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Chi era Andreas Hofer?

Graziano Riccadonna
Andreas Hofer

Scrivo in merito all’articolo di Alessandra Zendron, Sondaggi”, per dissentire sul giudizio circa il personaggio Hofer, definito “reazionario antisemita”, per di più “insicuro leader della rivolta antinapoleonica”. Intanto, come leader della rivolta bisogna precisare che -da vero Cincinnato- Hofer non ha mai voluto esserlo nel vero significato della parola, o perlomeno non ha dato prova di chiederlo, ma semplicemente si è trovato nella condizione di doverlo essere.

Sul suo supposto antisemitismo confesso di non avere elementi, anche se sorprende tale aggettivo. Ma è sul suo carattere “reazionario” che andrebbe chiarito il ruolo avuto dall’ “oste barbòn”, com’era chiamato anche in Trentino Andreas Hofer, condannato senza appello nell’articolo, ma in realtà personaggio da approfondire e rivalutare.

La sua figura pone in gioco anzitutto il concetto di Autonomia. Non l’Autonomia delle separazioni, ma l’Autonomia di integrazione tra gruppi, al di là dei muri etnici, era l’Autonomia voluta da Hofer. In questa prospettiva l’Autonomia deve svilupparsi in ambito europeo: si deve passare dalla convivenza basata sulla separatezza alla convivenza creativa basata sull’integrazione, che era appunto la meta ideale di Hofer. Antesignano dell’autonomia regionale in senso interetnico e plurilinguistico, egli seppe unire le forze sudtirolesi con quelle trentine per un progetto di convivenza nella Regione contro tutti gli Stati, o meglio contro lo stato centralistico e monolitico.

La sua coscienza interetnica nasce nella formazione giovanile avuta in Trentino, prima a Cles, poi a Ballino, nodo importante della via occidentale lago di Garda-Giudicarie-Tirolo e sede di alcune osterie-stazioni per il cambio cavalli. La permanenza all’osteria Armani-Zanini tra il 1785 e il 1788, prima del compimento dei 21 anni, permetterà al “famei tirolés” di compiere il tradizionale periodo di apprendistato per l’azienda paterna in Passiria, il lavoro di oste e di gerente dei cavalli. Ma soprattutto gli farà imparare la lingua parlata nel Trentino, l’italiano: ciò che gli permetterà non solo di divenire amico del suo padrone, l’oste Marco Zanini, ma anche di pensare a una “nazione” tirolese unita da comuni interessi della popolazione sia di lingua tedesca che italiana. Lo storico tirolese Beda Weber nella sua opera su Andreas Hofer del 1851 riporta come egli “si recò poi nel Tirolo italiano e imparò tanto d’italiano che poté esprimersi correntemente non nella lingua scritta, ma nel dialetto popolare. E questo gli procurò molta influenza presso i sudtirolesi italiani, che davano molto peso alla conoscenza della lingua da parte dei loro vicini tedeschi”.

Il valore della permanenza del giovane Hofer in Trentino risulta quindi direttamente proporzionale all’importanza che gli storici più avveduti, e con essi l’opinione pubblica coeva e quella attuale, ripongono nell’aspetto plurilinguistico e tollerante dell’autonomia regionale.

L’insegnamento del giovane Barbòn a questo punto è chiaro. La convivenza tra gruppi linguistici diversi dovrebbe essere motivo di ricchezza culturale e non produrre conflitti: in un regime democratico si dovrebbe attuare quel tanto di democrazia da permettere il rispetto dei diritti di tutti, il rispetto delle minoranze e il riconoscimento delle autonomie di governo (e non la separazione della comunità).

Quanto alla sua ideologia reazionaria, o meglio antiilluministica, bisogna chiarirsi le idee! Scrive lo storico Carlo Botta, ufficiale medico dell’armata francese, (in Storia d’Italia dal 1789 al 1814, Paris 1824): “Andrea era uomo di retta mente e di incorrotta virtù. Vissuto sempre nelle solitudini dei tirolesi monti, ignorava il vizio e i suoi allettamenti...Non era in lui ambizione, comandò richiesto, non richiedente. Di natura temperatissimo non fu mai veduto né nella guerra sdegnato né nella pace increscioso...Le palle soldatesche ruppero in Mantova il patrio petto d’Andrea, lui non che intrepido, quieto in quell’estrema fine.

“Per Dio, per l’Imperatore, per la Patria”, è il motto di Hofer, ispirato al realismo religioso degli insorgenti. Ma prima di tutto egli è uomo caratterizzato da singolare intensità religiosa, che sa unire all’amore per la propria terra e il proprio popolo. L’atteggiamento religioso permea di sé l’intero suo comportamento, e questo va tenuto presente nel dare un giudizio sulla sua azione e la sua ideologia.

Il Tirolo si presentava all’epoca come una roccaforte del cattolicesimo, minacciato dalle nuove idee illuministiche, che viaggiano sulle baionette franco-bavaresi, più che sui libelli degli illuministi. L’oppressione religiosa bavarese mette in pericolo l’identità tirolese, con le sue feste e i suoi simboli cristiani, le leggende e il credo, il mondo delle sane credenze popolari. Da qui la reazione, fortissima, alla ventata di novità illuministiche bavaresi e francesi. È la difesa della concretezza della fede minacciata dall’utopia rivoluzionaria! Tirando le somme, non si può fare a meno di evidenziare i limiti ma anche i pregi dell’azione di Andreas Hofer.

Quel che resta è il suo messaggio di convivenza, che in anni recenti è stato rilanciato dal compianto Alexander Langer, che ha messo in evidenza un Hofer fuori dal mito e rifuggente gli “opposti estremismi” dell’esaltazione acritica della rivolta hoferiana da un lato, del misconoscimento nazionalista dall’altro, per aspirare a un maggior rispetto della verità storica attingendo ai valori espressi da Hofer, che egli esprimeva in fatto di federalismo, pluralismo ed autonomismo, valori validi sia per il Sudtirolo che per il Trentino, oltreché di convivenza federalista ante litteram fra le diverse etnie e lingue del Tirolo storico. La riproposizione di questi valori, anzi l’aperto incoraggiamento di Langer, rappresenta un autentico viatico lungo questo percorso, difficile ma suggestivo, oltreché storicamente fondato.

Lorenzo Baratter è storico e direttore del Centro Documentazione Luserna.

Le ultime ricerche su Andreas Hofer

Hofer comandò una delle tante rivolte antinapoleoniche sorte in Europa e non sarebbe diventato famoso se non fosse stato ripreso dopo la sua morte in chiave di eroe nazionale tedesco. Questa ricostruzione postuma fece sparire una parte significativa della sua personalità, fra cui i suoi contatti col Trentino. Come scrive Christoph Hartung von Hartungen (In: Andreas Hofer eroe della fede, Rimini, 1998), il mito si diffonde in Germania col Romanticismo durante la guerra di liberazione contro il dominio francese in Europa e soprattutto in Prussia. Anche in Italia non mancano i suoi estimatori. Nel Tirolo la sconfitta del 1810 causa gravi sofferenze e la causa dei disastri della guerra viene attribuita dalla popolazione a lui, che ne era stato il capo. Solo nel 1848 Hofer, per calcolata decisione del governo viennese, comincia a diventare eroe austriaco e tirolese, l’unica versione oggi rimasta, con la particolare accezione di paladino della difesa contro il mondo “esterno”. Questa lettura venne confermata in occasione del centenario e degli altri anniversari, nei quali si rafforzò il mito dell’eroe difensore della patria, nato peraltro già al tempo della lotta contro le riforme illuministe dell’imperatore Giuseppe II, e diventa un fattore di rassicurazione verso la modernizzazione (il 1909 è l’anno di costruzione della strada delle Dolomiti che apporta profondi mutamenti nell’economia e nella società tirolese). Sono cose note, quindi non mi dilungo.

Per entrare nelle obiezioni fatte da Riccadonna, faccio riferimento alla recente storiografia austriaca. La riedizione critica del diario del segretario di Hofer, il sacerdote moderato Josef Daney, fatta da Mercedes Blaas nel 2005, ci mostra un Andreas Hofer sempre indeciso, altalenante preda dei consiglieri di volta in volta a lui vicini, e caratterizzato da una religiosità che sconfina nella superstizione, ciecamente fedele all’imperatore e braccio armato della conservazione della società tirolese tradizionale. Una persona buona, come anche numerosi altri contemporanei fecero notare, ma piuttosto inadatta al ruolo di capo di un esercito informale parecchio feroce.

La notevole tesi di dottorato di Andreas Oberhofer parte invece dall’osservazione che della persona Hofer si sa ben poco di documentato. L’ultima pubblicazione di documenti risale al 1909 (Hirn). Oberhofer, con una ricerca certosina avvenuta in mezza Europa, espone in 600 pagine scritti, lettere, messaggi, editti firmati da Hofer, di cui è stata accertata l’autenticità, o di alcuni già noti stabilita la falsificazione. Da una prima lettura emerge un Hofer vicino a quello di Daney. Di Oberhofer è in pubblicazione una biografia di Hofer, la prima che si basi su ciò che egli ha scritto o firmato e che aiuterà a discernere la realtà dal mito.

Personalmente dubito che Hofer possa diventare oggi il mito o l’eroe della convivenza etnica e neppure un antesignano dell’autonomia. Le note di Langer su di lui, risalenti al 1985-86, intendono contrastare il mito dell’eroe tedesco in funzione antiitaliana, come era emerso nelle manifestazioni del 1984, deleterie per il processo di pacificazione in Sudtirolo. Hofer era profondamente sottomesso all’imperatore d’Austria, difendeva un Tirolo chiuso all’Europa, era il campione della conservazione di un sistema sociale ingiusto e arretrato, che comprendeva anche un forte antisemitismo, piaga del Tirolo, un tema ancor oggi poco elaborato nell’opinione pubblica. Hofer a Innsbruck fece pagare agli ebrei, dopo che le loro case erano state più volte saccheggiate dalla sua armata, le spese da lui sostenute per la guerra, con una tassazione straordinaria. Una cosa ancora più ingiusta se si pensi che la guerra era fatta contro un esercito straniero invasore, ma anche e soprattutto contro le innovazioni in materia di libertà portate attraverso il Codice Napoleonico, che prevedeva fra il resto l’emancipazione degli ebrei e la loro liberazione dai ghetti.

Due sole citazioni a conferma dell’accaduto. Lo storico Josef Hirn (1909) sugli eccessi a Innnsbruck contro gli ebrei dell’aprile 1809: “Con la maggiore cattiveria vennero cercati casa per casa i pochi ebrei di Innsbruck”.

J. Daney (Blaas, M.): “Gli ebrei e gli orologiai della città (Innsbruck) vennero saccheggiati. Anche diversi studenti, poiché abitavano in case di ebrei, nonostante avessero cercato di dimostrare la loro appartenenza al cristianesimo con diversi segni cattolici, vennero trattati come ebrei, derubati e dovettero essere contenti di essersi salvati la vita con la fuga...”

 Alessandra Zendron