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QT n. 19, 6 novembre 1999 Servizi

Rischiamo di finire nel burrone; ma in Mercedes

Chiodi Wanda

Ho fatto un brutto sogno: Prodi, sostenuto dalla coalizione uscita vittoriosa dalle politiche del ’96, governava l’Italia, e quella vittoria sembrava segnasse una svolta nella politica italiana. Grandi erano le speranze di cambiamento che il popolo della sinistra riponeva in quel governo. Presto, però, gli entusiasmi svanirono. Sull’evasione fiscale il governo aveva continuato con la tolleranza degli anni precedenti. Anziché imporre sacrifici per risanare il debito pubblico, si andava avanti con aumenti su sigarette e benzina. Di riforma della pubblica amministrazione non si sentiva neanche parlare. Infine, in nome della tenuta del governo, l’ingresso in Europa era stato rimandato a data da destinarsi. Insomma, in breve si capì che era cambiato poco o nulla rispetto ai governi della prima Repubblica. Nei Ds, qualcuno iniziò a mostrare malessere e a criticare la conduzione del partito, che di quel governo faceva parte. Anche i giornali vicini alla sinistra iniziarono a menar fendenti contro il governo Prodi e contro i Ds, senza concedere sconti. A queste critiche il segretario nazionale dei Ds rispondeva ricordando che il governo Prodi rappresentava "la prima volta della sinistra unita al governo del Paese". Elencava gli straordinari risultati elettorali che, grazie a lui, il partito aveva raggiunto e le numerose prestigiose cariche di governo conquistate dai Ds. Norberto Bobbio scrisse all’Espresso per denunciare che le critiche mosse dal giornale alla sinistra facevano il gioco della destra. I Ds, sosteneva Bobbio, volevano davvero entrare in Europa e governare diversamente l’Italia, ma dentro la maggioranza vi erano delle difficoltà. Nulla di cui stupirsi, secondo Bobbio: l’Italia era il paese che aveva sempre dato la propria fiducia ad uno come Andreotti e, finita la Dc, aveva trovato rifugio in Berlusconi. Quei problemi erano veri: nella maggioranza, per motivi diversi, popolari, boselliani, verdi, bertinottiani ed anche una parte dei Ds, erano infatti contrari ad una politica di rigore sulla spesa pubblica. Alle critiche mosse alla politica dei Ds si rispondeva sostenendo che il problema era quello di avere una sinistra più unita e dunque più forte nei confronti del centro della coalizione. Per imprimere una svolta al governo, Prodi si proponeva di avviare un processo costituente delle sinistre, con l’obiettivo di dare vita ad una federazione tra Ds, Bertinotti, verdi, boselliani. Esclusa, anche per evitare accuse di egemonia, l’ipotesi di far confluire tutta la sinistra dentro i Ds, si proponeva di creare una federazione con nome e simbolo nuovi, slegata dall’Internazionale Socialista. E per agevolare l’accordo, i Ds avevano deciso di concedere il 50% dei propri collegi elettorali agli altri partner della futura federazione e di attenuare i toni sul programma. Una fetta di diessini cominciò a chiedere al segretario "Ma che diavolo fai?", ma lui rispose che eleggere questo o quello era lo stesso: erano tutti di sinistra e quindi tutti uguali e tutti bravi. Il segretario, anzi, cominciò a pensare che quelli del suo partito che continuavano a rompere le scatole con la moneta unica, in realtà volevano solo la poltrona. Non era entrando in Europa, sosteneva il segretario, che si sarebbero presi i voti. E dopo un po’, nessuno si ricordava più in nome di cosa la sinistra stava governando.

Svegliamoci, era solo un incubo, sebbene atti- nente alle cose dei nostri giorni. Ho ovviamen- te esagerato: in realtà il lavoro dell’attuale Giunta provinciale è invece in gran parte positivo. Ma il dibattito in corso nei Ds del Trentino è ingabbiato, suppergiù, nello stesso paradosso di quel brutto sogno. Nessuno mette in discussione il fatto che questo partito abbia oggi raggiunto rilevanti risultati in termini elettorali e di visibilità, dai cinque consiglieri provinciali alla Presidenza della Regione, dalla vicepresidenza della Provincia ai sindaci di Trento e di Rovereto. Il problema, però, è che gli unici risultati che vorrei considerare tali sarebbero l’aver approvato la riforma elettorale per la Provincia di Trento, l’aver approvato la riforma dei comprensori, l’aver avviato il Trentino verso un modello di sviluppo che scommette sull’intelligenza e che faccia della tutela dell’ambiente una ricchezza. O almeno mi accontenterei di sapere che per raggiungere questi obiettivi ce l’abbiamo messa e ce la stiamo mettendo proprio tutta. Altrimenti, continuando a snocciolare le tante poltroncine in mano nostra come fossero quelli i risultati, rischiamo di confondere il mezzo, cioè l’essere al governo, con il fine, ossia governare diversamente il Trentino. Nella scorsa legislatura i Ds (allora Pds) avevano solo due consiglieri e la sinistra era divisa. Ciononostante ci si era battuti fino in fondo, assieme a Bondi, Passerini, Dalbosco, Leveghi e Benedetti, per tentare di cambiare il Trentino, a cominciare dalla riforma elettorale. Si lavorava in condizioni difficilissime, ma vi era l’entusiasmo di sapere che si faceva qualcosa di veramente importante, per noi e per questa provincia. Lo stesso entusiasmo che ha portato uno come Bondi ad aderire ai Ds, sacrificando la sua rielezione in Consiglio provinciale. Nel partito si discuteva ogni settimana del nostro lavoro, scontrandosi anche duramente sulle questioni di merito. Poi, siccome non potevamo continuare a rimanere al governo con gente inaffidabile ed era inaccettabile l’aver lasciato un pezzo dell’Ulivo all’opposizione, non appena si è avuta l’avvisaglia che la riforma elettorale avrebbe avuto difficoltà ad essere approvata, siamo usciti dalla Giunta. Oggi siamo al governo in un quadro in parte diverso, ma molti di quelli che prima consideravamo inaffidabili ci sono ancora. Siccome però questa maggioranza provinciale è siglata Ulivo, si ritiene che non vi sia più motivo di agitarsi tanto per cosa sta facendo. Anzi, si comincia a pensare che oggi possiamo addirittura permetterci di dichiarare di non volerle fare, le riforme. E’ stato solo per miracolo se, su proposta dell’Ulivo, il Consiglio provinciale non ha assunto, qualche settimana fa, una posizione ufficiale contro la norma transitoria sulla riforma dello Statuto, ossia contro la speranza di votare con un sistema elettorale di tipo maggioritario alle prossime elezioni. Ed il partito, su questa come su tutte le altre decisioni che la Giunta provinciale sta assumendo, non discute più. Il ragionamento grosso modo è questo: governa l’Ulivo, l’Ulivo è guidato da un leader di grande statura come Dellai, dunque qualunque cosa l’Ulivo faccia va bene, o se anche non va bene, avrà sicuramente avuto qualche buona ragione per agire così. Nella scorsa legislatura eravamo al volante di una Bianchina, ma guidavamo nella direzione giusta. Poi qualcuno, nottetempo, ha sostituito la targhetta dell’automobile con la scritta "Mercedes". La guida sarebbe molto più comoda, se l’auto fosse davvero un Mercedes, ma che sia una Bianchina o un Mercedes, il problema è che abbiamo preso la strada sbagliata. Attorno al congresso dei Ds c’è chi, come QT, si è messo a gridare "Attenti, finite nel burrone!" e chi, invece, risponde: "Sì, ma col Mercedes!". Non è forse, tutto questo, pazzesco? Il problema, allora, non è quello di federare, di unire, di aggregare o di alleare i pezzi della sinistra, anche perché per fare un matrimonio bisogna essere almeno in due a volerlo. Il problema è che oggi, avendo importanti responsabilità di governo, abbiamo bisogno di un partito all’altezza della situazione, che sappia attivare tutte le energie disponibili nell’elaborazione dei programmi, anche per aiutare chi occupa cariche importanti nelle istituzioni. Un partito che, in nome di quei programmi, abbia il coraggio, se necessario, di litigare con qualche alleato, anche a rischio di perdere delle poltrone. Un partito guidato da un segretario riconosciuto dall’opinione pubblica per le sue battaglie per la modernizzazione del Trentino, in grado di competere per la leadership dell’Ulivo, facendo tornare i Ds protagonisti. Insomma, discutiamo finché si vuole, ma guardiamo avanti e muoviamoci.