Dopo la tempesta
La tempesta “Vaia” che ha sconvolto il Triveneto deve essere occasione di un cambiamento di rotta nella gestione dei boschi, e non solo
La tempesta denominata “Vaia” del 29 ottobre ha riportato la dovuta attenzione sul valore del sistema forestale in Trentino e in tutta Italia. In lunghi decenni di caduta culturale e scientifica le osservazioni sulla gestione dei boschi e il valore degli alberi si erano ridotte al tema della sicurezza e dell’ombreggiamento degli abitati; il disastro abbattutosi sul territorio e la conseguente sorpresa e ondata emotiva di chi vive nelle vallate dolomitiche probabilmente favorirà una ripresa di valutazioni più oggettive e più complessive.
La tempesta “Vaia” non è un’eccezione in Europa: nell’ultimo ventennio si sono succeduti disastri che hanno provocato schianti superiori ai 100 milioni di metri cubi, mentre i danni forestali della tempesta “Vaia” si aggirano sugli 8 milioni. In tutta Europa la media annuale degli schianti forestali da vento si aggira sui 38 milioni di mc, il 50% dei danni forestali, un altro 16% dipende dagli incendi, il rimanente si riferisce a attacchi parassitari o a strutture forestali inadeguate.
La tempesta “Vaia” non è stata solo un’alluvione con i conseguenti dissesti idrogeologici: nulla resiste alla forza di un vento che ha superato anche i 200 Km/h, una energia eccezionale, unica nella memoria anche documentata. Le due alluvioni del 1882 e 1885, pur nella loro tragicità, non avevano sconvolto in modo tanto deciso le nostre foreste: solo la Grande Guerra aveva portato al disboscamento di interi fondovalle e di versanti ritenuti strategici dal punto di vista militare. Ne consegue che i danni forestali non sono dovuti a errori gestionali.
Certo, i boschi alpini, ricostruiti in modo artificiale dopo le due guerre, presentavano debolezze strutturali non trascurabili (monospecifici, prevalenza di abete rosso, boschi artificiali e per lo più coetanei), ma da decenni le superfici forestali erano gestite con attenzioni naturalistiche non trascurabili: si cercava di modificarne nel tempo la struttura per rendere la foresta più forte, più ricca di biodiversità, favorendo ovunque possibile la rinnovazione naturale. Un lavoro che non è terminato e che ha bisogno di tempi ancora lunghi.
Sono crollati ettari di superfici boschive ben gestite come i boschi comunali, e quelle fragili, quasi devastate da una gestione economicista come quelle della Magnifica Comunità di Fiemme, boschi abbandonati, giovani e maturi, misti o monospecifici. Dove il vento ha colpito tutto è crollato.
Le motivazioni di questa tempesta hanno a che vedere con i cambiamenti climatici in atto: al centro, un mare Mediterraneo sempre più caldo e ormai produttore di eventi ciclonici sempre più frequenti, con manifestazioni estreme. È evidente come sia venuto il momento che la politica e i settori economici prendano atto, con decisioni concrete e coraggiose, di quanto sta avvenendo.
Ognuno per conto suo
In Trentino si sono avuti oltre 3 milioni di metri cubi di schianti (ogni anno vengono utilizzati 550.000 mc mentre l’accrescimento annuale del patrimonio è valutabile sugli 800.000 mc), che hanno interessato circa il 3% della superficie forestale provinciale; alcuni versanti sono stati abbattuti al 100%, molti altri con percentuali minori. Altri 3 milioni hanno interessato il Veneto, ma le sue montagne sono state per lo più piegate da una vera e propria alluvione che ha stravolto viabilità, servizi essenziali come acquedotti e reti elettriche, fiumi e torrenti.
I tre ambiti regionali (Veneto, Friuli, Trentino Alto Adige) sono inseriti in Dolomiti Patrimonio naturale dell’Umanità e sembrava logico, in presenza di un disastro così diffuso, che si dovesse costruire una regia unica nell’affrontare la calamità, individuando le priorità di intervento, costruendo una efficace filiera della gestione del patrimonio (recupero, ditte boschive, approvvigionamento delle segherie, vendita, stoccaggio, rimboschimenti e cura). Invece ognuno è andato per conto suo e le realtà amministrative più fragili sono rimaste abbandonate.
Con incredibile efficacia Bolzano ha iniziato il recupero del materiale legnoso come la Magnifica Comunità di Fiemme, chiamando in soccorso anche compagnie boschive francesi e austriache. I comuni trentini invece sono rimasti spettatori causa una burocrazia cieca (segretari comunali e immobilismo della Provincia), il bellunese sta curando le ferite più laceranti, la ricostituzione dei servizi essenziali. Si sono così già persi 60 strategici giorni lavorativi lasciando il legname a terra, preda di insetti e di muffe. Un dato è certo: al di là del patrimonio UNESCO, inteso come marketing, ad oggi non esiste una comunità delle Dolomiti.
In particolare in Provincia di Trento, anche dove c’è stato un notevole impegno degli amministratori, si è rimasti impigliati in un groviglio normativo inestricabile: ogni procedura d’urgenza nel recupero del legname è stata impedita da norme sugli appalti che impediscono decisioni veloci.
La parte politica della nostra Provincia sembra interessata a tenere le riunioni di giunta in località periferiche, con spot pubblicitari che imitano il presenzialismo salviniano, con dichiarazioni di facciata, selfie e messaggini, mentre le ordinanze che dovevano risolvere le tante emergenze in termini di sicurezza e recupero del patrimonio boschivo attenderanno il varo dopo la metà di gennaio, ad oltre 3 mesi dall’evento.
In termini economici cosa comporta questo ritardo? Non si è costruita una pianificazione delle emergenze e delle priorità di intervento, nonostante un commissariamento provinciale. Alcuni enti, i più forti (di carattere privatistico), si sono accaparrati le ditte boschive più preparate. Le grandi segherie imporranno i prezzi: il legname che al 27 ottobre veniva venduto a una media di 100 euro, è crollato a 60-65. Il prezzo di macchiatico è passato dai 60-70 euro al mc. ai 20-25 di novembre, ma i commerciati austriaci propongono addirittura 6-7 euro.
Rimanendo ottimisti, un deprezzamento del legname limitato al 50% comporterebbe una perdita economica per i proprietari valutabile nel solo Trentino sui 150 milioni di euro, senza inserire i costi della perdita di quantità non recuperabile (un ulteriore 20%), i danni alle strade forestali, la caduta delle utilizzazioni nei prossimi decenni. Oltre tutto, una regia autorevole con la presenza di tutti gli attori del comparto, compresi gli addetti alla vigilanza, avrebbe favorito da subito un reale sostegno economico ai proprietari nella difesa del prezzo del legname, nella infrastrutturazione, nella definizione dei piazzali di stoccaggio, nell’avvio di una pianificazione naturalistica per la ricostruzione delle foreste.
Il ritardo del recupero comporterà un ulteriore deprezzamento del legname dovuto a un veloce deperimento: quanto non sarà recuperato entro giugno 2019 verrà attaccato dai parassiti xilofagi, da muffe e umidità, in pratica con luglio non si venderanno più tondoni pregiati, tutto verrà trasferito in un unico assortimento: imballaggio. Quanto rimarrà al suolo per il prossimo inverno - si prevede il 60% degli schianti - diventerà legname utile solo per la cippatura e l’invio negli impianti di teleriscaldamento a biomasse. Ogni ulteriore rinvio comporterà ritardi nella ricostituzione delle superfici boschive (naturali o artificiali che siano), maggiori e irrecuperabili danni alla fertilità dei suoli per l’eccesso di esposizione al sole e al dilavamento delle acque che indurrà ulteriore perdita della flora batterica.
C’è un altro aspetto importante: la sicurezza. Non appena molti versanti saranno liberati dal legname schiantato ci troveremo con dorsali anche ripidissime esposte al dilavamento delle piogge, superfici prive di capacità di trattenimento delle acque, caduta massi diffusa. In inverno nevicate straordinarie ed effetto cumulo di situazioni di rischio causeranno valanghe anche in località che storicamente non erano interessate dal fenomeno; ci sono infrastrutture turistiche, economiche e di importante viabilità che rischieranno chiusure anche per tempi lunghi. Pensiamo alla statale 48 delle Dolomiti dopo Predazzo, o alla strada Levico-Vetriolo, stazioni e impianti funiviari. Il servizio Protezione civile della Provincia di Trento ha verificato la presenza di oltre 5.400 ettari esposti a nuovo rischio valanghe, oltre 1200 situazioni con superfici libere superiori ai 2,5 ettari, il 7% di questi siti potrebbe interessare infrastrutture pubbliche e private. Per non dire del pericolo di incendi. Un motivo in più, specialmente per le zone più marginali delle Dolomiti, per sostenere la necessità di un commissariamento autorevole e di ampio respiro per gli interventi.
La devastazione può diventare opportunità
Superata l’emergenza, si dovrà recuperare un esteso patrimonio boschivo, che poi andrà gestito nel lungo periodo, anche superiore ai 50 anni.
L’ultimo decennio ha visto la nostra Provincia abbandonare progressivamente la cura dei boschi. Le stazioni forestali sono state depotenziate, si è decisa la drastica diminuzione dei custodi forestali, si è reso sempre più fragile il sistema della vigilanza liberandosi dei guardiaparco, la vigilanza venatoria e della fauna ittica è affidata in gestione alla associazione dei cacciatori o alle sezioni di pescatori. In pochi anni lo straordinario patrimonio dei lavoratori forestali stagionali è stato demolito: il personale che andava in pensione non è stato sostituito e i fondi delle migliorie boschive (uno specifico stanziamento destinato ai lavori selvicolturali con bilancio negativo, piantumazione, manutenzione della viabilità forestale, diserbi, diradamenti selettivi) ora vengono gestiti per lo più dai singoli proprietari, comuni e ASUC.
Questi enti, essendo impegnativo eseguire quei lavori, preferiscono investire in potenziamento della viabilità, in sentieri per lo più inutili o nell’acquisto di macchinari. Troppi comuni o ASUC si sono liberati degli operai boschivi stagionali perché considerati un problema per gli eccessi burocratici e il fastidio verso le norme sulla sicurezza sempre più severe. Si sono così privati di manodopera ad alta specializzazione e - argomento strategico - flessibile nell’utilizzo, perché in bosco le emergenze sono sempre presenti.
In questi anni la Provincia ha anche chiuso alcuni vivai forestali storici, clamoroso l’esempio di Fiemme. Si è così persa la cultura nel gestire migliaia di piantine nate da sementi locali, si è perso l’orto forestale più fertile del Trentino.
Pensiamo quanto sarebbe stato utile avere oggi in attività questo orto: dal 2019 in poi si dovranno portare nelle superfici denudate decine di migliaia di piantine, non solo conifere, ma specialmente latifoglie, tutte piante che proverranno da altre realtà e quindi geneticamente poco idonee.
La recente devastazione dei boschi può comunque diventare un’opportunità, permettendo di recuperare limiti e offrire nuove e diffuse occasioni lavorative; ma perché questo avvenga è necessario un drastico cambio di rotta nelle scelte politiche, riprendendo la coltivazione della foresta che si era quasi perduta. La tempesta “Vaia” deve portare ad un investimento in nuova cultura del territorio, della sicurezza, del mondo del lavoro, consentendo di diffondere alte professionalità.
Cosa si dovrebbe fare
Fra tutti gli ecosistemi possibili, comprese le praterie alpine e gli ambienti umidi, la foresta è quello che ci dà le maggiori e più preziose istruzioni ecologiche. In assoluto è l’ecosistema più strutturato e resiliente, almeno nelle condizioni prossimo-naturali. Nel bosco possiamo leggere la storia del passato, la realtà dell’oggi. Ovviamente si deve cogliere questa importanza strategica, ecosistemica della foresta in montagna per attirare risorse umane giovani, capaci di offrire garanzie di continuità nel lavoro. L’azione di rimboschimento (per lo più naturale) avrà attenzione alla costruzione di boschi misti, si valuteranno i versanti in modo meno generalistico, fin nel dettaglio. Altri spazi saranno destinati alla rinnovazione naturale e affidati alla gestione della natura con le zone di protezione ben potenziate. Nella gestione dei corsi d’acqua si auspica riprenda attenzione il lavoro di manutenzione, come pure nella viabilità forestale e nei sentieri.
Si dovrà investire in nuova ricerca, in monitoraggi accurati: fauna, insetti xilofagi, funghi, pedologia (lo studio dei terreni), ricostituzione delle foreste naturali e artificiali, assorbimento della CO2, capacità di assorbimento delle acque da parte dei suoli e delle vegetazioni, foreste vetuste e delle piante monumentali, recupero della fertilità dei suoli, della qualità del foraggio, processi di decomposizione del prodotto legno. La natura non presenta limiti alla scienza.
Il recupero del territorio offrirà opportunità per migliorare gli assetti degli alpeggi, non solo dal punto di vista produttivo, ma anche paesaggistico, turistico, della biodiversità. Si potrà sostenere una nuova pianificazione che offra attenzioni assolutamente non derogabili alla sicurezza, attenta a calmierare gli effetti dei cambiamenti climatici in atto.
Il forte coinvolgimento emotivo scatenato dalla tempesta è un’opportunità per diffondere una informazione scientifica sull’accaduto, coinvolgendo in percorsi formativi e di lungo periodo non solo gli operatori del settore, ma tutti gli attori della vita in montagna. La foresta verrà così recuperata come bene comune e si potrà consolidare una nuova presa di coscienza valoriale dell’intero sistema ambiente alpino.
La fauna selvatica avrà bisogno di attenzioni specifiche. Nei primi anni il controllo della diffusione degli ungulati diverrà una priorità al fine di agevolare la rinnovazione. Ci viene offerta una opportunità unica nel recupero di specie a rischio come i tetraonidi, sempre che se ne vieti la caccia. Si ha l’occasione di ritornare ad assunzioni anche nell’ente pubblico, recuperando quanto sperperato nel recente passato.
Certo, tutto questo sarà un’utopia se la cultura sarà quella che emerge dal vicino collega di Fugatti, il governatore del Veneto Luca Zaia. Il quale ha dichiarato di avere pronti per il rilancio della montagna bellunese 32 milioni di euro, da investire in un fantomatico e devastante carosello sciistico che colleghi Cortina d’Ampezzo al Civetta. Contemporaneamente sottolinea di dover recuperare 80 anni di assenza della Regione nei confronti della sicurezza idrogeologica. Consapevole di questo inconcepibile ritardo ci investe però le briciole del bilancio regionale: 20 milioni.
A certa classe politica la tempesta Vaia sembra non insegnare nulla.
Tempesta | Anno | Paesi interessati | Morti | Mc. di legname abbattuto (in milioni) |
---|---|---|---|---|
Viviane | 1990 | Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Olanda,Belgio, Svizzera | 64 | 60-70 |
Lothar - Martin | 1999 | Francia, Belgio, Germania | 140 | 240 |
Gudrum | 2005 | Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Svezia, Russia | 7 | 75 |
Kyrill | 2007 | Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Svezia, Belgio, Olanda, Austria, Germania, Svizzera, Polonia | 47 | 66 |
Vaia | 2018 | Italia | 14 | 8 |