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QT n. 4, aprile 2024 Servizi

Piccole centraline crescono?

Nuove norme (e un nuovo assessore) potrebbero aprire alla costruzione di altri impianti

A volte le cose si capiscono anche solo annusando l’aria che tira. E per quel che riguarda la costruzione di nuove piccole centrali idroelettriche, ci pare che l’aria, negli ultimi mesi, stia cambiando. In Trentino le piccole centrali, sotto i 3000 kilowatt di potenza nominale, sono circa 250. In gran parte proprietà dei Comuni o di Consorzi locali. Sono tante e per questo, negli ultimi anni, la Provincia aveva praticamente smesso di dare concessioni per la costruzione di nuovi impianti.

Il messaggio negli anni scorsi era arrivato forte e chiaro dagli uffici provinciali: “In pratica - ci dice l’ing. Franco Pocher, responsabile per le piccole centrali all’Agenzia provinciale per le risorse idriche e l’energia - noi facevamo la conferenza dei servizi esaminando decine e decine di progetti tutti insieme. Lì bastava una sola criticità di un certo elenco previsto dal piano di tutela delle acque. Un solo criterio non soddisfatto era sufficiente per rigettare l’istanza”.

L’input, anche politico, era che il tempo delle centraline era finito.

Nel frattempo però si era messo in mezzo il Tribunale Superiore delle Acque, una magistratura dedicata, poco conosciuta dai non addetti ai lavori. “Abbiamo avuto negli anni scorsi diverse sentenze del Tribunale Superiore delle acque - spiega Pocher - che hanno dato torto alla Provincia quando bocciava dei progetti senza motivare in modo specifico le ragioni del rigetto e, inoltre, senza dare al proponente la possibilità di controbattere. Magari anche rimettendo mano al progetto. Il Tribunale ci ha in qualche modo imposto con diverse sentenze, ma con un principio costante, di dare una seconda possibilità ai proponenti”.

A questo si è aggiunto, da fine 2022, il nuovo Piano di Tutela delle acque, che vale fino al 2027. Il piano sembra aver aperto un po’ i cordoni della borsa, cambiando la modalità di valutazione dei progetti. “Non più regole puntuali e dettagliate - continua Pocher - ma valutazioni cosiddette ex-ante che potrebbero sembrare meno restrittive”. Tuttavia, spiega il tecnico provinciale, poiché alla base di questa nuova impostazione c’è la cosiddetta Direttiva Acque europea, la maggiore larghezza di manica è più apparente che reale: “La direttiva, in qualche modo dice: le nuove derivazioni non devono mettere a rischio lo stato qualitativo dei corsi d’acqua. Che vuol dire: tu non puoi impattare sui corsi d’acqua, che normalmente sono già molto derivati. Devi valutare l’ulteriore impatto dal punto di vista complessivo e quindi anche in questo senso diventa sempre più difficile”.

Ma come si spiega allora quel certo grado di entusiasmo ed attivismo che abbiamo visto recentemente nel mondo delle piccole centrali?

Parliamo in specifico della neonata Associazione idroelettrica trentina, che raduna proprio i piccoli produttori di energia idroelettrica. Dentro ci sono tutti: i Comuni così come i privati. E l’obiettivo è fare massa critica nei rapporti con la Provincia su due versanti essenziali: il rinnovo delle concessioni in scadenza (di cui vi diamo conto alla fine di questo articolo) e il rilascio di nuove concessioni.

Quanto ai nuovi impianti, il presidente dell’Associazione Luca Pederzini ha già dichiarato che “in Trentino ci sono circa 150 milioni di kilowatt non espressi”, sottolineando che questi corrispondono al fabbisogno energetico di circa 50mila famiglie.

Pare tantissimo, ma si tratta, più o meno, del 4 per cento della nostra produzione idroelettrica totale. Al momento le piccole centrali esistenti producono circa un altro 3,5 per cento del totale, vale a dire circa 120 milioni di kilowatt. Quindi, facendo il conto della serva, andremmo a raddoppiare il numero di piccoli impianti.

L’associazione sottolinea anche che i nuovi impianti sarebbero prevalentemente ad acqua fluente, ovvero sistemi che non costruiscono bacini, ma si limitano a sfruttare - con griglie e pompe sotterranee - il moto dell’acqua. Il non detto è: hanno un impatto ambientale limitatissimo.

Piccoli impianti: meno “ecologici”?

Non la vede così rosea però il Comitato Tutela delle Acque. Il suo portavoce, Tommaso Bonazza, sottolinea che “i piccoli impianti finiscono per impattare sulla salute degli ecosistemi fluviali in maniera più considerevole rispetto ai grandi impianti, perché sono molti di più e molto più diffusi. Spesso sono su piccoli corsi d’acqua, magari anche nel tratto iniziale dove non c’è una grande portata e quindi comportano comunque una compromissione notevole della loro capacità di espletare funzioni ecosistemiche che comunque sono molto preziose”.

Ci fa degli esempi: “C’è un problema di frammentazione del DNA delle popolazioni ittiche, il trasporto dei nutrienti che viene bloccato, il problema del trasporto dei sedimenti, l’inibizione di alcuni cicli della materia all’interno dell’ambiente fluviale. I fiumi - conclude - non sono un tubo dove scorre l’acqua. Sono sistemi viventi complessi”. Inoltre, spiega, nel conto che si fa su quanto guadagniamo in termini di energia dovremmo “tener conto anche di quello a cui stiamo rinunciando, servizi ecosistemici che il fiume ci fornirebbe gratuitamente se lo lasciassimo fare il suo lavoro”.

Questi conti sono difficili da fare, anche se le scienze ecologiche stanno riuscendo pian piano a quantificarli, ma sono anche quasi sempre invisibili a occhio nudo, afferma Bonazza.

Il Comitato, peraltro, non nega alcuni dati di fatto: i sistemi ad acqua fluente sono un po’ meno impattanti di altri e, quando si parla di bilanciamento degli interessi ambientali ed economici, “va detto - spiega Bonazza - che noi facciamo una differenza se la singola centralina è di un privato o di un Comune. Se andiamo ad analizzare le centrali comunali che sono state fatte negli anni ’60 e che effettivamente portano un beneficio nelle casse dei Comuni, è chiaro che lì va pesato anche il beneficio per la collettività. Poi ogni centralina ha un po’ la sua storia, ma nel momento in cui le centraline sono private e ai Comuni resta un canone, che comunque non compenserà il danno ambientale, è chiaro che il discorso cambia”.

Infine Bonazza sottolinea che “ci sarebbero altre soluzioni interessanti, legate anche all’idroelettrico: ad esempio gli impianti sulle condotte degli acquedotti dove l’acqua è già intubata e ci sono salti. Perché non sfruttarli? Lì non c’è danno ambientale, perché l’acqua rimane dentro un circuito chiuso. Ma continuiamo a scegliere di tirar fuori acqua dai poveri fiumi. Ci sono una marea di salti di acqua in molti campi, dagli acquedotti, ai condotti fognari dove si potrebbe recuperare tanta energia. Lì il minidroelettrico è auspicabile”.

La battaglia per i nuovi impianti è decisamente appena iniziata. Anche perché, ci spiega ancora Pocher, per l’attuazione del piano mancano ancora parecchie delibere attuative che arriveranno nei prossimi mesi. Ed è qui che potrebbero davvero aprirsi un po’ di più i cordoni della borsa, perché la materia non è un moloch consolidato e c’è spazio di interpretazione. Forse i piccoli produttori sanno, meglio di noi, quali sono le intenzioni del nuovo assessore competente, Mattia Gottardi?

Il pasticcio del rinnovo delle concessioni

Seguiremo con attenzione la questione. Anche perché c’è una spada di Damocle che pende, sempre più da vicino, sull’idroelettrico. Su quello grande come su quello piccolo.

Parliamo di quel pasticciaccio brutto fatto nella scorsa legislatura con le leggi sul rinnovo delle concessioni.

Lasciando da parte le grandi centrali (sulle quali ormai dobbiamo solo sperare che a Bruxelles siano distratti e ci lascino passare la proroga fino al 2029), anche i piccoli impianti sono stati infilati negli anni scorsi in una trappola con la legge provinciale che - probabilmente unico caso in Europa - sottopone perfino i più piccoli a obbligo di gara per il rinnovo della concessione. Al momento sono già scadute le concessioni di 121 impianti, praticamente la metà di quelli esistenti.

Molti Comuni, che con i ricavi dei loro impianti fanno un bel pezzo del bilancio, sono preoccupati.

Alcune cose sono state oggetto di trattativa col governo, ad esempio il cosiddetto autoconsumo. Che funziona di fatto però solo per i piccolissimi impianti, che non superano i 220 kilowatt di potenza nominale. Per queste, quando la produzione è totalmente auto-consumata non c’è gara. Ma i ricavi sono comunque limitati.

Però ci sono 85 centraline oltre quella soglia. Tante appartengono a Comuni, Consorzi o a Dolomiti Energia. Per queste la scadenza per fare le gare è attualmente al 2027. Ma è solo spostare il problema un po’ più in là.

Quello che molti stanno sperando è che venga approvata la proroga per le grandi centrali fino al 2029 perché, a quanto ci dicono, le grandi “trascinerebbero” anche le minori.

E qui torniamo al cuore del problema di cui vi parliamo ormai da qualche anno: sull’acqua e i suoi usi la Provincia non ha una visione. Dal 2018 in poi la giunta Fugatti ha solo puntato a proroghe e governi amici, facendosi regolarmente sbattere la porta in faccia da esecutivi di qualunque colore, compreso l’attuale.

A questo punto dobbiamo dirvelo cari lettori: siamo sempre più pessimisti sulla possibilità che il governo dell’acqua rimanga in mani trentine. E possiamo davvero solo augurarci che Fugatti e la sua giunta abbiano il classico colpo di fortuna e riescano questa volta ad ottenere ciò che gli è stato negato già più volte. Speriamo in bene.

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