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Le priorità del turismo trentino

Nel futuro bisogna rallentare la dipendenza dallo sci promuovendo anche il turismo "minore"

Francesco Borzaga

L’inizio del 2019 ha portato ottime notizie per il turismo trentino. In tutte le nostre località invernali si è registrato il pieno e anche la presenza dei viaggiatori provenienti dall’estero è aumentata in modo significativo. Comprensibile quindi e giustificata la soddisfazione degli operatori.

Non vorrei però che questo singolo episodio facesse perdere di vista il quadro complessivo del turismo trentino, mettendone in ombra i problemi. Non giudico quindi in alcun modo condivisibili le parole del nuovo assessore provinciale al Turismo Roberto Failoni, secondo il quale il “core business”, cioè in parole povere il motore trainante del nostro turismo dovrebbe rimanere quello legato alla neve. L’attuale assenza del desiderato manto bianco e la conseguente totale dipendenza dello sci dai costosi cannoni da neve non sembra turbare il responsabile politico del settore. È possibile che a fargli velo sia proprio la sua qualifica di albergatore.

Non da oggi si insiste perché il Trentino rallenti la sua dipendenza dallo sci, puntando su una de-stagionalizzazione che riguardi non solo la stagione estiva, e promuovendo anche quanto - ed è molto - che primavera e autunno possono offrire ai visitatori.

Non è del resto vero che nulla si stia facendo al riguardo: nelle città, nei paesi, nelle valli, segnatamente del turismo “minore”, sono molte le iniziative, provenienti assai spesso dal basso. Penso che questa realtà sia destinata a portare frutti. Tanto più sorprende questa sordità a livello politico.

Per l’assessore Failoni la ricerca di un modello alternativo “non è una priorità”. Ma in un periodo di rapidi cambiamenti climatici, accompagnati da grandi eventi sociali ed economici, di cui le migrazioni danno testimonianza, è assolutamente doveroso riflettere sui limiti e sugli aspetti negativi di quanto fino ad oggi ci ha pur regalato benessere.

Il turismo invernale non ha solo aspetti positivi. È estremamente energivoro, dipendente com’è da funivie, cannoni da neve, battipista, motoslitte e via elencando. Soprattutto in periodi di carenza di neve, quando le piste artificiali si trasformano facilmente in ghiaccio, sciare in mezzo ad una folla di sportivi può essere rischioso. Ne danno prova alcuni morti e soprattutto un’infinità di incidenti, fra l’altro molto costosi per la sanità pubblica.

Le grandi piste, sempre più numerose e sempre più ripide, aprono e sfigurano i boschi, distruggono il paesaggio, ridicolizzano i parchi naturali. Questo turismo dipende inevitabilmente dall’andamento climatico, a dispetto dell’esercito dei cannoni da neve. I copiosissimi e continui contributi pubblici lo qualificano per molti aspetti come un’economia artificiale.

Ha certo poco senso combattere i mulini a vento pretendendo di cancellare una realtà economica così imponente. Tuttavia una riflessione e uno sguardo al futuro sono necessari. Il turismo più tradizionale e “morbido” ha molte e più positive potenzialità. Presente su tutto il territorio e non limitato a poche località, è legato ai luoghi, offre un valido sostegno alla piccola agricoltura e ai negozi di montagna, valorizzando i prodotti e facendoli conoscere.

Questo tipo di turismo ha la sua base nel paesaggio e nel patrimonio naturale e potrebbe valorizzare i centri antichi dei nostri paesi, oggi in crescente abbandono. Esso offre agli ospiti l’aspetto storico e artistico del Trentino, di cui potrebbe rafforzare il senso di identità. Per questo ritengo che un tale turismo, e non la costosa macchina da soldi del circo bianco debba essere la nostra vera e urgente priorità.

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