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QT n. 1, 9 gennaio 1999 Servizi

Il pericoloso sonno della sinistra

Con la paralisi del Consiglio provinciale, le riforme del sistema politico tornano ad essere centrali. Ma stavolta la sinistra non sembra interessata...

Prendersela con l’irresponsabilità del centrodestra, per la paralisi del nuovo Consiglio provinciale, è comprensibile, ma serve a poco.

D’accordo, l’ostruzionismo è un comportamento quasi sempre esecrabile. Ma Santini e compagni hanno pur sempre qualche briciola di ragione dalla loro parte nell’impedire all’Ulivo di eleggere da solo il presidente del Consiglio provinciale, ossia senza passare attraverso un accordo con le altre forze politiche.

Il regolamento vorrebbe che il presidente venisse eletto attraverso un accordo molto largo, ben oltre i numeri necessari per formare una maggioranza di giunta. E nel nostro caso l’Ulivo non solo non ha una maggioranza qualificata dalla propria parte, ma nemmeno quella assoluta. Finiti i festeggiamenti per la vittoria elettorale, l’Ulivo è in realtà, in Consiglio provinciale, solo la più forte delle minoranze.

Ed in fondo, molto probabilmente, l’Ulivo non si sarebbe comportato in maniera molto diversa dal centro-destra se i ruoli fossero stati invertiti. Anzi. E’ proprio nel centro-sinistra che da sempre si annidano i più attivi difensori delle norme regolamentari "consociative". E riguardo poi all’adozione della pratica dell’ostruzionismo… beh, chi è senza peccato scagli la prima pietra (uno senza peccato c’era, Mauro Bondi, ma non è stato rieletto, segno che non peccare porta pure male!).

In ogni caso, senza dilungarci troppo sull’episodio specifico (lasciamo alle cronache dei quotidiani il compito di seguire giorno per giorno gli avvenimenti), ciò che qui ci interessa è trarre, da quanto sta accadendo in Consiglio provinciale, alcune considerazioni.

In primo luogo, il fatto che a quasi due mesi dalle elezioni non solo non si siano ancora formate le squadre (una maggioranza di giunta e, conseguentemente, un’opposizione), ma manchi addirittura l’arbitro (il presidente del Consiglio, appunto), dimostra che il problema delle riforme è tutt’altro che superato con la vittoria dell’Ulivo e l’arrivo di Dellai.

In assenza di nuove regole del gioco, a partire da una legge elettorale che assegni a chi vince i seggi necessari per governare, anche "l’uomo della provvidenza" è costretto a fermarsi già alla prima tappa. E tutto questo pur essendo questo Consiglio provinciale in condizioni decisamente migliori rispetto a quello della precedente legislatura - poca frammentazione e una coalizione, l’Ulivo, che ha quasi la maggioranza per governare - grazie a quella soglia di sbarramento al 5% sul sistema elettorale che, pur cancellata da una discutibile sentenza della Corte Costituzionale, è riuscita a mostrare quasi per intero i propri effetti.

Insomma, sono bastati pochi giorni per avere la prova di quanto sino a ieri solo in pochi sostenevano: il discredito della politica provinciale contrapposto all’autorevolezza dei Comuni è una questione legata principalmente alle diverse regole elettorali e ai diversi meccanismi di funzionamento delle due istituzioni, e solo secondariamente alla qualità delle persone che le rappresentano.

Ma se la questione delle riforme è dunque oggi tornata preponderantemente d’attualità, rivelandosi ancora una volta un passaggio imprescindibile per chiunque voglia governare seriamente questa provincia, allora l’attuale muro contro muro tra l’Ulivo e le altre forze politiche, in particolare il centrodestra, è il modo peggiore per iniziare la legislatura.

A parte le solite e scontate solenni dichiarazioni di principio, il rischio non poi così improbabile è che l’Ulivo si accontenti di gestire per cinque anni il potere in Provincia, accantonando la questione delle riforme (dello Statuto, ma anche dei regolamenti consiliari) che lo costringerebbe ad un confronto con le opposizioni.

Se così fosse, come ha già sottolineato Mario Raffaelli, sarebbe per il Trentino una vera sciagura, visto che la prossima volta, alle prossime elezioni, non avremo a disposizione nemmeno lo strumento dello spauracchio della soglia di sbarramento.

Terza considerazione. Data questa situazione, è difficile comprendere il comportamento tenuto dalla sinistra dal 22 novembre in poi. Essa pare rifiutarsi di assumere una propria iniziativa politica, continuando a delegare a Dellai il compito di tenere il timone, secondo una logica ulivista forse corretta nei principi ma all’atto pratico del tutto controproducente.

Eppure, dopo l’esperienza della scorsa legislatura, la sinistra può vantare con il Patt e con lo stesso centrodestra un credito quasi maggiore di quello di Dellai. Una iniziativa autonoma della sinistra dovrebbe essere, insomma, doverosa, oltre che auspicabile.

Ed in fin dei conti un maggiore attivismo sarebbe utile non solo per uscire da quella condizione di subalternità a Dellai che il presidente dei DS Bondi tenta inutilmente di negare con cadenza ormai settimanale (quasi da avvocato difensore d’ufficio), ma gioverebbe in fin dei conti alla stessa coalizione dell’Ulivo.

Ed invece, i DS paiono aver perso quasi completamente interesse per le riforme. A tal punto che, battendosi per eleggere Leveghi alla presidenza del Consiglio provinciale, lavorano di fatto per precludersi la stessa possibilità di aspirare alla presidenza della giunta regionale, carica centrale nella partita della riforma dello Statuto.

Sistemate le pedine delle presidenze in Provincia (consiglio a Leveghi e giunta a Dellai), al Patt non resterà infatti che pretendere, in cambio del proprio non scontato appoggio all’Ulivo, la prestigiosa carica in Regione, alla quale Andreotti non ha fatto mistero di aspirare. Ed il potere di contrattazione del Patt cresce di giorno in giorno, proprio grazie ai disastrosi rapporti che l’Ulivo ha sinora costruito con le altre forze politiche.

Insomma, dopo aver fatto crollare due giunte provinciali in nome delle riforme, additando il Patt quale principale avversario del cambiamento, oggi la sinistra accetterebbe di partecipare ad una giunta che partirebbe consegnando al Patt il timone della modifica dello Statuto.

E se qualcuno pensa che sarà la Svp a toglierci le castagne dal fuoco, ponendo un veto su Andreotti in nome del terzo Statuto, ha sbagliato grossolanamente i calcoli. Nell’agenda di Durnwalder, con il 56% dei consensi all’attivo, il terzo Statuto di autonomia è l’ultima delle questioni all’ordine del giorno.

Ben diverso scenario si aprirebbe, invece, se alla presidenza della giunta regionale ci andasse un esponente della sinistra, che agli occhi dell’opinione pubblica oltre che delle altre forze politiche della Regione si è conquistata sull’argomento delle riforme un credito indiscusso. Una carica alla quale potrebbero legittimamente aspirare una delle due donne elette coi DS, la qual cosa costituirebbe pure una positiva novità per il grigio palazzo di piazza Dante.

Ma in seno ai DS sono ancora in molti a pensare che, piuttosto che misurarsi con la prova del governo, è in fondo più comodo lasciare questo compito a Dellai e limitarsi a sostenerlo, magari chiedendo due o tre assessorati per i propri consiglieri.

Insomma, i DS rischiano di stare alla Margherita come il Psdi stava alla DC: ottiene gli assessorati, a patto che lasci perdere di voler prendere in mano il timone della nave.

Speriamo, per il bene di tutti, che il comportamento suicida dei DS sia solo uno sbandamento momentaneo e che la sinistra ritrovi al più presto fiducia in se stessa. Per fortuna, qualche segnale in questo senso comincia a manifestarsi.