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QT n. 9, settembre 2021 Servizi

I boschi trascurati

Dalla viabilità forestale ai tagli: la tempesta Vaia non ha insegnato nulla.

Predazzo, il bosco attaccato dal bostrico.

A quasi tre anni dalla tempesta Vaia è necessaria una riflessione sulla situazione maturata sul territorio forestale provinciale (e del Triveneto) non solo riguardo la raccolta degli alberi schiantati, ma anche su come si è intervenuti.

Vaia ha insegnato qualcosa agli operatori del settore e al mondo politico? La nostra risposta è immediata: nulla. Questotrentino ha affrontato il tema con diverse sollecitazioni, ponendo attenzione alcomplesso sistema forestale e a una sua gestione che fino ad oggi è sembrata perlomeno improvvisata. In ben cinque interventi abbiamo parlato di un Trentino pigro nella rimozione degli schianti e a tutt’oggi sul terreno di caduta giacciono oltre un milione di metri cubi, a dimostrazione di un sistema amministrativo e imprenditoriale impreparato. Bolzano, già ad inizio 2020, aveva terminato la raccolta, anche in zone impervie.

Avevamo sollecitato un cambio di linea nella gestione dei boschi: più conservazione e meno economia, più foresta e meno legname. Abbiamo invitato a leggere Vaia come una opportunità per diffondere nuovi lavori, per armonizzare la cultura conservazionista con le necessità economiche degli enti proprietari, per investire in cura invece che in prelievo. Avevamo denunciato la cementificazione delle aree boscate, il diffondersi di una viabilità sempre più ampia, molta della quale appena costruita risulterà superflua. Si è investito più in viabilità che in selvicoltura, perfino nel cuore del demanio provinciale.

In più occasioni, le poche volte che le è stata offerta l’opportunità, la sensibilità ambientalista ha portato presso la Terza commissione legislativa denunce e proposte. Documenti che non hanno avuto l’onore di alcuna attenzione, lo dobbiamo dire, nemmeno da parte dei gruppi di minoranza: sul tema era lecito attendersi qualcosina di più che delle sparute interrogazioni.

Già negli anni ’80 il forestale Marcello Mazzucchi, divenuto poi dirigente del distretto di Fiemme e Fassa, così spiegava al redattore di Vita Trentina: “Una saggia difesa del patrimonio boschivo dipende dalla pratica di una sana selvicoltura…È un obiettivo che, bisogna riconoscere, non sempre è stato realizzato. Per secoli si è attinto al bosco in maniera esagerata, considerandolo una riserva da sfruttare liberamente. Oggi stiamo ancora pagando gli errori del passato”. In pratica, si tagliava troppo, e nonostante qualche attenzione in più, si è continuato su quella strada, addirittura accentuandola nel recente passato, specie nel territorio della Magnifica Comunità di Fiemme e di altri enti simili. Si è ritornati ad estendere il pascolo in bosco e ci si è adeguati ai bisogni di quantità dei grandi macchinari invece che alle esigenze delle diverse strutture forestali. Forniamo un solo numero: un bosco di produzione efficiente dovrebbe avere una massa legnosa di circa 350 mc. di piante per ettaro. Prima di Vaia eravamo su una media, laddove le situazioni sembravano ottimali, che si aggirava sui 200.

Val Cadino, una strada forestale allargata da 2,50 a 4 metri

Già nella primavera di quest’anno e poi con maggiore insistenza durante l’estate la Confindustria del settore (Federlegno) reclamava il bisogno di avere legname fresco in segheria. A prescindere dai danni provocati dalla tempesta Vaia, chiedevano che si tornasse a utilizzare piante in piedi verdi perché non si trovava sul mercato nazionale legname, o meglio, i costi dell’acquisto erano troppo elevati.

Nei documenti di Federlegno non si trova traccia di una analisi sullo stato delle foreste del Triveneto dopo Vaia, sulla necessità di rivedere l’intera pianificazione delle utilizzazioni, sullo scandalo della straripante diffusione di nuova viabilità forestale, sulla ridefinizione del lavoro in bosco riprendendo i principi della selvicoltura naturalistica. Confindustria lamenta come non si sia in presenza di una filiera del legno che parta dalla prima produzione (taglio in bosco) fino a chiudere il cerchio con la produzione di semilavorati e altri impieghi nobili del legno, arredamento ed edilizia. Anche in questo caso non ci si chiede perché Trentino e Veneto abbiano svenduto il loro patrimonio schiantato da Vaia ad imprese del legno estere, Austria e Slovenia in primo luogo, con notevoli quantità di prodotto andato anche in Cina. Non spiegano perché non si sia strutturata in questi decenni una filiera del legno. Eppure la Provincia di Trento e il Consorzio delle Autonomie locali hanno sempre lavorato in questo senso, promuovendo formazione e mettendo a disposizione anche contributi consistenti. Se nel Triveneto oggi la filiera del legno è tanto fragile, per non dire assente, la responsabilità ricade su una imprenditoria pigra, incapace di progettualità, attenta alla cattura di contributi pubblici e senza una visione produttiva a lungo termine. E in questo disegno è stata preoccupante anche l’assenza delle organizzazioni sindacali dei lavoratori.

Anche grazie alle agevolazioni fiscali nazionali a sostegno dell’edilizia tesa al risparmio energetico (solo su quanto già costruito, non sono state contemplate demolizioni o interventi sul nuovo), il settore del legno è prepotentemente ripartito. E ha fame, di tavolame, di carpenteria e travatura di qualità, di infissi in legno. Di legname lavorato in Italia non se ne trova, deve venire acquistato dall’estero, proprio da quei paesi ai quali pochi mesi prima abbiamo svenduto la nostra materia prima. In poco tempo gli aumenti dei prodotti lavorati sono dell’ordine del 50% fino al 200%, si pensi alla carpenteria. Oggi è già un successo non dover attendere questi prodotti oltre i sei mesi dall’ordinazione. Il tema della ricomposizione di una filiera del legno innovativa è un'emergenza che va portata all’attenzione della politica, ma che deve coinvolgere tutti gli attori del settore, Partendo dai forestali, chiedendo loro rispetto rigido dei protocolli delle certificazioni, maggiore efficienza nei controlli, per passare dalle imprese boschive, alle segherie del tavolame, fino a chiudere il cerchio con i prodotti finiti, al fine di mantenere sul territorio nazionale più valore aggiunto possibile.

Il flagello del bostrico

Chi durante l’estate ha percorso le vallate coinvolte da Vaia avrà notato una incredibile diffusione di gruppi di piante arrossate, che hanno perso gli aghi. Sono strutture boschive attaccate in modo particolare da un parassita, uno scolitide, Yps Thipograpus, comunemente chiamato bostrico. Ci sono vallate che destano impressione, specie dove servizi forestali e Camera del commercio hanno dilatato i tempi della rimozione degli schianti. È mancata una regia, come chiedevano gli ambientalisti: l’emergenza pretendeva il commissariamento del settore con decisioni in tempi rapidi, attraverso percorsi partecipati. Invece si è accentrato il tutto nelle mani di un ingegnere che ha pensato più a diffondere reti e viabilità che alla cura del bosco. La presenza di danni da bostrico non la troviamo solo lungo i margini delle ampie aperture causate da Vaia, ma anche in strutture forestali che sembravano integre. Come accaduto ovunque si siano verificati simili eventi di schianti da vento (in Europa da trent’anni nella disattenzione più assoluta della nostra stampa si susseguono fenomeni che provocano danni forestali e idrogeologici incredibili, anche con la perdita di vite umane, danni ben più consistenti di quanto accaduto con Vaia), dopo pochi anni i boschi alpini, fragili, coetanei, monospecifici, vengono attaccati dai parassiti. Già nel 2019 avevamo preannunciato danni che nel Triveneto potevano variare dai 3 ai 5 milioni di metri cubi di piante attaccate e quindi in tempi rapidi destinate alla morte. Vista la lentezza del recupero del legname, è probabile che fra il 2021 e il 2022 la cifra sarà la più alta ipotizzata: il 50% delle piante schiantate. Nelle sole valli di Fiemme e Fassa siamo vicini a numeri spaventosi: 200.000 metri cubi di piante attaccate.

Davanti a questo fenomeno naturale siamo impotenti. Quando l’uomo sbaglia la natura cerca nuovi equilibri e li trova con metodi suoi, senza chiederci cosa possa farci piacere o cosa ci sia utile. Le foreste sopravvivranno a Vaia, ai parassiti, a noi. Certo, con una diversa attenzione nella gestione di Vaia, affidata ad un consistente mondo di forestali e specialmente naturalisti, i danni potevano venire limitati. Sicuramente avremmo risparmiato risorse e territorio naturale, avviando da subito una urgente revisione dei piani di assestamento forestale.

Nella filiera del legno scontiamo anche una marcata mancanza di boscaioli, quindi i proprietari che hanno le superfici attaccate dai parassiti devono lasciare libero corso agli insetti. E probabilmente questo non è un male, ma certamente si acuisce il danno economico nel medio e lungo periodo. Con il 2023 si avrà una diffusione naturale di insetti e altri esseri viventi capaci di attaccare e quindi limitare la presenza del parassita. Il bosco si riprenderà lentamente, con i tempi della natura, non certo con i nostri, un ciclo che porterà a foreste più resilienti. Sempre che enti proprietari e Provincia ritornino protagonisti nella gestione seria e naturalistica delle foreste.