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QT n. 9, settembre 2020 L’editoriale

Il cavaliere infrangibile

Silvio Berlusconi

Mentre scriviamo Silvio Berlusconi sta meglio. Bene, anche perché così ci verrà per intanto risparmiata l’usuale alluvione di elogi commossi e sperticati che vengono elevati nei confronti di tutti i politici, anche i più discutibili, una volta deceduti.

Ne approfittiamo quindi per tracciare a mente fredda un profilo e un bilancio del politico e dell’uomo, indubbiamente di primaria importanza negli ultimi cinquanta anni italiani.

Era ridicolo, grottesco – ricordava Bubi Rimer, l’avvocata di recente scomparsa, sua compagna di università – Un piccoletto senza arte né parte, che frullava intorno, si agitava in continuazione, snobbato dagli altri studenti, che erano i rampolli delle grandi famiglie industriali di allora”.

In questo impietoso quadretto sta a nostro avviso tutto l’uomo. Quando si parla e si scrive del “corpo del capo” come elemento fondamentale nella mistica berlusconiana, si commette un errore marchiano. Molla fondamentale non è stato il corpo, meno che mediocre sempre, e negli ultimi anni pessimo, pietosamente rabberciato, ma l’immensa forza d’animo che lo ha spinto, per una vita, a superarne i limiti. Il piccoletto di modesti natali, gli sprezzanti rampolli è riuscito a metterli tutti in riga: le loro famiglie sarebbero decadute, costrette ad omaggiare il piccoletto, nuovo dominus dell’Italia. È il sogno segreto di ogni piccolo borghese: Berlusconi lo ha saputo incarnare. E ha fatto di più: ogni volta che è caduto, ha saputo, contro ogni previsione, rialzarsi; da ogni débacle politica, da ogni figuraccia nazionale e internazionale, da ogni malattia anche rovinosa. Ha saputo perfino aspirare, in questi ultimissimi per lui non felici anni, al ruolo massimamente incongruo di padre della patria.

Come personaggio pubblico, a nostro avviso, va giudicato su due piani. Quello culturale e quello politico.

Sul primo ha avuto pieno successo, riuscendo ad incidere nel profondo della cultura popolare italiana. Ed ha operato danni enormi.

Dalle sue tv, dai suoi giornali, molto prima e molto più che dai palchi politici, e tramite i programmi di intrattenimento più ancora che attraverso i telegiornali amici, ha propagandato e reso vincente una versione italiota del liberismo ed edonismo reaganiano: individualismo, arrivismo, disprezzo delle regole, mercificazione della donna. Ha schernito le conoscenze, ha lanciato come star disturbatori incaricati di ululare contro gli avversari. Ha vezzeggiato gli evasori fiscali. L’Italia, dal quarantennio berlusconiano, è uscita con i propri vizi legittimati e rafforzati.

Sul piano politico è stato molto abile nel tessere alleanze, agglutinare un centro-destra in cui ha saputo, pur con difficoltà, far convivere i secessionisti di Bossi con i nazionalisti di Fini, sdoganando l’attendibilità di entrambi. Forte del suo impero mediatico, usato senza scrupolo alcuno, ha saputo dominare il proprio campo.

È risultato invece inconsistente nell’azione di governo. Massimamente efficace solo nel minare l’ordinamento giudiziario al fine di proteggersi dai tanti nodi venuti al pettine, per il resto non ha effettuato alcunché delle grandi riforme liberiste promesse. Probabilmente perché il liberismo lo racchiude nella facoltà – sua – di fare quello che vuole. Così è stato ripetutamente battuto nelle urne dall’uomo che è risultato il suo esatto contrario, Romano Prodi, il professore, l’uomo sobrio.

Ha avuto la fortuna di trovarsi come avversario una sinistra sempre dedita a personalistiche, suicide lotte interne (D’Alema prima e Veltroni poi che scalzano Prodi) ed ha saputo approfittarne. Ma non è stato capace di esercitare in positivo il potere più volte riconquistato. E alla fine i nodi sono venuti al pettine, enfatizzati da una parte dal crollo di credibilità all’estero, dall’altra da una tardiva bulimia sessuale gestita in modalità grottesche, troppo offensiva per la nuova sensibilità femminile.

Certo, il suo successore, Salvini, è stato peggiore: ha introdotto il razzismo, la cattiveria programmata, il ritorno a culture regressive (il suprematismo, una religiosità medioevale). Berlusconi è riuscito a distinguersi, anche perché da tali derive è culturalmente lontanissimo, lui che vorrebbe essere amato da tutti. Questo lo ha fatto ultimamente da molti rivalutare.

Per noi, invece, il piccoletto dall’immensa forza interiore non ha fatto il bene del suo Paese.