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QT n. 15, 15 settembre 2001 Servizi

Manifattura: alimentaristi? No, grazie

La storica fabbrica di Rovereto, come le altre Manifatture italiane, sta per essere privatizzata. Ma i nuovi contratti proposti agli operai presentano pesanti arretramenti.

Scioperi e diversi ricorsi agli Uffici del lavoro provinciali, in diverse parti d’Italia, sono stati in questi mesi la risposta di molti dipendenti e di delegati delle Rappresentanze Sindacali ( RSU) delle Manifatture Tabacchi e delle Saline contro la proposta di inquadramento dei lavoratori nel contratto degli alimentaristi, in vista della vendita ai privati delle attività del Monopolio di Stato.

Proprio in questi giorni CGIL, CISL e UIL hanno definito una bozza di contratto che prevede, appunto, il passaggio, per i dipendenti del vecchio Monopolio, dallo status di dipendenti pubblici a quello di dipendenti privati del settore alimentare. Si tratta degli ultimi atti del processo di privatizzazione, in cammino da diversi anni. In realtà sono due i passaggi ancora mancanti : il trasferimento ad un contratto privato del rapporto di lavoro dei dipendenti e la vera e propria vendita delle attività, prevista entro pochi mesi, se non settimane. Ed è fin troppo evidente che la vendita sarà più tranquilla se saranno stati risolti i problemi contrattuali dei dipendenti, anche perché, a molti di essi, la soluzione alimentaristi non va proprio giù.

E c’era da aspettarselo, visto che il processo di privatizzazione ha trovato molte opposizioni, in particolare tra i lavoratori del Monopolio e non solo nella Manifattura di Rovereto. In questi ultimi due anni, d’altra parte, le attività dell’Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato (AAMS) relative alla produzione e alla vendita di tabacchi e sali hanno conosciuto un vero e proprio terremoto.

Nel 1998, con Decreto Legislativo (9.7.1998), nasce un Ente Pubblico Economico, l’Ente Tabacchi Italiani (ETI), a cui vengono trasferite le attività di produzione e vendita di tabacchi e sali, primo passo di una ulteriore trasformazione dell’ETI, il 19 luglio dello scorso anno, in società per azioni. E’ in questo quadro che viene decisa la chiusura di diverse Manifatture e di altre attività : una ristrutturazione pesantissima, che porterà gli attuali 7.000 dipendenti (vedi scheda 2) a quota 3831 nel 2003. Qui, anche la Manifattura di Rovereto entra nel circuito della possibile chiusura, ma poi non se ne fa nulla. Rovereto rimane nel numero delle Manifatture che proseguiranno la produzione (vedi scheda 1).

Ed è dalla Manifattura di Rovereto che parte, all’inizio di quest’anno l’opposizione più consistente ad alcune scelte, in particolare al trasferimento dei dipendenti dalla condizione contrattuale di dipendenti dal Ministero delle Finanze a quella di dipendenti privati del settore alimentaristi. Costituitisi in Coordinamento nazionale di lavoratori e delegati RSU di AAMS, ETI, ATI e FILTRATI, più di 700 lavoratori delle diverse aziende coinvolte hanno aperto una vertenza legale per il mantenimento dello stato giuridico di dipendenti pubblici dal momento che "ad essere privatizzata è l’Azienda – dicono – e non i dipendenti".

Questa vicenda ha poi avuto nel maggio scorso un risvolto tutto trentino. Di fronte al ricorso presentato all’Ufficio del lavoro provinciale di Trento da parte di una cinquantina di lavoratori della Manifattura di Rovereto, a presentarsi per la conciliazione sul problema del mantenimento dello status di dipendenti pubblici è stato solo il Ministero delle Finanze, con due delegati, mentre non si è fatto vedere alcun delegato dell’ETI, come soggetto privato. Eppure l’ETI è l’Ente da cui dipendono, come distaccati, i lavoratori del vecchio Monopolio di Stato. Naturalmente non se n’è fatto nulla, ma questo passaggio dall’Ufficio del lavoro era obbligato. Questa è infatti la condizione necessaria perché i lavoratori possano chiedere al Tribunale l’apertura di un procedimento legale che blocchi la loro privatizzazione.

Contro l’ipotesi dell’inquadramento nel contratto degli alimentaristi, d’altra parte, non sono partiti solo ricorsi legali. Nel maggio e nel giugno scorsi due iniziative di sciopero organizzate dal Coordinamento dei lavoratori e delegati RSU delle 7 manifatture e delle 3 saline, che l’ETI ha deciso di lasciare in attività, hanno avuto l’adesione media nazionale del 23-24%. A Rovereto l’adesione allo sciopero ha raggiunto il 42%. D’altra parte, due mesi prima, il 3 aprile, anche nella assemblea organizzata alla Manifattura , il sindacato confederale, si era trovato a fare i conti con una mozione, approvata dal 55% dei votanti, che rifiutava nella maniera più netta l’ipotesi di passaggio al contratto degli alimentaristi e che diffidava il sindacato dal sottoscrivere accordi che non fossero passati dal voto dei lavoratori. E poiché al voto in assemblea aveva partecipato solo un terzo dei lavoratori, la mozione, affinché non ci fossero dubbi sulla volontà della maggioranza, è stata sottoposta nei giorni successivi alla firma di ciascun lavoratore. E il risultato ha fugato ogni dubbio: su 243 dipendenti le firme sono state 140.

Ma anche nel sindacato qualche dubbio comincia a serpeggiare: mentre scriviamo, la CGIL della salina di S. Antioco ha fatto sapere di non condividere la scelta dei dirigenti nazionali del sindacato confederale.

Ma qual è la ragione di una opposizione tanto dura? Più che aspetti di tipo salariale, quello che a molti lavoratori appare pesante è la diversa condizione normativa a cui li obbligherà la nuova ipotesi contrattuale sia per quanto riguarda le ferie che per quanto riguarda gli stessi diritti sindacali. In particolare sulle ferie l’arretramento sarebbe consistente. Mentre, infatti, il contratto in vigore prevede 36 giorni di ferie, quello degli alimentaristi ne prevede 22. Ben 14 in meno. Metà mese, insomma, che se ne va nel bilancio d’azienda E non convince molto su questo punto la posizione del sindacato quando invita i lavoratori a ragionare sul fatto che sono rimasti i soli ad avere quei 36 giorni di ferie, quasi un privilegio di cui vergognarsi e che il sindacato non può più difendere.

Diverso è invece il problema dei diritti sindacali. In Manifattura, oggi, la normativa che regolamenta l’elezione delle rappresentanze sindacali interne (RSU) prevede che tutti i componenti vengano eletti dai lavoratori. Se si andasse al contratto degli alimentaristi, i rappresentanti eletti dai lavoratori sarebbero solo 4 su 6 perché CGIL, CISL e UIL hanno diritto, per legge, a 1/3 dei delegati nella RSU, a prescindere dal voto dei lavoratori. Di quest’ultima questione, per fortuna, si sta riprendendo a discutere e non solo nei luoghi di lavoro. Il problema del chi rappresenta chi è di nuovo sul tavolo. Ma il sindacato sembra che non lo veda.

Infine un’ultima questione. In quest’ultimo anno, in alcune manifatture tra quelle non destinate alla chiusura, ci sono state nuove assunzioni. A Rovereto esse riguardano una trentina di persone a cui viene applicato il contratto degli alimentaristi. Naturalmente è un cuneo non da poco calato in un contesto contrattuale diverso e che rende più difficile la battaglia di chi vuole difendere la qualità delle proprie condizioni di lavoro, perché apre uno scenario in cui la difesa di alcuni diritti rischia di essere rappresentata, falsamente, come la difesa di privilegi. E si sa che lo scivolone è facile. Potenza delle parole o degli imbroglioni?