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QT n. 2, febbraio 2023 Servizi

Lona-Lases: il Comune dell’oro rosso in default

Pagherà il solito Pantalone ?

Ha suscitato sconcerto, tra politici e giornalisti, quando, durante un incontro ad hoc del Coordinamento Lavoro Porfido con i capogruppo del Consiglio Provinciale, l’ex sindaco di Lona Lases Vigilio Valentini illustrava l’attuale stato del Comune: i conti in rosso profondo, il personale scappato e non sostituito, le entrate crollate causa chiusura di diverse cave, tra cui tutte quelle dell’area Pianacci, il giacimento più pregiato. “Ma come? – ci si chiedeva – Un comune che dovrebbe essere ricco, con i proventi del porfido, il mitico oro rosso? Come è possibile?

Purtroppo è possibile. E forse persino logico. Per almeno due ordini di fattori. Il primo è stato il rapporto predatorio, innanzitutto nei confronti dell’ambiente ma non solo, che ha sempre contraddistinto l’imprenditoria del porfido. Questo soprattutto grazie al fatto che i gestori dell’attività estrattiva sono stati (tranne nella parentesi della sindacatura Valentini) egemoni nella politica locale, spesso rivestendo la doppia veste di controllori e controllati senza che nessuno vigilasse per impedire l’evidente conflitto d’interessi. Così si sono saccheggiate anche le comunità e quando nel 1985 quella di

Lona-Lases seppe reagire ed opporsi, eleggendo un’amministrazione non sottomessa ai concessionari (quella appunto guidata da Vigilio Valentini) che portò in poco tempo al raddoppio dei canoni entranti nelle casse comunali (mediante la semplice istituzione di una commissione che verificava le reali rese del materiale scavato), vale a dire la percentuale di semilavorato grezzo ricavabile per mc di porfido estratto.

Da una parte i “picciotti” si dedicarono ad azioni intimidatorie bruciando automobili e facendo brillare cariche esplosive, dall’altra il grande concessionario ed ex-sindaco cav. Sergio Casagranda, diventato consigliere provinciale, si dedicava a tessere una rete di rapporti politici che nel giro di alcuni anni portò il Patt verso “sinistra”, fino a divenire determinante per il governo del cosiddetto “centro-sinistra autonomista”ed ottenere l’intervento legislativo provinciale del 1993, con il quale venivano determinati canoni calmierati a vantaggio dei concessionari. Un capolavoro che, se a Lona-Lases sarà superfluo di lì a un paio d’anni, quando l’amministrazione ritornerà nell’orbita dei concessionari, si rivelerà quantomai utile per amministratori locali spesso imbarazzati dal conflitto d’interessi. Senza entrare in dettagli (già riportati su QT), di fatto il canone

medio versato dai concessionari ai Comuni è stato di 4,50 euro al metro cubo, di 10 euro inferiore al valore medio europeo (14,5 euro). E’ all’interno di questo sistema predatorio che va collocata e compresa la situazione di Lona-Lases: i dati ufficiali ci dicono che dal 2008 al 2015 (anni in cui ancora erano attive tutte le cave attive dell’area Pianacci) sono stati estratti 343.063 mc di porfido che, ad un canone medio di 4,515 euro/mc hanno fruttato alla comunità (Asuc proprietaria e Comune ente gestore), un ammontare complessivo di 1.366.832,00 euro (media 170.854,00 euro/anno). Rispetto ai valori europei mancano quindi 3.430.630,00 euro nei soli 8 anni considerati (anni nei quali ha occupato lo scranno di sindaco Marco Casagranda, figlio del già citato Sergio).

Non basta. Per capire la situazione attuale occorre aggiungere che l’area estrattiva “Pianacci” (la più pregiata del comune) è stata lasciata per decenni al saccheggio da parte dei concessionari. Vedi il lotto 2, dove i fratelli Stenico di Fornace (Flavio e Marco, il

secondo ex sindaco e padre dell’attuale sindaco di Fornace) lo hanno devastato ed abbandonato dopo il fallimento nel 2013 delle loro aziende depredato del materiale migliore mediante la totale asportazione dei gradoni che costituiscono elemento essenziale per procedere con tecnica corretta all’estrazione procedendo dall’alto verso il basso (fatto su cui nel 2016 il Clp aveva presentato un dettagliato esposto alla Procura, del quale nulla si è saputo). Dopo la predazione c’è stato l’abbandono: con il fallimento di tutte le aziende controllate dalla holding dei fratelli Stenico, così come in concordato fallimentare sono andate praticamente negli stessi anni tutte le aziende della holding degli Odorizzi. Fatto curioso visto che erano le due famiglie (con Marco Stenico e Tiziano Odorizzi elementi di spicco nella DC e successivamente sostenitori del centro-sinistra

autonomista) controllavano l’estrazione del porfido non solo in Trentino ma a livello mondiale, con cave in Argentina e Marocco.

Altra storia esemplare quella dei lotti 3 e 4, facenti capo alla Diamant (titolari locali gli Eccel originari della val dei Mocheni entrati nel business grazie a un matrimonio con la figlia del concessionario storico Avi Luigino, esempio di come si trasferiscono le concessioni pubbliche) e alla Anesi srl (amministratore unico Mario Nania, ma amministratore di fatto – secondo gli inquirenti di “Perfido” – Giuseppe Battaglia,

entrambi nomi di spicco nella locale‘ndranghetista trentina ed attualmente in carcere). Nel 2016/17 le due concessioni sono state dichiarate decadute per gravi inadempienze nei confronti dei dipendenti, e d’altra parte Battaglia e Nania in un’intercettazione del novembre 2017 progettano “di condurre intenzionalmente la società Anesi Srl al fallimento, sfruttandola il più possibile, evadendo volutamente l’Iva e il pagamento di tutte le tasse”.

Ora, in questa giungla, cosa fanno l’ente gestore (il Comune) e l’ente proprietario (l’Asuc)? Non fanno niente, perdono i canoni (peraltro esigui, come abbiamo visto) senza fiatare. Potrebbero, anzi dovrebbero, indire un’asta (anche se per tempo limitato di 4/5 anni) perchè altre imprese subentrino, lavorino e di conseguenza garantiscano entrate alle casse comunali. Ma l’asta non la indicono. E questo è un dato fondamentale. La strategia dei nostrani ‘ndranghetisti (possiamo chiamarli così, dopo due sentenze) è quella di sfruttare le aziende e poi farle fallire – oltre alla Anesi, la Cava Porfidi Saltori, la Camparta, la Marmirolo... - e la risposta dei Comuni non c’è. Si lascia depredare il territorio e svuotare le casse pubbliche.

Non appare quindi fuori luogo il parallelo tra la situazione della Calabria e quella di Lona-Lases, tracciato da Graziano Ferrari (Clp) durante il suddetto incontro con i capigruppo in consiglio provinciale (disertato da PD, PATT e FdI). Come ignorare l’analogia tra la povertà nella quale è stata ridotta la terra d’origine della ‘ndrangheta, nota per essere in questo momento l’organizzazione mafiosa più ricca e potente del mondo, e la povertà nella quale è stato ridotto un comune, che godeva di una delle risorse più importanti della nostra provincia, nel momento in cui è diventato sede d’insediamento di cosche in affari con la potente lobby locale del porfido?

Pare che ora l’unica via d’uscita sia l’accorpamento con un altro comune, unificazione fallita nel 2015 a causa della vittoria del no nel referendum a Lona-Lases. Strenua fu l’opposizione, addirittura al referendum, da parte dell’allora sindaco Marco Casagranda e

per il no intervenne in paese anche l’ex senatore di FdI Cristano de Eccher. Mentre a Lona-Lases il “comitato d’affari” legato al settore porfido si mobilitò per condizionare il voto verso la bocciatura e in tal senso si diedero alacremente da fare alcuni soggetti oggi

imputati nel processo “Perfido” (tra cui proprio Nania), ad Albiano invece venne fatta una scelta diversa. Qui i maggiorenti, pur senza entusiasmo, appoggiarono il sì (ben sapendo della sua inutilità dovendo prevalere il No nell’altro comune): in una delle intercettazioni lo comunicano ai galoppini che lavoravano per il No a Lona. Che senso aveva tutto questo?

Un calcolo meschino, ma giusto (per loro). Mantenere i Comuni piccoli, separati e quindi più facilmente manovrabili da una parte; e dall’altra (con il Sì inutilmente vincente ad Albiano) dimostrare fedeltà al centro-sinistra autonomista al governo in Provincia, che invece sosteneva la fusione. Calcolo giusto, dicevamo: la giunta di centro-sinistra non si adontava con i cavatori, e così la successiva modifica della legge cave (Olivi-Viola, L.P. n. 1/2017) sanava tutta una serie di gravi inadempienze, in particolare in materia di tutela dei livelli occupazionali.

Ma questo è un altro versante della stessa storia. Il punto che vogliamo focalizzare è la crisi del Comune di Lona-Lases: in tanti si sono arricchiti, hanno spalancato le porte a gente con ancora meno scrupoli, e il territorio si è impoverito. L’ipotizzata unione di Lona-Lases (in bancarotta) con Albiano (attualmente in attivo) ci sembra una soluzione di breve respiro. Il problema è – per l’insieme dell’area – tornare a saper gestire il territorio, invece di lasciarlo in pasto ai pescecani.