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La nostra epidemia

All’inizio erano “le solite esagerazioni degli Italiani”, poi si è capito...

L’ampliamento degli spazi all’ospedale di Bolzano

Ogni cataclisma, sia un terremoto sia una crisi finanziaria, e a maggior ragione un’epidemia delle proporzioni mondiali come vediamo in questi giorni, mette in luce gli aspetti positivi e negativi di ogni realtà socio-economica e culturale. E talvolta aiuta a riflettere sul modello di sviluppo. Ecco che cosa si è sentito in Sudtirolo.

All’inizio si è protestato nei confronti delle “solite esagerazioni degli Italiani” e di Roma, che “ci vuole rovinare”. E tutti in montagna fino all’8 marzo compreso, giornata bellissima con locali e boschi affollatissimi. Un’influenza leggera non può far niente a un popolo di sportivi e montanari.

Poi è successo che l’Istituto Koch, a cui fa riferimento il governo germanico, ha indicato il Sudtirolo, il Tirolo e le località della Lombardia già chiuse, come mete pericolose. E il giorno dopo il ministro degli esteri di Berlino ha inserito la provincia di Bolzano fra gli obiettivi sconsigliati.

Molti turisti stavano già andandosene, dopo che alcuni ritornati dalla Val Gardena e dalla Pusteria erano stati trovati positivi al Covid-19. E poco dopo è stato chiuso tutto. A lungo e forse ancora oggi, da parte delle autorità politiche si fa di tutto per tenere basso il numero dei positivi al Coronavirus. Ne va “della nostra reputazione”, dell’immagine del Sudtirolo nel mondo.

Uno studio sulla mobilità, reso noto il 15 gennaio, ha svelato che a Bolzano ogni giorno entrano 75 mila auto e 5.200 mezzi fra camion e furgoni. Il Comune non ha mai fatto nulla, nonostante il numero impressionante di malati di asma e di cancro.

In marzo, l’aria è diventata respirabile, e si sentono perfino i profumi della primavera. Tutti soffrono per la mancanza delle camminate in montagna, ma ora si possono tenere le finestre aperte. Merito di una pandemia. Non si dovrebbe riflettere su questo?

Il Landeshauptmann (cioè il Capitano: in Sudtirolo il presidente della giunta è una carica militare) fa le sue conferenze-stampa e restringe le restrizioni del governo (200 metri di passeggiata), ma poi invita le forze dell’ordine ad essere clementi. E chissà perché confronta i numeri dei positivi e dei morti con quelli del Trentino.

Kompatscher, che ha rivelato di telefonare al presidente del Veneto Zaia ogni due giorni, è incorso anche in un “incidente” increscioso (che qualcuno ha spiegato dicendo che a forza di governarci insieme ha preso il virus della Lega), ordinando ai proprietari di seconda casa provenienti dalla Lombardia, dalla Toscana, ecc. di andarsene. Un blogger della Val Badia ha scritto: capisco le preoccupazioni, ma saremo ben ancora in grado di rimanere umani e di non cacciare i nostri amici nelle zone rosse, dove rischiano la vita?

Le proteste e i dubbi di legittimità hanno avuto come esito la sostituzione dell’ordine di sfratto con una raccomandazione. Ma è stato penoso, anche per la reazione violenta dei “patrioti”, come qui si chiamano i razzisti. Tuttavia è servito a escludere dal bando le centinaia di lavoratori stagionali che oltre a perdere il lavoro, se non sono tornati nei loro paesi, sarebbero stati anch’essi cacciati.

La gente, compresa la situazione, si è subito organizzata. File ordinate davanti ai supermercati. Passeggiate con cani (gli unici che sono sempre fuori e dappertutto). L’università e alcune scuole si sono attrezzate per l’e-learning, ma tante scuole sono state colte impreparate. Hanno rimediato direttamente molte insegnanti, che hanno trovato da sé i modi per proseguire l’insegnamento attraverso ogni strumento disponibile, e-mail, piattaforme, WhatsApp, telefono, ecc.

In grande difficoltà sono le numerose donne che lavorano e hanno bambini piccoli o adolescenti. Con i turni pesanti in ospedale, nelle case di riposo o nei supermercati, o anche al telelavoro, faticano a fare tutto e se non sono aiutate dai partner è per loro impossibile tenere lontani i nonni, con il rischio che ciò comporta e i sensi di colpa. Preoccupa anche l’effetto della reclusione in casa per le donne con partner violenti. Le case-rifugio sono piene. E chi lavora in ospedale, dove non si fanno regolarmente i test, teme di infettare i figli e i conviventi.

Un amico che fa volontariato in un’associazione che distribuisce alimentari, dice sempre che nessuno muore di fame a Bolzano. Infatti le panetterie e i negozi di alimentari e i supermercati sono molto generosi con i “cacciatori di briciole”, che sono così in grado di sfamare tutti coloro che ne hanno bisogno. Ora hanno sostituito i pacchetti di viveri alla mensa di piazza Verdi, che ha dovuto chiudere. Oltre ai vicini e alle vicine di casa, tantissime associazioni si sono mobilitate, in tutte le località, per portare a casa di anziani e malati la spesa e i farmaci. Perfino alcune giardinerie portano piante e fiori a casa e anche un negozio di giocattoli.

Le associazioni hanno fatto pressione sulle istituzioni affinché sia affrontato il problema dei senzatetto, una questione irrisolta soprattutto nella città capoluogo, dove troppe persone senza casa hanno da dormire almeno in inverno e però di giorno non hanno altro che i giardini pubblici, e con la chiusura di alcuni centri non sanno più dove lavarsi e cambiarsi. E come è noto, a Bolzano mancano i gabinetti pubblici.

Il 17 di marzo le associazioni parlavano di una settantina di persone, da sistemare presto affinché non corrano il rischio di infettarsi, ma solo una settimana dopo le cifre sono cresciute a 150-200.

Il sindaco fa il duro, dicendo che Bolzano fa già abbastanza per 750 migranti; quanto alla Provincia, per un po’ ha resistito, ma alla fine ha ceduto, mettendo a disposizione uno dei suoi locali vuoti e riadattati. Le associazioni si sono rivolte anche al vescovo, che ha vaste proprietà, ma finora senza risposta. La comparsa di un caso di infezione da Coronavirus nelle caserme di San Candido e di Bressanone dove si trovano i rifugiati, è stato risolto nel primo caso spostandoli a Colle Isarco, dove il Centro di vacanza per i familiari dei militari era stato organizzato per la quarantena e ora è pieno, e nel secondo caso disinfettando la struttura e trovando una sistemazione per i positivi.

Mentre sto scrivendo, nessuno sa quanto e come andranno avanti le cose. Si sentono moltissime persone che hanno avuto un’influenza con sintomi simili a quello del Coronavirus e hanno contattato i numeri previsti, ma non sono stati testati, e i contagiati privi di sintomi e quelli che si sono fatti l’influenza a casa, o che a casa sono morti come molti anziani, non vengono contati nei dati ufficiali. Ogni regione o provincia ha i propri sistemi, ha scritto il sito lavoce.info.

Il lavoro

Già ora alcuni rappresentanti delle attività economiche vorrebbero che si allentassero le misure di contenimento, temendo che i danni materiali siano con l’andare del tempo irrecuperabili. Ma per ora la politica sta dalla parte degli scienziati.

Le misure prese dal governo Conte sono giuste, sempre che l’orribile burocrazia italiana non riesca a bloccare tutto. Ma si deve anche guardare al futuro. Anche in Sudtirolo.

Alfred Ebner un sindacalista intelligente e serio, dice che il crollo del turismo, del commercio e della ristorazione ha interrotto un momento d’oro dell’economia sudtirolese, da tre anni con dati sempre in crescita: “È fondamentale - ha detto - creare le condizioni affinché l’economia non crolli definitivamente. Vanno evitati i fallimenti delle aziende, perché rischiano di diventare poi una catena con conseguenze drammatiche, anche per i sistema creditizio e i nostri risparmi”.

I tempi - ha proseguito - sono legati all’emergenza sanitaria e qui si sconta la strategia dei tagli alla sanità pubblica”. Le sue proposte sono di creare le condizioni perché le aziende non chiudano, dando loro la liquidità di cui hanno bisogno e concedendo alle famiglie i soldi per non far crollare il consumo. Bene il governo, ma finita l’epidemia si dovrà ripetere l’iniezione di denaro.

Ebner teme che il turismo farà fatica a riprendersi per la campagna scatenata in Germania che ci ha dipinto come “untori”. Ma chiede che gli aiuti pubblici puntino sui settori maggiormente innovativi, altamente qualificati, ripensando il modello di sviluppo, oltre a salvaguardare turismo, artigianato, commercio e agricoltura. La necessità di ripensare il futuro riguarda tutta l’Europa perché, dice Ebner, “negli ultimi decenni abbiamo portato tutta la produzione in Cina e India per fare il massimo del profitto e adesso la componentistica si trova sguarnita”.

Anche Stefan Perini, direttore dell’Istituto per la Promozione dei Lavoratori, è convinto che la soluzione debba partire da una generale integrazione salariale dei lavoratori per tre mesi, in modo che le aziende possano mantenere i loro dipendenti. “Può essere costoso - dice -, ma rendere sicuri i lavori per alcuni mesi costa certamente meno di una disoccupazione di massa per molti anni”. E il presidente dell’Istituto, Dieter Mayr, da parte sua afferma che “si tratta di ridurre i danni, per essere in grado di ripartire quando l’emergenza sarà finita”. Ma aggiunge che per ora la salute ha la precedenza assoluta.