realtà già deciso (con la debole e timida opposizione delle minoranze politiche e della società civile, ambientalisti inclusi).

Il gioco di prestigio sarà chiamare l’inceneritore con un altro nome. Gassificatore, ad esempio. Il quale risulterebbe economico per gestire anche solo 60.000 tonnellate di rifiuti, pare. Come? Trasformandoli in gas. Magia? No, semplice incenerimento sotto mentite spoglie, appunto, che lascia dietro di sé ceneri e reflui gassosi e liquidi, senza contare i fumi dovuti alla combustione del gas ottenuto, per produrre energia (il tanto decantato recupero, che però andrebbe a soddisfare solo una percentuale insignificante dei fabbisogni energetici provinciali).

Sull’impatto ambientale e sanitario di ciò che brucia crediamo che qui, sulle pagine di Questotrentino, non ci sia da dilungarsi molto: si possono andare a leggere i numerosi articoli sull’argomento scritti negli anni in cui si lottava contro la costruzione dell’impianto previsto da Dellai. I politici cambiano, ma la legge di Lavoisier resta, immutabile: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Bruciare i rifiuti non significa farli sparire, ma immetterli di nuovo nell’ambiente sotto altra forma. Non necessariamente più salubre, anzi.

Facile dire solo di no, penserà qualcuno a questo punto, giunto alla fine di questo articolo. Se le discariche non sono più utilizzabili, se non in modo molto marginale, e bruciare i rifiuti non va bene, quale soluzione adottare, allora?

Per prima cosa, non è mai troppo tardi per fare tutto quello che non è stato fatto fino a oggi (vedi all’elenco di cui sopra). Azioni come quelle elencate, se spinte a dovere, porterebbero a una sensibile riduzione del rifiuto indifferenziato, arrivando a dimezzarlo.

E il resto? Si dovrebbe puntare sugli impianti di trattamento meccanico-biologico (senza combustione, quindi, come quello già attivo a Rovereto), che ridurrebbero ulteriormente il quantitativo residuo, determinandone un ulteriore dimezzamento.

E il resto? Beh, a quel punto, il peso di ciò che rimarrebbe sarebbe paragonabile a ciò che residuerebbe da un impianto di incenerimento (o gassificazione che dir si voglia): meglio interrare pochi rifiuti inerti o gestire un pari quantitativo di ceneri pericolose, reflui ed emissioni nocive in atmosfera?