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QT n. 4, aprile 2020 Trentagiorni

Vaia: dopo la bufera il cemento?

La maggior parte del legname è ancora a terra, mentre si costruiscono infrastrutture sui versanti boschivi

Un inverno mite e scarso di precipitazioni ha permesso un po’ ovunque di proseguire i lavori di raccolta degli schianti provocati da Vaia. Sul territorio permangono comunque ritardi sempre più inconcepibili: ad oggi si è recuperato poco più del 30% del legname a terra. Nel frattempo prosegue una informazione distorta proveniente sia dagli ambienti provinciali che dalla Camera di Commercio. Si continua ad alimentare confusione fra la quantità di legname venduto e quello effettivamente tolto dal bosco. Il 70 - 80% degli schianti è stato certamente venduto, ma causa problemi burocratici, disattenzione o disinteresse di troppi enti proprietari pubblici (alcune ASUC, tanti comuni), la raccolta prosegue con preoccupante lentezza. Invece si corre su un altro piano: nella costruzione di nuove strade, molte delle quali col tempo si riveleranno inutili ed estremamente costose nella manutenzione. Con qualche potenziamento di brevi piste e allargamento della viabilità esistente si sarebbero risolti problemi con grande risparmio di risorse economiche e ambientali.

Si procede con aggressività anche nella infrastrutturazione dei versanti boschivi con mastodontiche opere paramassi e paravalanghe. Stiamo parlando di investimenti milionari. In Trentino si impongono ovunque reti in ferro e basamenti in cemento, mentre nella vicina Svizzera, trent’anni fa bersagliata da analogo fenomeno, si investì in opere più leggere in legno di larice o castagno. Ancora oggi, con il bosco ormai ristrutturato, queste opere sono attive. E Bolzano imita la Svizzera, a dimostrando una attenzione autentica verso il paesaggio e la naturalità delle foreste.

Si era detto che l’azione della Camera di Commercio era tesa a sostenere nel tempo il valore della vendita del legname schiantato. Ma fin da subito è apparso chiaro che la burocrazia imposta avrebbe avuto l’effetto contrario: tempi lunghi negli appalti (fatte salve lodevoli eccezioni) e prezzi stracciati, arrivati oggi a un valore di macchiatico di 10 – 12 €. il metro cubo.

La calmierizzazione dei prezzi era comunque pura utopia. Se nell’estate 2019 in Europa erano a terra per schianti o attacchi di bostrico circa 50 milioni di metri cubi di legname (tempesta Burglind, 2018), oggi le calamità invernali Ciara (11 febbraio 2020) e Demis (14 febbraio) hanno portato la massa legnosa da recuperare a superare i 150 milioni di metri cubi. È questa la massa che fa e farà il prezzo del legname in tutta Europa, non certo i pochi milioni di mc. delle Dolomiti.

Gli amministratori degli stati europei hanno un solo obiettivo: fare presto nella raccolta, correre, per evitare che il bostrico e altri parassiti moltiplichino i danni. Finalmente, anche in Germania, in Baviera, ci si accorge che è necessario potenziare i lavori di ristrutturazione delle foreste del futuro. Foreste resilienti nei confronti dei cambiamenti climatici e delle tempeste sempre più frequenti, quindi boschi misti e di età diverse, mentre si raddoppiano gli aiuti statali rivolti sia ai privati che alle proprietà pubbliche, arrivando a coprire il 90% della spesa e potenziando il lavoro per la cura dei boschi. Un tema che nel Trentino nemmeno viene sfiorato. Si sceglie di offrire lavoro a scavatori, sconvolgere pareti, imporre barriere incredibili invece che ritornare ad agire come un tempo, cioè gestendo i boschi, ovunque, giorno per giorno e creando lavoro stabile e di alta professionalità. Quanto accade era del resto inevitabile, visto chi è stato messo alla guida del processo di recupero del legname: l’uomo di Metroland e delle funivie faraoniche, l’ing. Raffaele de Col.

Un ultimo aspetto: l’assalto dei paesaggisti al valore dei boschi. Si lamentano del troppo bosco, ideologizzando esageratamente il tema. Del bosco ci si deve liberare, abbiamo bisogno di spazi aperti - dicono architetti e antropologi. Certo, anche questo è un tema che va affrontato, ma con equilibrio e forti della scienza. Ad esempio, lungo la grande viabilità si vogliono allontanare le piante. Se si cerca sicurezza assoluta si dovrebbero fare corridoi ampi trenta metri, sia a monte che a valle. Proviamo a immaginare lo scenario risultante. In termini paesaggistici ci inseriremmo in corridoi spaventosi. E in termini di sicurezza reale, ad ogni temprale, avremmo frane diffuse ovunque. Riguardo gli spazi aperti, pascoli e prati, prima di distruggere foreste, o di permettere il pascolo nelle superfici forestali come sta accadendo con leggerezza, cominciamo con l’imporre ai nostri allevatori e agricoltori la cura nel vero senso della parola degli spazi aperti rimasti, sia in quota che in fondovalle, come avviene senza forzatura alcuna, in Sudtirolo. Fatto questo, forse si può cominciare a pensare ad altro.