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QT n. 3, marzo 2016 Seconda cover

Richiedenti asilo: il modello Cinformi

Alcuni profughi segnalano una banda di spacciatori connazionali. È forse l'esito più evidente di un lungo percorso virtuoso d'integrazione.

La sede del Cinformi

Esiste un “modello trentino” di accoglienza dei profughi?

A giudicare da come sono stati gestiti questi ultimi anni di ‘accoglienza straordinaria’, si direbbe di sì. Ma facciamo un passo indietro: perché il Trentino è tenuto ad accogliere un certo numero di profughi? Dopotutto non approdano certo sulle rive del lago di Caldonazzo. Quest’obbligo è stabilito da un accordo Stato-Regioni volto a gestire al meglio, a livello nazionale, la crisi dei profughi provenienti dalle coste del Nord Africa. I richiedenti asilo, una volta sbarcati sulle coste italiane, vengono distribuiti sul territorio nazionale in proporzione agli abitanti.

Al Trentino, in base a questa regola, spetta l’assorbimento di poco meno dell’1% delle persone accolte a livello nazionale; questo significa, sulla base degli arrivi, circa 1200 individui da supportare durante le procedure di richiesta d’asilo (che in media durano circa 18 mesi).

A fine 2015 i richiedenti asilo presenti nel progetto di accoglienza coordinato dal Cinformi erano 949, la maggior parte dei quali distribuiti tra Rovereto e Trento.

Nel resto d’Italia l’accoglienza è gestita dalle prefetture: non appena il governo assegna un certo numero di profughi ad una regione, è responsabilità del prefetto allocare questi nuovi arrivi presso le strutture adatte, e per fare ciò ricorre ad accordi diretti con le realtà private che si sono sviluppate per gestire il fenomeno. Questo sistema diventa macchinoso e scoordinato quando, in situazione di emergenza, la prefettura deve coordinare la disposizione sul territorio contattando i vari partner.

Riepilogo persone accolte

  • Presenti al 31/12/2015 949
  • Arrivati nel 2015 1178
  • Usciti nel 2015 781
  • Età media 25
  • Maschi 885
  • Femmine 64

(fonte Cinformi)

Nazionalità presenti

  • Pakistan 264
  • Nigeria 170
  • Bangladesh 94
  • Mali 84
  • Gambia 82
  • Senegal 54
  • Ghana 49
  • Afghanistan 34
  • Costa d'Avorio 29
  • Altre Nazionalità 89

In Trentino, però, il meccanismo è molto diverso. Quila Provinciaha voluto farsi carico direttamente della gestione di questa emergenza, ricorrendo al Cinformi.

Il Cinformi, per esteso Centro Informativo per l’Immigrazione, risponde al Dipartimento di Salute e Solidarietà Sociale della Provincia e svolge un ruolo di coordinamento essenziale in questa questione così delicata.

Quando il Commissariato del Governo (che a Trento svolge le funzioni altrove spettanti alle prefetture), deve comunicare i nuovi arrivi previsti, esso si limita a prendere contatti con un solo ente, il Cinformi, evitando così di occuparsi direttamente della complicata gestione logistica.

Questa collaborazione tra ente pubblico e privato sociale, forse figlia di un desiderio di valorizzare l’impianto autonomista del Trentino, garantisce però un alto livello di efficienza.

La finalità del Cinformi, nella gestione di questi arrivi, è l’integrazione tramite l’inserimento territoriale; l’accoglienza dei richiedenti asilo - come spiegato nel dettaglio nel numero di gennaio di QT - consiste in una serie di servizi che il Cinformi offre coordinando la quindicina di enti privati con cui collabora, quasi tutti cooperative o associazioni. Non solo vitto, alloggio e assistenza di base, ma un aiuto pensato per l’integrazione a lungo termine: corsi di italiano, corsi di formazione al lavoro e al volontariato, percorsi di inserimento alla vita comunitaria.

Lo Stato garantisce per ogni richiedente asilo una sorta di diaria utile a coprire i costi di mantenimento e i servizi sopra citati. Seppur siano 30 gli euro giornalieri previsti, il modello Trentino è costato, nel 2015, 27,5 euro a persona.

Nonostante il percorso messo a punto dalla macchina dell’accoglienza, è lecito immaginarsi che gli uomini e le donne (i pochi sopravvissuti dei molti partiti), che giungono in Trentino dopo lunghi mesi di privazioni, quanto mai vicini ad una vaga speranza di vita migliore e sicura, possano provare a volte un’acuta frustrazione.

La frustrazione che confina nello spaesamento provocato dal trovarsi in un luogo ignoto, con regole nuove e pratiche burocratiche sconosciute; l’incertezza nel non capire la ratio degli spostamenti obbligati da una struttura all’altra; la sospensione del tempo nell’attesa immobile di una decisione che potrebbe annullare con una lettera tutti gli sforzi compiuti per scappare da un luogo invivibile.

È facile comprendere l’esigenza di cercare persone appartenenti alla propria comunità nazionale, con cui condividere lingua e cultura. Come è stato per ogni popolo che ha vissuto l’immigrazione, sono le comunità già presenti nel luogo di destinazione a rappresentare il primo vero e proprio ‘approdo’, perché in grado di fornire i punti di riferimento e le certezze che aiutano a trasformare un luogo ostile in una nuova casa.

Queste stesse comunità nazionali, però, spesso sono divise tra migranti ben avviati nel processo d’integrazione, soggetti inseriti nei percorsi di accoglienza, e coloro che invece non ne fanno parte, fuoriusciti per varie ragioni o, magari, clandestini privi di documenti in regola. In questa commistione di condizioni (spesso gestite dalla legge in maniera molto rigida), diviene attraente il richiamo dell’informalità, dalle sue relazioni economiche più innocue fino alla vera e propria impresa criminale.

Costruire un percorso di legalità credibile ed efficace, considerata la quantità di ostacoli fisiologici all’integrazione dei migranti, è tanto importante quanto difficile.

Un ruolo così delicato difficilmente viene preso in carico dalle prefetture, essendo i loro obiettivi principali l’ordine e la sicurezza. Allo stesso modo il privato sociale tende ad essere una galassia diffusa di realtà troppo piccole per poter incidere sistematicamente sulla gestione politica di questi processi. Il Cinformi invece dimostra di essere una struttura intermedia tra queste due dimensioni. Così, forte del suo essere essere un’istituzione pubblica con l’integrazione come obiettivo, le conseguenze positive si vedono.

Una riprova del positivo funzionamento di questo sistema è stata offerta dalla cronaca di qualche giorno fa. Il 18 febbraio una serie di arresti ha sgominato un’organizzazione composta da alcuni cittadini del Gambia che si occupava di stupefacenti, dal trasporto in Trentino alla vendita.

Tutti gli 11 arrestati avevano in passato intrapreso il percorso di accoglienza in regione, e due di loro erano ancora ospitati nei centri provinciali. Il fermo di queste persone è stato possibile anche grazie alle segnalazioni di alcuni richiedenti asilo, che hanno deciso di indicare le attività sospette proprio agli operatori del Cinformi. Tale gesto è sintomatico non solo del consolidato rapporto di fiducia che gli operatori dell’accoglienza sono riusciti a stabilire, ma soprattutto del fatto che il percorso di integrazione offerto ai richiedenti asilo trentini riesce nel servizio più importante: trasmettere la convinzione che ci siano concrete prospettive per un futuro migliore all’interno del binario della legalità.

Le parole sono importanti

“Termine”, diversamente da “parola”, richiama per significato etimologico la definizione precisa di qualcosa, la sua parte estrema, un confine da non superare; molto spesso, tuttavia, la precisione viene meno e il linguaggio specialistico si contamina con quello comune, ingenerando confusione e pressapochismo.

Tra questi termini impiegati in modo vago e arbitrario, e a cui invece si dovrebbe ricorrere in modo preciso ci sono quelli usati per definire le persone coinvolte nel fenomeno dello spostamento dei popoli. Migranti, rifugiati, immigrati economici, richiedenti asilo sono, oltre che definizioni linguistiche, concetti giuridici di cui è necessario servirsi con giudizio e conoscenza.

Il più comune è migrante, che viene solitamente usato come definizione generica per descrivere chiunque si sposti dal proprio paese d’origine verso un altro (eccezion fatta, si noti bene, per i migranti “altamente qualificati”, che alcuni chiamano expat e solitamente hanno la pelle bianca). Migrante è dunque una categoria che raccoglie sotto di sé tutte le altre definizioni più precise: migrante economico è colui che decide di spostarsi per una motivazione personale, spesso quella di migliorare appunto la propria condizione socioeconomica. Costoro possono essere regolari o irregolari (questi ultimi perseguibili penalmente in Italia, dal 2009, per reato di clandestinità), in base al possesso o meno di permesso di soggiorno o visto lavorativo; regolarità e irregolarità sono condizioni non permanenti che possono rapidamente invertirsi a causa della scadenza e del mancato rinnovo dei permessi.

Quando non sono economici, i migranti vengono definiti forzati, e si dividono in due categorie: gli sfollati, cioè coloro che si spostano dal luogo in cui vivono ma rimangono all’interno dei propri confini nazionali; ed i rifugiati, che per divenire tali devono passare attraverso un iter burocratico che li vede all’inizio come richiedenti asilo. Costoro lasciano la loro terra d’origine e inoltrano una richiesta d’asilo presso un paese ospitante; ciò implica uno spostamento causato, diversamente dai migranti economici, da persecuzioni razziali, religiose o politiche, da eventi bellici o comunque violenti, da cataclismi naturali. La richiesta d’asilo sopraggiunge nel caso in cui il richiedente sostenga di trovarsi in una situazione di pericolo che gli impedisce di restare o tornare nel suo paese: se tale richiesta viene accolta egli rientra nello status giuridico di rifugiato e la sua condizione viene regolarizzata. Concettualmente il termine rifugiato si sovrappone a quello di profugo, ma i due si differenziano perché soltanto il primo è sancito e definito dal diritto internazionale.

Valentina Lovato

Il percorso dei richiedenti asilo in Trentino

Arrivo del profugo.

In questa fase il profugo arriva alla Residenza Fersina in via al Desert a Trento. Gli uomini si fermano nella residenza mentre le famiglie e le donne vengono accolte nella Residenza di Marco di Rovereto e i ragazzi dai 17 ai 20 anni nel centro predisposto al Brennero.

In questi centri alcuni si fermano a dormire per una sola notte e riprendono il viaggio verso altri paesi. I rimanenti vengono identificati e sottoposti ad ulteriore visita medica. In seguito all’accordo di Dublino il profugo deve richiedere necessariamente asilo nel paese di identificazione e viene quindi inserito nel processo di accoglienza. Il profugo può fare richiesta di asilo in base a tre modalità: come rifugiato, in seguito a domanda di protezione da persecuzione personale o di protezione umanitaria.

Il processo di accoglienza

dura circa 14 mesi durante i quali il richiedente asilo viene accompagnato e seguito tramite formazione continua con corso di italiano obbligatorio e supporto legale in vista della futura presentazione della richiesta di asilo di fronte alla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

La Commissione

Davanti alla commissione territoriale, che per il Triveneto ha sede a Verona, il richiedente deve documentare la sua idoneità allo status da lui richiesto.

La commissione è composta da 4 componenti: 2 esponenti del Ministero dell’Interno, 1 rappresentante dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (UNCHR) e 1 dell’ente territoriale locale.

Esito dell’audizione

Nel caso di esito positivo il processo di accoglienza si intende terminato e il richiedente asilo ottiene lo status, mentre nel caso di esito negativo l’interessato ha la possibilità di fare ricorso entro 30 giorni. In assenza di ricorso allo scadere dei 30 giorni il richiedente asilo diventa clandestino. Se il ricorso viene invece presentato, l’accoglienza viene prorogata per altri 4 mesi in attesa della decisione.

Elena Leonardi