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L’allevamento nelle Giudicarie

Stefano Carloni, Fiavé

Questo è un commento riferito all’articolo Allevamento, stop al modello padano apparso su Questotrentino nelle settimane scorse e distribuito in paese. Tale commento è rivolto direttamente al giornalista firmatario dell’articolo e al CIGE e indirettamente spero sia motivo di riflessione per tutti noi.

Innanzi tutto mi presento: sono Stefano Carloni, 24 anni, abito a Fiavè in loc. Torbiera. Sono figlio di un allevatore, studio ingegneria a Trento e nella mia vita ho vissuto e viaggiato quanto basta per ammirare la particolarità del territorio delle Giudicarie. [...] Il mio intento con questa lettera è di farLe capire la sensazione di mancanza di rispetto che ho provato nel leggere il Suo articolo.

Tengo a precisare che nell’articolo è scritta qualche verità interessante, lo penso davvero, ma passa in secondo piano a causa gravi mancanze: del senso della misura (negli aggettivi, nelle descrizioni, nella criticità); del riconoscimento della fatica, della passione, della dedizione; del rispetto delle regole del giornalismo.

Credo anche sia per questo se in valle esiste una sorta di non dialogo tra addetti al settore agricolo e non; perché articoli come il Suo hanno come risultato il distorcimento della realtà e il sorgere di incomprensioni, persino tra noi compaesani. Si dovrebbe lavorare per un dialogo costruttivo e non per l’infamia di una categoria.

Mi piacerebbe discutere con Lei per chiarire concetti buttati lì con superficialità e aggettivi d’effetto: stalle enormi, modello padano, ecc. Una dialettica tipica del giornalismo odierno, giornalismo che spesso ha un significante che spadroneggia sul significato; ed è proprio qui che a mio parere si perdono gli spunti e le possibilità di confronto in un articolo come il Suo.

Solo saltuariamente e di rado ho aiutato mio padre nel suo lavoro, ma posso dire di avere ben chiare le dinamiche della zootecnia ed in particolare della zootecnia nelle Valli Giudicarie Esteriori.

Commenterò qualche passo dell’articolo citandolo: “Quando scollino il passo del Ballino due cose mi colpiscono. Il cambiamento del paesaggio, dove ora la Torbiera di Fiavè si mostra in tutta la sua bellezza, esaltata da una bella giornata di sole marzolino... e l’odore”. [...]

La situazione odorifera da Lei esposta è solamente in piccola parte vera. Tante persone dalle disparate provenienze sono state ospiti da me, anche i classici cittadini che prima non avevano mai visto una mucca e nessuno, ma proprio nessuno, ha mai detto che in questa zona ci sia un odore di liquami costante, fastidioso o insostenibile. In 365 giorni, forse 20 hanno davvero un sottofondo odorifero sgradevole (parlo per il Comune dove risiedo); 20 su 365, faccia una proporzione, un rapporto, una percentuale, un grafico: la situazione è così traumatica come traspare dalle sue righe? Da diversi anni esiste una maggiore attenzione nello spargimento da parte degli allevatori e su questa strada si deve continuare. [...]. Inoltre consideri pure l’inverno che è stato. Lei parla di marzo, ma si rende conto che da novembre a marzo compreso qui non abbiamo visto terra? C’è stata tanta di quella neve, che ha impedito gli spargimenti sia a fine autunno che in marzo; e se qualche spargimento è avvenuto sulla neve, certamente è stata una scorrettezza, ma a parer mio con il beneficio dell’emergenza. Insomma, si trattava di una situazione limite e Lei riporta un’eccezionalità come quotidianità.

“Il CIGE è un comitato di cittadini mosso dall’amore per la propria valle...” Amore per la propria valle: già, ma i contadini amore per la propria valle non ne hanno proprio, vero? Si alzano da una vita alle cinque di mattina, ma lo fanno solo per se stessi vero? Non perché hanno la pazienza, la forza, la passione per compiere questo lavoro senza giorni festivi; non per la soddisfazione di coltivare prati e terra, e poter guardare la valle vedendo i mutevoli colori dei propri sforzi.

La valle poi è più diversificata di quanto Lei voglia far apparire (certamente c’è il mais che fa da padrone, ma abbiamo anche verdure, tuberi, mele, uva e altri piccoli frutti). Ha mai ben osservato per esempio la val di Non, qualche zona della valle dell’Adige, o persino qualche valle altoatesina dedita alla monocoltura dei vigneti o alla monocoltura dei meleti?

Tengo a sottolineare nuovamente che qualcosa si può e si deve cambiare, ma quello che Lei ha riportato nell’articolo è distorsione della realtà. Se l’obiettivo di un articolo come il Suo è far sì che critiche, osservazioni e consigli vengano ascoltati e presi in considerazione dagli agricoltori, in modo da gettare le basi per un dialogo costruttivo, penso che innanzi tutto si debba rendere giusto merito alle persone che sono rimaste legate al lavoro di questa terra; capire il perché e il come si è arrivati alla situazione odierna partendo dagli anni ‘60; rendersi conto della società in cui viviamo e degli stili di vita che teniamo. [...] Ribadisco per l’ultima volta che nell’articolo ci sono alcuni spunti importanti e che la situazione agricola giudicariese potrà voltare ancora in meglio se si crederà in nuove metodologie e si coinvolgeranno i giovani, ma sono stufo di un’informazione parziale e pressappochista. [...]

Spero che abbia colto il significato positivo delle critiche da me mosse e la voglia di mediare tra le diverse posizioni.

***

Gentile Stefano, risponderò alle sue sollecitazioni punto per punto.

Sull’uso di aggettivi d’effetto: alcune delle stalle presenti nelle Giudicarie Esteriori sono effettivamente enormi (come vogliamo definire stalle da 4-5-600 capi?) e il modello è effettivamente padano (nelle stesse ammissioni di chi lo pratica).

Sulla questione dell’odore e degli spargimenti: quella dell’odore non è stata certo la questione-chiave al centro del mio articolo, mentre diverso è il discorso sugli spargimenti: per quanto eccezionale sia stato l’inverno scorso, l’eccesso di deiezioni determina una situazione di rischio ambientale da tempo (come rilevato dalle analisi delle acque cui ho fatto riferimento nell’articolo, risalenti al 2007).

Sulla questione dell’amore per la propria terra da parte degli allevatori giudicariesi: non è mai stata messa in dubbio, ma i fatti dimostrano che, nonostante questo amore, il territorio è stato danneggiato dalle scelte fatte dagli allevatori, come ammesso anche da chi, oggi, fra loro - e per fortuna - vuole cambiare direzione.

Sulla diversificazione dell’agricoltura e dell’economia delle Giudicarie Esteriori: direi che sono i dati a parlare, e ad evidenziare la predominanza di allevamento e coltura del mais ad esso collegata. Credo che le indicazioni date non da me, ma dal prof. Corti all’interno dell’articolo siano corrette: meno allevamenti e più estensivi, più turismo e un’agricoltura modello Val di Gresta. Magari bio. Mi sembra che la strada da fare sia molta, in questa direzione.

Penso anche, per concludere, che persone intelligenti come lei siano in grado di capire la necessità e l’importanza di cambiare modello. Che è poi quello che l’inchiesta voleva evidenziare.

M. N.

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