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QT n. 1, gennaio 2023 Servizi

Quando il pacifismo diventa fondamentalismo

Negli scorsi numeri abbiamo dato spazio a varie riflessioni, anche polemiche, sulla guerra russo-ucraina, Putin, il pacifismo e gli invii italiani di armi. Proseguiamo in questa pagina con un intervento del direttore Ettore Paris

Era d’inverno, al passaggio a livello di via Verdi (ora c’è un sottopasso). In diverse centinaia, volevamo impedire il transito di carri armati dalla Germania al Medio Oriente, dove gli USA del presidente Bush stavano per attaccare l’Iraq di Saddam Hussein.

Non riuscimmo a fare alcunché. La linea ferroviaria era protetta, blindata dalle forze dell’ordine. Non ci restò che aspettare e vedere i carri sfilare. Quando il treno infine passò, ci fu un silenzio di ghiaccio: a tutti, pacifisti, giornalisti, carabinieri si bloccò il fiato nel vedere quegli strumenti di morte che andavano ad uccidere. Ce ne andammo via in silenzio.

Inizio con questo ricordo per ribadire come capisco perfettamente la viscerale avversione pacifista per la guerra. E’ un sentimento giusto, saggio, intelligente.

Eppure. Eppure non può non fare anch’esso i conti con la realtà. Pena la sua trasformazione in fondamentalismo.

Ce lo dice lo stesso Mahatma Gandhi.

Da “Teoria e pratica della non-violenza”: “La nonviolenza è infinitamente superiore alla violenza, tuttavia nel caso in cui l'unica scelta possibile fosse quella tra la codardia e la violenza, io consiglierei la violenza”.

Oltre alla teoria, c’è poi la pratica politica: Gandhi approvò l’arruolamento nell’esercito anglo-indiano che fermò i giapponesi in Birmania e scacciò i nazifascisti dall’Africa australe e quella magrebina.

E credo che tutti concordiamo che contro Hitler non fosse possibile opporsi se non con le armi.

Mi si permetta un altro ricordo personale. Mio padre era stato partigiano, e detestava la guerra e le armi. In famiglia ci furono degli episodi imbarazzanti: quando qualche conoscente regalava a me e a mio fratello delle armi giocattolo – pistole di plastica, spade di legno, soldatini di piombo - subito lui le sequestrava e le restituiva, scusandosi, all’improvvido donatore: “Non voglio che i miei figli crescano abituandosi all’idea che si possa uccidere”. Eppure... Eppure in soffitta – come scoprì un giorno mia zia – nascondeva il mitra da partigiano: “Caso mai dovessero tornare”.

25 aprile 1945, Partigiani a Milano

Per questo trovo un po’ ipocrita l’associazione che viene fatta tra la resistenza degli ucraini e il bellicismo. Gli ucraini non hanno il diritto a difendersi? Dovrebbero arrendersi? Con quale coraggio diamo questi consigli? Oppure noi dovremmo lasciarli soli di fronte all’aggressore? Sottolineando quindi che il più forte ha sempre ragione.

E non dovremmo dare loro le armi? La nostra Costituzione all’art. 52 recita, con forse solo un po’ di enfasi di troppo: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Per difendersi occorrono le armi. E occorrono anche agli ucraini. Io penso che sia nostro dovere (non so se sacro) aiutarli a difendersi.

Poi naturalmente c’è sempre la storia del lupo e l’agnello. E’ l’agnello che ha torto, che lo offende, dice il lupo. Così i nostri fondamentalisti analizzano con estrema severità i comportamenti degli ucraini invasi, la colpa è loro, non degli invasori. Qui l’ideologia fa velo non solo al ragionamento, ma anche alla pietà.

Poi il fondamentalismo pacifista può sposarsi con altre pulsioni. L’antiamericanismo, che può avere le sue ragioni visto quanto ha saputo combinare la CIA specie in Sudamerica e i Bush in Medio Oriente; ma le perde tutte quando diventa dogma. Il vetero-comunismo, per cui la Russia ha sempre comunque ragione, anche oggi quando con il regime degli oligarchi è uno dei paesi meno comunisti della terra.

Sono, appunto, pulsioni. Non ignobili, ma in pratica negative. E diventerebbero pessime se si sposassero con la meschinità utilitarista di chi sarebbe prontissimo a scaricare l’Ucraina per un bel po’ di barili di petrolio e sconti in bolletta.

Non ci andrebbe di mezzo solo – si fa per dire - l’Ucraina. I regimi autoritari non aspettano altro: far vedere che la democrazia è inetta, non è capace di affrontare le sfide vere, le elezioni sono una baggianata, danno al popolo miserabile un potere che non dovrebbe avere e che non consente di operare le scelte difficili. E’ quanto pensavano Hitler e Mussolini, e la storia gli insegnò, in maniera drammatica, che avevano torto.

Per favore, non mettiamoci in quelle condizioni. Dimostriamo di saper affrontare le durezze della storia con intelligenza, umanità e anche spina dorsale.