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QT n. 12, dicembre 2018 Servizi

Conoidi, un rischio trascurato

Come si spiega e cosa ci insegna la tragedia di Dimaro, le montagne, per loro natura, scendono a valle; siamo davvero certi di saper impedire che ci cadano addosso?

Un conoide di deiezione è un tratto di territorio a forma di fetta di cono, con vertice allo sbocco di una valle scoscesa, costruito, nel tempo, dal materiale eroso dal corso d’acqua che sbocca nella valle. Nelle carte geologiche viene rappresentato da una raggiera triangolare di raggi azzurri con vertice allo sbocco, che rappresentano le possibili traiettorie delle varie scariche di materiale, come pure neve trascinata a valle dal corso d’acqua o da valanghe (vedi carta sotto).

Giorni addietro, riferendomi una cara amica di un giovane immigrato che proveniva dall’Africa occidentale, sono rimasto stupito dall’osservazione che questi aveva fatto, volgendo lo sguardo alle montagne che ci circondano: “Questo è un posto pericoloso, può cadere giù tutto” .

E in effetti per lui che proviene da una terra molto più antica della nostra, dove le montagne sono state già spianate dalle intemperie per centinaia di milioni d’anni, osservare le nostre montagne, geologicamente molto più giovani, “appena” emerse dall’oceano primordiale, da “solo” qualche decina di milioni d’anni, ancora in fase di spianamento, può mettere lo stato d’ansia che ha comunicato.

Il timore del giovane è tutt’altro che infondato: le montagne, per loro natura, scendono a valle; siamo davvero certi di saper impedire che ci cadano addosso?

Le condizione climatiche dell’ottobre 2018, di grande piovosità – fino a 300mm in tre giorni con punte anche superiori (un terzo della piovosità media di un intero anno!) e i fortissimi venti che hanno devastato una parte del territorio trentino, hanno messo in luce la fragilità di alcune opere che erano state progettate per prevenire il disastroso fenomeno.

A Dimaro, ad esempio, un modesto torrente, il Rotian, sul quale si erano erette, nel tempo, una ventina di briglie (che sono muri in pietrame o cemento armato, ma anche in tronchi di legno, posti di traverso nei torrenti per modificarne la pendenza al fine di ridurre la velocità dell’acqua e l’erosione delle rive) è stato in grado di demolirne l’80% e precipitare disastrosamente, con tutto il materiale da esse trattenuto, distendendosi a valle, sul vecchio conoide di deiezione, provocando un dolorosissimo danno alle persone che colà si erano stabilite. E attenzione: non erano case abusive in posti pericolosi come accaduto recentemente sul torrente Milicia in Sicilia!

La cronaca racconta: “Verso le 19 del 29.10.2018 il torrente Rotian ha rotto gli argini e si è precipitato a valle investendo un campeggio e le abitazioni vicine. Una donna di 45 anni, Michela Ramponi, madre di due figli , è morta, travolta, nella sua abitazione, dal materiale trascinato dal torrente. 200 persone sono state fatte evacuare.”

Il piano di protezione civile del Comune, di recente approvazione, non prevedeva tale evento. I torrenti Meledrio e Rotian da tempo erano stati messi al sicuro – si riteneva - con opere di imbrigliamento ed arginatura.

Il sindaco aveva, in occasione della messa in allarme del Trentino per le grandi piogge in atto, costituito un gruppo di lavoro per affrontare le possibili emergenze, ma la disastrosa frana ed esondazione dalle briglie evidentemente non erano eventi ritenuti possibili; solo dopo il precipitare a valle di fango e massi fu emesso l’ordine di sgombero delle abitazioni ormai colpite.

Il tragico evento impone quindi diverse considerazioni. Partendo dal fatto che una parte della popolazione del Trentino vive su conoidi di deiezione, ora siamo obbligati a rivedere le modalità con le quali ciò sia accaduto, con l’occupazione di zone sempre più estese dei conoidi lasciando libero, a volte, solo uno stretto passaggio per il torrente imbrigliato ed arginato.

Le tre fasi di un’espansione sempre più rischiosa

Studiando, seppur in modo superficiale, il conoide dove a Dimaro, il 29 ottobre scorso, si è spianata la valanga di materiale trascinata dal torrente Rotian, salta all’occhio che l’abitato si sia insediato colà in tre fasi della storia della val di Sole. La più antica, quella dell’economia del legname e delle miniere, una seconda, quella dello sviluppo turistico invernale di Marilleva, e una terza, quella dello sviluppo turistico estivo, con campeggi e sport fluviali.

Le tre fasi hanno comportato l’estensione dell’abitato sul conoide di deiezione, occupandolo per intero, fatto salvo uno stretto passaggio per il torrente imbrigliato ed arginato (vedi la carta di sintesi geologica del Piano urbanistico in vigore nell’anno 2018).

La prima fase risulta quella più attenta al pericolo rappresentato dal conoide di deiezione, attenzione tramandata nella storia dal ricordo di più precipitazioni di materiale dal torrente che scende da Costa Rotian, precipitazioni che avevano, all’epoca, terrorizzato la popolazione inducendola a sistemare le loro piccole case nella parte a monte della dorsale, tra il torrente Meledrio ed il torrente Rotian, quella meno soggetta a rischio di precipitazioni di materiale. Si arriva in tale fase ai primi del ‘900, quando l’impero austroungarico, dopo la terribile alluvione del 1882, studia le modalità per assicurare un minimo di tranquillità all’abitato, applicando una nuova tecnica di difesa, evoluta da quella già in uso nella Repubblica Veneta. È in tale fase che vengono realizzate le prime briglie in legno e muratura lungo il torrente, in grado di ostacolare il potere erosivo del torrente e trattenere il materiale eroso.

Si trattava di un progetto sperimentale molto ambizioso - fermare lo spianamento delle nostre montagne causato dalle forze della natura - di grande impegno, visti i modesti mezzi dell’epoca, che inizia a ridurre il timore nei cittadini, affascinati dalla nuova tecnica delle briglie in legno e muratura. Le grandi piogge si susseguono da allora, senza relative colate di materiale o con minime precipitazioni dello stesso, che viene trattenuto a monte caricando gli invasi costituiti dalle briglie. Ed aumenta sempre più la fiducia della popolazione nei lavori di messa in sicurezza.

La seconda fase di espansione dell’abitato, quella del ruggente sviluppo economico degli sport invernali di Marilleva e Folgarida degli anni ‘70, coincide con la fase di pianificazione della Provincia: è l’epoca del primo Piano Urbanistico Provinciale (PUP). Si studiano le aree di espansione urbana, le nuove strade, le aree turistiche, le piste sciabili, ecc. È la fase durante la quale la pericolosità del torrente viene evidenziata dagli esperti forestali, ma gli stessi poi, con il proprio comitato tecnico, ipotizzano di ovviarvi con nuove briglie più sicure, forse solo più stabili: briglie in cemento armato munite di barriere filtranti, già studiate dal Genio Civile negli anni ‘60.

Così il piano urbanistico osa ipotizzare una nuova edificazione fuori dalla zona della dorsale occupata dal vecchio paese ed entrare nella zona del conoide più vicina, quella tradizionalmente indicata con il termine “Gole”. Viene costruito un nuovo abitato, di fianco a quello di antica data, con grande soddisfazione dei proprietari del conoide, bello e con abitazioni sempre più confortevoli. Il torrente, durante le grandi piogge, contenuto anche dalle nuove opere, non dà segni di aumentato rischio per l’abitato.

Si decide quindi di estendere l’economia al turismo estivo, ed è la terza fase dello sviluppo urbano con estensione dell’abitato di Dimaro sul resto del conoide di deiezione, quello tradizionalmente indicato con il termine “Rovina”. Si pianifica di sviluppare la parte a valle del conoide, con un grande campeggio, con costruzioni in legno ed alcune abitazioni. Il torrente è assicurato da una decina di briglie in legno e muratura e da due nuove briglie filtranti in cemento armato. Durante una grande pioggia nasce qualche problema, che impone lo sgombero precauzionale del campeggio; è una prima allerta, superata con lo sgombero e successivo rientro, anche se già si comincia a pensare di spostare il campeggio in zona più sicura.

Si arriva all’evento del 29 ottobre. Durante un prolungato evento di forte pioggia le briglie, che avevano nel passato assolto alla loro funzione - caricandosi del materiale della vecchia morena, eroso dal torrente - già più o meno piene, cominciano a cedere sotto il carico del materiale, colpite dalla precipitazione di grandi massi della morena e dalla spinta dell’acqua, e rovinano a valle una sull’altra, quasi tutte, ed il materiale arriva sulla sua sede naturale, il conoide, sovrapponendosi agli strati di materiale di vecchia data, con gli effetti che si sono tristemente manifestati.

Una fiducia malriposta

Qui trattiamo del punto chiave: la fiducia dei cittadini trentini nei lavori di trattenuta del materiale a monte dei conoidi di deiezione, quanto è ben riposta? Perché è questa fiducia che ha indotto lo sviluppo degli abitati sempre più sui conoidi di deiezione. Dando vita da una parte a costosissimi lavori di manutenzione delle opere di trattenuta, dall’altra a situazioni di non certissima sicurezza. E fino a quando?

Un esempio per chiarire. Ravina, Romagnano, Mattarello, sono in parte estesi su conoidi di deiezione e la stessa città di Trento è in parte estesa sul conoide di deiezione del Fersina, ed il Fersina non è proprio un torrentello. Sono state fatte opere molto importanti, per trattenere a monte di Trento il materiale d’erosione - che proveniva dal torrente Silla da Pinè e dal Fersina - nel punto più stretto della piana di Pergine, la Serra Cantanghel, e più a valle quelle più antiche di Ponte Alto, una in legno, di origine veneziana, ed una in muratura fatta ai tempi dell’impero austroungarico, ed arginato il torrente, che scorre pensile, cioè a una quota superiore rispetto a gran parte della città, con arginature pesanti in pietra.

Una visione che può indurre qualche pensiero di maggiore modestia davanti alle opere dell’uomo, si può fare nel museo delle vestigia della Trento romana, ben visibile sotto il Teatro Sociale. Le strade di Tridentum, di 1800 anni fa, correvano a 6-7 metri sotto il piano della sovrastante piazza, e il materiale sovrastante proviene tutto dall’erosione prodotta dai torrenti Silla e Fersina, caricato sul conoide di Trento durante le varie alluvioni che si sono susseguite nei secoli. Oggi il materiale di erosione, sempre più contenuto dalle varie briglie realizzate sul Silla e sul Fersina, viene infine trattenuto dalla serra Cantanghel e di Ponte Alto, mentre quello più sciolto viene allontanato dalla corrente del Fersina e dell’Adige sino al mare, andando a depositarsi sulle spiagge dell’Adriatico. Un’opera ciclopica di grande valore, progettata sulla base di portate eccezionali, con tempi di ritorno di 100-200 anni.

A questo punto, di fronte al mutarsi delle condizioni climatiche e all’intensificarsi di quelle estreme, si impone di girare pagina. Perché se da una parte, di fronte al disastro di Dimaro, la magistratura dovrà stabilire se ci sono state responsabilità e quali, nel permettere l’edificazione in un’area a rischio, nel progettare opere di difesa rivelatesi inadeguate o non sufficientemente sottoposte a manutenzione e nel non attuarne lo sgombero al verificarsi di eventi estremi, dall’altra occorre attrezzarsi per il futuro.

Anzitutto mettendo un robusto stop alle edificazioni sui conoidi. Si parla sempre, e lo si scrive sui documenti, che non si deve più costruire, ma riusare. Poi si va comunque avanti con nuove costruzioni. Bene, da ora in poi, con buona pace dei proprietari di terreni edificabili, sui tanti conoidi non ci dovrà essere alcuna nuova costruzione: occorrerà revocare le edificabilità troppo allegramente concesse in aree a rischio.

Si dovrà poi rivedere lo stato delle tante opere a tutela del territorio, valutare la loro rispondenza di fronte ad eventi sempre più estremi, ed in ogni caso investire in manutenzione.

Infine, nella consapevolezza che tutto questo non riuscirà ad assicurare una piena sicurezza, di fronte a imminenti pericoli si dovranno elaborare efficaci piani di sgombero.

Riconosciamo che la politica, di fronte al disastro ha saputo essere vicina alla gente. Ma piangere non basta. Avrà la politica il coraggio e la forza di attuare un programma come quello sopra delineato? Altrimenti dovremmo concludere che in questi giorni abbiamo visto lacrime di coccodrillo.