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QT n. 1, gennaio 2020 Monitor: Teatro

“H - Il campione del mondo”

Maschilismo e fragilità

“H - Il campione del mondo”

È stato un mese e mezzo abbondante a tutto Hemingway per Trento Spettacoli. Attorno all’ultima produzione “H – il campione del mondo” è stato costruito un ampio contenitore culturale: prima il debutto al Teatro di Pergine (25 ottobre), poi tre settimane di repliche (6-24 novembre) allo Spazio Off di Trento accompagnate da incontri ed eventi multidisciplinari; infine – sempre nella sede di via Venezia – otto serate (4-14 dicembre) tese a ripercorrere la vita e l’opera dello scrittore statunitense. Una modalità non nuova alla compagnia diretta da Daniele Filosi, Maura Pettorruso e Stefano Pietro Detassis, sperimentata già con “Russelliana” e “Cosa sono i fenicotteri?”, iniziative dedicate rispettivamente alla figura e al pensiero di Bertrand Russell e al dibattito attorno all’Europa e ai suoi valori fondanti. La sfida “Hemingwayana” si inserisce in questo solco.

Andiamo con ordine, partendo dallo spettacolo. “H – il campione del mondo” è un’elaborazione teatrale in sette quadri – o meglio, “sette round”, come annuncia il sottotitolo – di un racconto giovanile a lungo inedito, fornito dal Museo Hemingway di Bassano del Grappa: “La scomparsa di Pickles McCarty”. La storia di un promettente pugile italo-americano che, prima della finale per il titolo mondiale dei pesi medio-massimi, misteriosamente sparisce per rientrare clandestinamente in Italia e arruolarsi tra gli Arditi. Un testo breve e ancora acerbo, ma che già contiene, pur allo stato embrionale, molti dei temi che Hemingway svilupperà nelle sue opere più mature: l’azione e il pensiero, l’essere e il non essere, la vita e la morte, la guerra e il suo ripudio, lo sprezzo del pericolo e la ricerca del vero e dell’autentico, la mescolanza tra realtà e finzione. In queste conflittualità Maura Pettorruso – autrice della drammaturgia – ha individuato il lascito più interessante da raccontare oggi.

“H – il campione del mondo” procede in questa direzione e mette in scena due personaggi, Pickles McCarty e Nick Adams, che rappresentano un po’ le due anime di Hemingway. Da una parte il pugile, l’uomo energico, forte, tutto d’un pezzo, pronto all’avventura e che mostra fieramente i suoi muscoli; dall’altra il cronista sportivo, l’intellettuale, lo scrittore puntiglioso, amante della ricerca stilistica della parola. È la storia di un’amicizia, sincera ma contrastata, di due anime in perenne confronto/conflitto, ma che non possono fare a meno l’una dell’altra. Così come, senza una delle due facce della medaglia, Hemingway non sarebbe stato Hemingway.

I due attori rendono con grande efficacia i due personaggi: del pugile, Woody Neri evidenzia la guasconeria ma anche il tormento interiore, del cronista, Stefano Pietro Detassis fa emergere la fragilità ma anche un’umanità piena, d’aiuto e d’amicizia. Due figure pulsanti che il regista Stefano Cordella cala in un ring, concreto e simbolico allo stesso tempo, con il pubblico che assiste allo show non frontalmente ma disposto attorno allo spazio scenico, a cercare di ricreare l’atmosfera di un incontro di boxe. Una scelta che azzera la distanza tra attori e spettatori, e che ben si concilia con il ritmo serrato e costantemente in tensione – Maura Pettorruso cerca di mantenere l’essenzialità e l’asciuttezza del modello – sia delle parti narrative che dei dialoghi. Un’invenzione scenica che compendia in modo incisivo le due anime in eterno conflitto di Hemingway: quella improntata all’azione e quella votata al pensiero. Un ring di parole, si potrebbe dire, in estrema sintesi.

Lo scavo su Hemingway, si anticipava, è stato restituito anche in diverse altre forme, con eventi a tema – difficile qui citarli tutti – volti a far scoprire le varie sfaccettature dello scrittore, che fu amante (smodato) del vino e naturalmente delle donne, della buona cucina e grande appassionato oltre che di boxe, di caccia grossa, pesca d’altura, tauromachia.

Per tutta la durata della rassegna, lo Spazio Off si è vestito a tema, soprattutto offrendo una proposta ragionata di libri di Hemingway e di altri autori americani. L’ex officina poi ha ospitato tre interessanti incontri-dibattito, il primo con Alberto Luca e Giandomenico Cortese, curatori del Museo Hemingway di Bassano, il secondo con Andrea di Robilant e il terzo con Enrico Rotelli. Nelle ultime due settimane, infine, lo spazio scenico si è trasformato in un café di Parigi, creando un ambiente ideale dal quale intraprendere un viaggio dentro l’esperienza umana e letteraria di Hemingway, attraverso i racconti più intensi, gli aneddoti più particolari, gli eventi che ne hanno segnato la vita e la morte, concludendo con una a tratti toccante intervista collettiva in videoconferenza con il nipote John Hemingway, scrittore egli stesso e biografo del nonno.

In conclusione, che dire dell’intero progetto? Sia dallo spettacolo che dagli eventi di contorno si evince da parte di Trento Spettacoli un’aperta volontà di stimolare un dibattito attorno ad un autore fondamentale per la letteratura del Novecento, quanto controverso. Hemingway è un nome che, per l’intersecarsi di maschilismo e di fragilità, genera amore e odio, vicinanza e distacco (oggi è durissimamente contestato dal nuovo movimento femminista americano); in breve, quel conflitto che, in letteratura come a teatro, è sempre un ottimo ingrediente.

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