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QT n. 4, aprile 2019 Seconda cover

Dimaro: una tragedia evitabile

Gli studi, le carte dei rischi, le (troppo) grossolane sviste, le mancate applicazioni. Cosa ci insegna una tragedia purtroppo replicabile; e come si può rimediare.

Dimaro

Il tema tanto complesso quanto importante della sicurezza idrogeologica del territorio, che abbiamo già affrontato nel numero del gennaio scorso merita ulteriori approfondimenti. Come auspicato da “Life Franca” (un progetto europeo per conoscere e anticipare il rischio alluvionale nelle Alpi) e come dovrebbe imporci il ricordo della terribile esperienza del novembre 2018 avvenuta sul conoide di deiezione del torrente Rotian a Dimaro.

Prendiamola alla lontana, per meglio inquadrare la gravità del problema. Nel passato - si parla dal mesolitico in poi - gli abitanti primitivi del territorio trentino - liberato dai ghiacciai, e dopo la successiva fase delle grandi alluvioni, di cui sono testimonianza i grandi depositi di ghiaia lungo l’Adige e i conoidi di deiezione nelle valli laterali - scelsero di insediarsi in zone alte rispetto ai fondovalle paludosi, in zone dove potesse trovarsi acqua pura da bere e terreno fertile da coltivare.

I conoidi di deiezione apparvero come i terreni più favorevoli all’insediamento dei villaggi. Gli abitanti primitivi non curavano più di tanto il fatto che i torrenti a monte dei conoidi, in occasione di grandi piogge, si gonfiassero e precipitassero a valle trasportando con l’acqua un gran quantitativo di materiale. Consideravano il fenomeno come una spaventosa iattura da sopportare assieme alle altre. Una volta distrutta parte del villaggio, cercavano le zone dei conoidi meno interessate dall’ultimo fenomeno della colata detritica e si reinsediavano.

Oggi, con la conoscenza delle caratteristiche geomorfologiche dei terreni, sappiamo che in tutti i bacini idrografici alpini e sui conoidi di deiezione di fondovalle la forte pendenza ed impetuosità dei torrenti, che ingrossano rapidamente in occasione di eccezionali precipitazioni trascinando pietrame di ogni specie e dimensione, trasforma queste zone in aree poco adatte all’insediamento umano, perché soggette ad alto rischio idrogeologico.

Gigantesco masso portato a valle dal torrente Riotan e miracolosamente fermato da una briglia.

Gli stessi conoidi sono frutto di ripetuti e improvvisi eventi catastrofici, con acqua, fango e pietrame in un unico flusso a spaventosa velocità ed elevatissima capacità erosiva, il che comporta, nel tempo, modificazioni profonde del territorio con successivi ulteriori fenomeni di instabilità nei versanti: si ricordi la dimensione di 400 metri cubi del singolo masso trascinato a valle dal torrente Rotian a Dimaro.

Tutto questo conferisce ai conoidi, che costituiscono l’area dove la grande massa di detriti rallenta fino ad arrestarsi, una certa pericolosità, che si traduce in elevato rischio per gli insediamenti umani.

L’urbanistica, che è la scienza che studia la dislocazione delle attività umane e la modificazione del territorio ai loro fini, si è fatta carico a partire dai primi anni Sessanta del Novecento, di studiare le caratteristiche di tutte le aree del Trentino; inizialmente soprattutto per assecondare e razionalizzare le più disparate richieste ed interessi e curando solo superficialmente le zone di rischio; successivamente, con il ripetersi dei fenomeni alluvionali, ha approfondito la conoscenza delle stesse, rischi idrogeologici compresi.

1. La prima carta di sintesi geologica (1987-2008) nella zona di Dimaro. Si noti come l’area attorno al Rotian non sia indicata a rischio.

Così a partire dal 1987 nella nostra provincia si è dato corso alla stesura della carta di sintesi geologica, poi ripetutamente aggiornata sino al 2008 (vedi carta 1).

Ci permettiamo di avanzare profonde perplessità sulla congruità di questo lavoro, come plasticamente appare nella prima cartina qui riportata: l’area insediata di Dimaro, dal vecchio abitato sino all’area a cavallo del Rotian in zona Rovina, (nome che anch’esso avrebbe dovuto mettere in allarme) veniva disegnata in bianco, non in rosa più o meno carico (che indica pericolo marcato o medio): veniva quindi dichiarata area non a rischio, per cui l’edificabilità era permessa, e difatti fu realizzata. Ma nel novembre del 2018 la natura ha presentato il conto.

La seconda carta

2. La seconda carta di sintesi geologica (2017) nella parte relativa a Dimaro. L’area attorno al Riotan è tutta a rischio, anche massimo.

Solo il 19 maggio 2017 (finalmente!) è stata redatta, approvata dalla Giunta provinciale e pubblicata, una più consona carta delle pericolosità, che propone anche le caratteristiche delle costruzioni. Nella seconda cartina (vedi sopra) cosa si prevede per la disgraziata area di Dimaro?

Come si vede, ci sono le aree in rosa carico, dichiarate di pericolo massimo, dove non sono consentiti gli insediamenti; le aree blu, di pericolo medio, dove si ritiene possibile un fronte di colata detritica fino ad un metro d’altezza, mortale se investe le persone, e si prevede per gli insediamenti esistenti lo spostamento o almeno un sistema di protezione da tale colata ed un presidio durante le forti piogge; le aree in giallo, di pericolo basso, dove si ipotizza un fronte di colata detritica alto sino a mezzo metro, anch’esso quindi molto pericoloso se investe le persone, e si prevede per gli insediamenti esistenti che non possano essere spostati, almeno un sistema di protezione dalla colata con barriere protettive, e con presidio durante le forti piogge.

Concentriamoci su Dimaro (ma il discorso è evidentemente più generale). Nel 2017 si è quindi rimediato all’imperdonabile assenza di prescrizioni della cartina precedente, che aveva permesso di costruire in aree dove il rischio era concreto e da tempo noto (vedi appunto la denominazione): l’area circostante il torrente Rotian è tutta soggetta a pericolo, anche massimo.

Una volta rilevato che si è costruito dove non si sarebbe dovuto, che addirittura c’era un campeggio dove erano previste ondate di fango e sassi alte da mezzo metro a un metro, rilevato tutto questo, la carta prevede anche le disposizioni per rimediare, per minimizzare rischi e danni. Invece non si è fatto assolutamente nulla. Come mai?

L’inerzia

Il fatto è che purtroppo, in attesa di valutazioni ulteriori, principalmente da parte dei Sindaci, la carta delle pericolosità del territorio trentino dal 2017 non è stata resa ordinatoria da subito, mediante un provvedimento di salvaguardia, ma semplicemente resa nota al pubblico. I sindaci, cioè, erano a conoscenza dei rischi, ma non erano tenuti a porvi rimedio.

È solo dal 7 settembre 2018 che si è cominciato a dar corso all’applicazione della carta delle pericolosità, ma solo a una parte del territorio, quello di Trento, di Caldonazzo e della Rotaliana fino a Mezzolombardo. E anche qui ci sono rilievi non lusinghieri da fare.

3. La carta nella parte relativa a Trento

Vediamo a Trento la carta delle pericolosità riguardante la zona caserme e innesto del torrente Fersina con l’Adige (vedi sopra). Sono da notarsi ampie aree bianche, che comprendono terreni già alluvionati nel 1966, per i quali non si indica alcun indice di pericolosità. Ora, è vero che siamo in pianura, e non ci potrebbero essere eventi tragici come quello di Dimaro, ma la semplice memoria storica indica che lì c’è un grossolano errore: quella è un’area dove i corsi d’acqua possono esondare e sono esondati. Come mai allora quell’area bianca? Ricordiamo che proprio lì andrebbe costruito il NOT.

In conclusione, possiamo dire che attualmente vi sono sufficienti competenze e conoscenze dei fenomeni. Quindi, se non intervengono interferenze affaristiche o politiche, si dovrebbe essere in grado, mantenendo aggiornato il sistema, di prevenire il ripetersi di disastri come quello accaduto a Dimaro. Ma nella prevenzione bisogna crederci.

A Dimaro, si ricordi, non è ancora applicata la carta di sintesi delle pericolosità, neppure in salvaguardia! Ora la Provincia, assecondando non si sa quale disegno, ha deciso di acquistare parte dell’area alluvionata di Dimaro per realizzare un parco pubblico. Farebbe molto meglio invece a rendere da subito obbligatori i dettati della carta.

Il fatto è che i fenomeni climatici più estremi sono diventati ricorrenti; quelli previsti, in base ai dati storici, con ricorrenza ogni duecento anni, ora, con le mutazioni climatiche, sono valutati con tempi di ricorrenza dimezzati - cento anni - con previsione di ulteriore peggioramento.

Allora il punto critico è la capacità della Provincia e dei suoi abitanti di mantenere aggiornato il sistema, in termini non solo di mappatura (la parte più semplice), ma principalmente di divieto assoluto (basta con le deroghe agli amici!) di costruzione nelle zone a rischio; al contrario, eliminazione di qualche porzione di abitati, ristrutturazione difensiva di altre parti degli stessi, revisione delle opere di difesa dei torrenti.

Da ultimo, una più adeguata pianificazione, assieme agli abitanti, delle azioni di protezione civile al manifestarsi di fenomeni piovosi come quello che ha colpito Dimaro, dove gli allarmi sono scattati dopo il disastro, non prima: si tratta di azioni un po’ traumatiche ma decisive, quali divieti di transito, di sosta negli scantinati, ed eventualmente sgombero della popolazione.