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QT n. 11, novembre 2011 Seconda cover

Le mani sull’Ateneo

La PAT ci prova ancora: come andrà a finire?

Lorenzo Dellai

Il processo di riforma dell’università trentina va avanti, ma sembra di essere da capo. Come in una scena già vista c’è di nuovo Dellai (in seguito: la Provincia) che tenta di imporre una propria visione, che a noi sembra pericolosamente sbilanciata, e che, per fortuna, risulta alquanto indigesta al corpo accademico.

Successe, come già scritto su queste pagine, l’anno scorso, quando l’opposizione di varie parti dell’Ateneo evitò ad una bozza sciagurata di diventare legge, riuscendo - non del tutto - a ripristinare in parte gli equilibri in favore dell’autonomia universitaria. Nello stesso periodo fu ancora il corpo accademico a rispondere negativamente al progetto provinciale di dare vita ad un unico grande ente di ricerca superiore, condensando Unitn e i vari istituti di ricerca Fbk, S. Michele ecc (“il polpettone” che il rettore Bassi disse non si sarebbe fatto mai).

Oggi sembra ancora tirare aria di mobilitazione per i professori e gli studenti dell’Università. Il fuoco mai spento dello scontento per la paventata perdita di autonomia ha ripreso vigore dopo la pubblicazione delle nomine per la commissione incaricata di stendere il nuovo statuto.

Il primo ad esprimere la sua contrarietà, attraverso un gesto che non lascia spazio a fraintendimenti, è stato il prorettore vicario Giovanni Pascuzzi. Il giorno dopo le nomine Pascuzzi ha inviato una lettera di dimissioni al Rettore Davide Bassi molto dura, nella quale ha espresso forti perplessità: “Non ho nulla contro l’ingresso in Commissione statuto di qualcuno esterno alla comunità accademica. Ma se gli esterni sono addirittura in maggioranza il principio costituzionale, a mio avviso, non viene rispettato.”

Pascuzzi si riferisce all’articolo 33 della Costituzione, che definisce l’autonomia dell’Università di darsi ordinamenti autonomi.

“Poveri ma liberi”??

Il rettore Davide Bassi

Il Rettore, dal canto suo, ha accettato senza indugio le dimissioni del giurista suo collaboratore, e ha fatto circolare una lettera di risposta (senza però quella delle dimissioni di Pascuzzi) tra gli organi di rappresentanza dell’Ateneo. In questa risposta, come nell’intervista concessa al Trentino qualche giorno dopo, Bassi si rimette con fiducia alla commissione da lui nominata (tutta composta da esterni all’università salvo un nominativo) e riconosce la necessità di fare un compromesso tra l’ideale di “poveri ma liberi” di Pascuzzi e la realtà dei rapporti con la Provincia, per salvaguardare un’autonomia già ora compromessa da “docenti che cercano di trattare con la controparte politica direttamente e a titolo personale”.

Per il rettore quindi, un docente come Pascuzzi, che vorrebbe un’università “povera ma libera” è un simpatico ma inguaribile utopista. Cioè, secondo Bassi, la Provincia sta rendendo meno libero l’Ateneo, ricattandolo con l’arma dei soldi. La cosa è molto, molto grave, e da sola spazza via tutte le letture minimizzatrici di Dellai e di alcuni organi di stampa. In gioco sembra proprio l’autonomia dell’Università.

La reazione degli altri docenti, è stata pronta e vivace. Nei giorni successivi alle dimissioni del prorettore in moltissimi si sono uniti al coro in sostengo suo e delle sue ragioni.

Abbiamo sentito il professore di giurisprudenza Diego Quaglioni, che ha innanzitutto ha espresso totale solidarietà con il collega: “non solo come solidarietà alla persona, che pure la merita tutta: è una doverosa preoccupazione peraltro largamente diffusa e l’auspicio di un ripensamento su come è stato avviato il processo di riforma dello statuto.”

Il Presidente dell’università Innocenzo Cippolletta assieme a Lorenzo Dellai

La lista di chi si schiera con Pascuzzi è lunga, e comprende una larga fetta del CdA in una lettera congiunta e l’avvocato Marco Dalla Fior, anch’egli consigliere d’amministrazione, in un intervento sul Corriere del Trentino: “l’atteggiamento del rettore mi ha lasciato ancora una volta molto perplesso; [...] è di tutta evidenza una lettera di maniera da cui traluce la soddisfazione per aver tolto di mezzo un interlocutore scomodo.”

Anche la Commissione per la Ricerca Scientifica (che comprende i direttori di dipartimento e lo stesso rettore) non fa mancare il suo appoggio affermando all’unanimità: “Le sue dimissioni esprimono un disagio condiviso.” Da notare che questo “disagio” è espresso dallo stesso rettore che - forse strumento inconsapevole? - ne è stato comunque l’artefice.

Pascuzzi con le sue dimissioni tenta di iniziare il doveroso dibattito non solo in termini giuridici, sulla costituzionalità di una commissione così composta, ma sul senso politico, dell’autonomia che può avere un’Università che non viene nemmeno messa in grado di darsi le proprie regole.

Le vie d’uscita

Manifestazione studentesca

A questo punto all’interno dell’università circolano alcune possibili vie per risolvere il problema. La soluzione che appare più radicale, e per questo più difficile, è quella di sostituire i membri esterni all’università con dei nuovi membri scelti internamente. Rimanendo tra le ipotesi realistiche, alcuni propongono di affiancare ai membri scelti da rettore e presidente altrettanti nomi scelti all’interno dell’Ateneo, senza diritto di voto; altri di costituire una commissione eletta dal corpo accademico che si misuri con la commissione statuto su ogni cosa redatta.

La commissione si è già incontrata per la prima volta, e per ora né questi suggerimenti ne quelli più radicali del Consiglio degli Studenti sono stati accolti. Quest’ultimo, pur avendo nominato una propria rappresentante per seguire i lavori, si è trovato in una posizione di totale impotenza, come peraltro in tutto il percorso di passaggio da Stato a Provincia, potendo a mala pena proporre temi e questioni ma senza poter seguire le fasi della redazione (solo quelle che gli competono dice la legge, come se non fosse tutto in qualche modo intorno a loro, all’università) né di votare alcunchè.

Una mozione scritta promossa all’unanimità dal CdS alcuni giorni fa chiedeva garanzie minacciando in caso contrario di disconoscere la legittimità dei lavori della commissione. A tale comunicazione il rettore, per dar prova della sua magnanima attitudine ad ascoltare e confrontarsi con tutti, ha fatto mancare una qualsiasi risposta per iscritto.

In conclusione il pericolo di un’Università ancella di un debordante potere politico non è certo sventato. La domanda è quindi ancora la stessa: l’Ateneo è in grado oppure no di compattarsi per dissuadere con una voce sola la Provincia dai suoi propositi io pago-io comando?