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QT n. 2, febbraio 2014 Servizi

Il concorso di bellezza

Il vacuo dibattito attorno al nuovo segretario del Partito Democratico. Giovane? Roveretano? Renziano? Basta che non si parli di politica...

Così il 13 marzo ci sarà l’elezione del nuovo segretario del Partito Democratico. In vista dell’evento le abbiamo sentite tutte: “C’è una nuova generazione di trenta-quarantenni pronta a giocare la propria partita” scrivono già a dicembre i quotidiani; “Le 13 mila persone che hanno votato Renzi dovranno sentirsi rappresentate da qualcuno” afferma la renziana; “Nel Pd trentino non c’è un gruppo dirigente fallimentare di cui fare tabula rasa” sostiene il civatiano, evidentemente alla ricerca di qualche sponda nella vecchia (e fallimentare, altroché, sosteniamo noi) nomenklatura locale; e poi ancora “Dovrà provenire dalla Vallagarina”, requisito sicuramente fondamentale, e via così.

Alessio Manica
Francesco Ghia
Giulia Robol
Vanni Scalfi
Luca Zeni

Ma scusate, la politica?

La politica si riassume tutta nel partito. Un “partito autonomo da Roma”; un partito “inclusivo, non solo degli iscritti ma degli elettori”. E di questo ci si deve accontentare. Una rimasticatura delle tesi costitutive del Partito Democratico, innovative e anche generose alcuni anni fa, ma oggi non più smerciabili come novità caratterizzanti una candidatura.

Ma, di grazia, siete al governo a Piazza Dante! Magari - e non a caso - non nello scranno più alto, ma comunque siete il gruppo consiliare più forte. Volete dire cosa intendete fare? Quale governo per il Trentino? Su questo, silenzio tombale.

La nuova giunta Rossi sembra non aver ancora imboccato una strada precisa. Lo stesso Ugo Rossi dà segnali contrastanti. L’eredità del quindicennio di Dellai porta tutta una serie di nodi al pettine: progetti megalomani, che hanno arricchito l’imprenditoria amica e gonfiato oltre misura il settore delle costruzioni; un’architettura istituzionale ipertrofica, che ha dilatato oltre misura il ceto politico e le sovrapposizioni di competenze; il conseguente debito pubblico; l’intervento pubblico in economia fortemente condizionato dalle pressioni delle clientele. La necessità di cambiare rotta, diventata impellente a seguito della contrazione delle risorse, implica strappi con settori della società. E Rossi esita, o forse non sa nemmeno che pesci pigliare.

E il PD? Il PD parla d’altro. Dell’età del futuro segretario.

Parlava d’altro quando c’era l’irascibile Dellai, cui di fatto veniva delegato ogni potere. E continua a parlare d’altro adesso, nel momento in cui proposte alternative non sarebbero più attentati di lesa maestà, ma doverosi contributi a un nuovo corso.

E invece si va avanti con il concorso di bellezza: giovane, roveretano, meglio se donna, cercasi...

Una strategia in due tempi?

“Concordo - ci dice Luca Zeni, capogruppo dei democrats nella scorsa legislatura, malvisto nel partito proprio perché osava, l’incosciente, proporre rilievi critici alle scelte di Dellai - Forma e ruolo del partito sono argomenti importanti, ma devono rimanere sullo sfondo, anche perché già definiti nello Statuto. Invece, se l’obiettivo è il benessere dei cittadini, il tema non è come governare il Pd, ma come governare il Trentino”.

Parte da un parallelo con la situazione nazionale il prof. Gaspare Nevola, ordinario di Scienze politiche all’Università di Trento: “Io ci vedo una preoccupazione prioritaria su come prendere il potere, con le elezioni o arrivando alla guida del partito. Ad esempio, per parlare della leadership di Renzi, questi prima, alle primarie, ha fatto una battaglia sulla forma del partito e sulle regole interne, sulla rottamazione della classe dirigente e della sua cultura, poi, una volta preso il controllo del partito, ha posto gli obiettivi politici, dalle riforme istituzionali ai diritti civili, al mercato del lavoro”.

Questa teoria dei due tempi, probabilmente corretta a livello nazionale, non ci sembra applicabile nella situazione trentina. Perché Renzi ha potuto ingranare il turbo da segretario proprio perché, da candidato, aveva promesso la tabula rasa della vecchia cultura. Cosa che non sta certo succedendo a Trento.

“Nel PD trentino non mi pare che vi sia una leadership che ha intenzione di mettere in discussione lo status quo - concorda Nevola - È una leadership che invece si concentra sui compromessi o sul regolamento di conti interno e quindi sulla gestione dell’esistente; come dire: prima di affrontare i problemi della vita collettiva e dei cittadini ci si mette d’accordo su come ‘spartirsi il potere’. È prassi consolidata in politica, lo sappiamo. Ma ciò non toglie che in questo modo le scelte di interesse pubblico siano prese in funzione delle strategie per formare alleanze o per sconfiggere avversari interni. E così, ad esempio, non si affrontano davvero temi come il futuro dell’Autonomia, che nel resto d’Italia è ritenuta un anacronistico privilegio, ancorato a motivazioni storiche oggi irrilevanti; il PD locale sta discutendo seriamente di questo ?”

“Il PD trentino è notoriamente molto occupato e preoccupato nel gestire le proprie tensioni interne - aggiunge Ghia - Di qui un’autoreferenzialità, con tutte le energie canalizzate nelle dinamiche interne e la conseguente incapacità dell’attuale classe dirigente a indirizzarsi sui problemi reali, sui temi di governo. Si veda la segreteria Nicoletti, che ha tentato, e c’è riuscita, a tenere unito il partito, pagandone però lo scotto in termini di contenuti politici.”

I tentativi respinti

Tutto questo non è responsabilità solo del PD, ma anche - come sempre in politica - della società, che non si può candidamente chiamare fuori dalle magagne della politica. Come accennavamo prima, nella scorsa legislatura i tentativi di riflettere sull’azione di governo sono stati bruscamente castigati, non solo dallo stesso PD, ma anche dalla stampa. Ricordiamo tutti come i quotidiani, all’unisono, ripetutamente stigmatizzassero come esempio di cattiva politica gli allarmi che, su aspetti sconcertanti della politica dellaiana, venivano dal gruppo consiliare democratico, e in particolare dal capogruppo Luca Zeni. Irriso quando metteva in guardia sul debito della Provincia; quando chiedeva di soprassedere al costoso acquisto (30 milioni) di un fantomatico Centro Congressi alle Albere (oggi riciclato in una raffazzonata biblioteca d’ateneo, per non perdere del tutto quei 30 milioni e aggiungervi inoltre le immancabili perdite di gestione dell’improbabile Centro Congressi); quando avanzava dubbi sulla pratica del lease back (che dovrebbe sostenere le imprese innovatrici e invece è stato clientelarmente usato per dare milionario ossigeno ad aziende decotte, che poi ugualmente hanno tutte chiuso).

Oggi, con tutti questi problemi ancora dolorosamente aperti e i nodi venuti al pettine, aspettarsi scuse da quegli opinionisti così solerti a bacchettare il pensiero minimamente critico è del tutto inutile. Vale però la pena riflettere su quella dinamica, che ha indubbiamente inciso in modo negativo sul sistema politico trentino, accentuandone afasia e conformismo.

“Per anni a Trento c’è stato un sistema di potere pervasivo e compatto, centrato attorno a Dellai, che ha egemonizzato il territorio - afferma Nevola - Dietro questo quadro c’è un’idea della democrazia un po’ malata, che finisce per esorcizzare le critiche riducendole a elementi negativi, che frenano il processo decisionale o disturbano la governabilità; è un meccanismo che vediamo operare in diverse situazioni: da una parte la concentrazione di potere, dall’altra la collusione e il conformismo del pensiero.

Tutto ciò non fa del bene alla qualità di una democrazia, impoverisce le deliberazioni pubbliche e quindi la legittimità delle istituzioni e delle decisioni, che sono ridotte a fare affidamento sulle ‘ragioni’ tecnocratiche e sulla ‘bontà’ paternalistica. Si tratta di meccanismi che non consentono nemmeno di vedere e discutere le alternative, laddove la politica democratica è tale quando lascia spazio, riconosce e legittima il fatto che le cose possono essere fatte in modo diverso, che il mondo può andare in una direzione o in un’altra; altrimenti la politica è ridotta a superficiale amministrazione delle cose che non possono essere che quello che sono. Insomma, siamo al pensiero unico. La politica, invece, ha bisogno di orizzonti, deve aprire orizzonti, la storia ci insegna questo. Per esempio: si deve poter pensare (intanto pensare!) che dentro l’Europa ci si può stare in altro modo. Le nuove idee, o le idee non egemoniche, sono quelle che aiutano a fare avanzare, demonizzarle è regressivo.

A Trento, poi, c’è un’ulteriore caratteristica: le aggregazioni familistico-feudali, con alcuni grandi gruppi di famiglie (in senso lato) politiche ed economiche, che fanno affari tra di loro, circoli sostanzialmente chiusi ed escludenti e non molto visibili, un po’ come un tempo il salotto buono della finanza raccolto attorno a Mediobanca di Cuccia, un potere che non è conosciuto e che opera dietro le quinte. I risultati, si è visto, lasciano alquanto a desiderare”.

E così il Partito Democratico, prima preso da litigi interni, poi bastonato quando ha tentato di occuparsi di politica, ha deciso di occuparsi solo di se stesso, cioè di come spartirsi le poltrone. E quindi per il nuovo segretario ha indetto un concorso di bellezza.

Ma la realtà preme. Non sa cosa dire su un tema colossale come il Nuovo Ospedale (e l’assessora, Borgonovo, è targata PD); sulla localizzazione delle scuole (e il sindaco Andreatta, e anche l’attuale aspirante segretario Scalfi, avevano impostato la campagna elettorale comunale del 2009 contro lo spostamento delle scuole a Piedicastello, salvo poi, una volta eletti, allinearsi alle pretese dellaiane); sulla banda larga; sulla politica economica (lease-back e LaVis, tanto per citare due esempi). In compenso litiga con Bolzano per uno strapuntino da assessore regionale.

E quando il Patt - ne parliamo nell’editoriale - inizia ad affrontare i problemi, come con le Comunità di Valle, il PD si incarta. Si oppone per principio, farfuglia questioni di metodo (“Non era nel programma”, “Dobbiamo prima discuterne in Giunta”) perché semplicemente non ha idee. E rischia di cedere a Rossi e ai suoi il ruolo dei propugnatori delle indispensabili innovazioni.

E sarebbe il male minore.

Se il PD non si sveglia e sa discutere solo di sedie, è giusto che qualcun altro pensi a come cambiare il Trentino.