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La linea del Piave

Alcuni opinionisti hanno sostenuto la peregrina tesi che il discorso di Borrelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario di Milano rischia di "essere a doppio taglio", e di aggravare "l’aperta contrapposizione verso il governo" da parte della magistratura. Impedirebbe di fatto quella svolta netta che, sola, potrebbe avviare la discussione per la soluzione del conflitto fra le due istituzioni.

Il Procuratore Generale di Milano, già a capo del pool di "Mani Pulite", dott. Giulio Borrelli.

Ogni opinione è legittima, naturalmente, e degna di particolare attenzione quando viene da studiosi preparati. Legittima è però anche la diversa opinione di Eugenio Scalfari, che ha definito il discorso di Borrelli "un grido di dolore" e un "solenne ammonimento" a resistere invocando quella "Resistenza contro il regime del ventennio da cui è nata la Costituzione, presidio di resistenza contro ogni altro regime possibile o futuro".

A sua volta Paolo Sylos Labini ha scritto: "Il discorso di Francesco Saverio Borrelli non è lo sfogo di un vecchio magistrato: è un discorso forte, civile e coraggioso, perché è in gioco lo Stato di diritto, garanzia di libertà".

A me pare che non si dovrebbe parlare del conflitto grave fra esecutivo e giudiziario come di un incendio appiccato da ignoti: se così fosse, le parole di Borrelli potrebbero effettivamente sembrare benzina sul fuoco. Bisogna invece sapere chi è l’incendiario, che non è la magistratura. I giudici non hanno mai invaso il campo altrui e il complotto delle toghe rosse è una frottola a cui non crede nessuno. La soluzione del conflitto non consiste dunque, come scrivono taluni, in una salomonica e contestuale "emancipazione dei giudici da ogni condizionamento politico" e nella "non ingerenza del potere giudiziario nelle questioni politiche". Il punto è proprio questo. La giurisdizione non si è mai ingerita, ma è stata aggredita. Nel conflitto istituzionale vi è un aggressore che attacca e una vittima che si difende. Questo è l’essenziale da non dimenticare. Per dialogare costruttivamente bisogna essere in due, e disarmati. Contro una carica di bisonti non si può discutere.

Negli ultimi tempi troppo numerosi sono stati gli attacchi a testa bassa del governo e della maggioranza contro l’ordine giudiziario: il falso in bilancio, le rogatorie, l’ordine di cattura europeo, l’incitamento di Taormina ad "arrestare i giudici di Milano", il trasferimento del giudice Brambilla ad opera del ministro Castelli per bloccare il processo SME. Berlusconi non vuole essere processato, non vuole perdere il potere, vuole salvare le sue ricchezze. La linea del governo è coerente con questi obbiettivi, ma contrasta con il principio fondamentale di uguaglianza di fronte alla legge. Se si dimentica la responsabilità dell’aggressore o la si confonde con la legittima difesa della vittima, si cade nella tentazione di auspicare un generico quanto inutile dialogo, magari per tentare di salvare il salvabile. Nessun dialogo è possibile con l’aggressore quando si tratta di difendere l’onore e lo Stato di diritto. Bisogna evitare come la peste ogni compromesso, che potrebbe essere solo deteriore. E’ necessario invece, come ha detto Borrelli, "resistere" sulla linea del Piave, non già immaginaria ma reale, perché oltre quella linea finisce la democrazia e comincia il regime.