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Il dramma dei padri separati

dott.ssa Maria Foggetti

In seguito alle separazioni si assiste sempre più frequentemente alla rovina di tanti uomini che, per incoerenze legislative, sono ridotti alla povertà.

Nel 2016 In Italia, secondo i dati dell’Eurispes, su 4 milioni di padri separati, circa 800 mila vivono sotto la soglia di povertà, mentre un milione e mezzo vive in condizione di indigenza.

A causa di separazioni conflittuali spesso gran parte degli uomini è ricattata dall’ex coniuge che utilizza i figli come strumento di vendetta contro il padre, come unico mezzo per ottenere ulteriori aiuti oltre che per riversare rancori e malcontenti sull’ex.

Il sistema legislativo attuale ha creato un’impressionante spaccatura della figura paterna: da un lato c’è il “padre Bancomat”, l’uomo che deve versare assegni di mantenimento e sostenere spese indipendentemente dalle sue reali possibilità, quasi fosse irrilevante il diritto di un padre ad avere una vita dignitosa, dall’altro c’è il “padre clochard”, un uomo che di colpo può ritrovarsi a dormire in auto e che possiamo incontrare in fila alla Caritas per ricevere un piatto caldo.

A ciò si aggiunge la violenza psicologica di cui molti uomini sono vittime da parte delle ex mogli che, anteponendo il proprio egoismo al delicato equilibrio psico emotivo del proprio figlio, utilizzano qualsiasi mezzo pur di strappare la figura paterna dalla vita del bambino. Ma cosa accade ad un padre separato ridotto in stato di povertà?

La frequenza di incontro tra padre e figlio è ridotta, gli spazi di vita e i luoghi di incontro non sempre sono idonei, soprattutto se il padre indigente non ha la possibilità economica di offrire al figlio ciò che prima poteva.

Il tempo da dedicare alla relazione è scansionato: si sente parlare del cosiddetto “tempo di visita”, un concetto talmente arido e infelice che porta ad immaginare la figura del padre come quella di un detenuto in libertà condizionata a cui è concesso un tempo limitato per dimostrare l’amore verso un figlio, un uomo che pian piano diviene un estraneo agli occhi di un bambino.

Non è forse violenza quella di un uomo costretto a chiedere il permesso per vedere suo figlio? Non è violenza quella di tante donne che ricattano gli ex coniugi minacciandoli di non fare vedere i figli? Non è violenza sul minore quella che impedisce a un bambino di trascorrere del tempo col padre senza che qualcuno lo faccia sentire in colpa? Non è violenza quella sul minore che spesso parla usando frasi e parole pilotate da una madre malevola?

Sarebbe utile pensare a centri antiviolenza anche per gli uomini vittime di maltrattamenti e di violenza psicologica e a percorsi terapeutici e riabilitativi per donne alienanti affinché possano raggiungere una reale presa di coscienza del significato del ruolo materno, della parola genitorialità e dell’importanza del delicato equilibrio psicologico ed emotivo dei minori.

Non è un caso che recentemente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo abbia condannato l’Italia in quanto Paese incapace di difendere ed assicurare il rispetto dei diritti dei padri separati.

È doveroso parlare di questa piaga sociale e ammettere l’esistenza di una vera e propria violenza sui padri e sui minori coinvolti, alienati da un apparato socio-giudiziario che ritiene scomodo ammettere le proprie contraddizioni.

È ora che si tutelino i diritti dei padri e delle madri allo stesso modo, che si smetta di lottare soltanto contro la violenza di genere, ma che si lotti contro ogni genere di violenza, che si rispetti il diritto alla bigenitorialità, che si smetta di trattare i padri come genitori di serie B, ma soprattutto è ora di porre fine alla gratuita sofferenza di tanti minori orfani di padri vivi.

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