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QT n. 3, 9 febbraio 2002 Monitor

“Il signore degli anelli”

"La Compagnia degli Anelli" è il primo episodio della trilogia "Il Signore degli Anelli" di Peter Jackson, fantasioso regista australiano, tratta dall’opera omonima che lo scrittore inglese R. R. Tolkien pubblicò in Inghilterra nel 1954 con grande successo, tanto da costituire allora un importante fenomeno socioculturale.

Qui si ripercorre il viaggio di Frodo Baggins, giovanissimo e virtuoso hobbit che abita col suo popolo, minuscole creature fantastiche, nella terra felice denominata Contea, per distruggere, gettandolo nella Voragine del Fato da dove proviene, l’anello dai poteri malvagi affidatogli dallo zio Bilbo. In un prologo, da voce narrante off si apprendono le vicissitudini antiche di questo anello, simbolo del male e del potere malefico, ricercato dai demoniaci re Sauron e Saruman il mago, che per riaverlo scatenano tutte le possibili forze negative. Nella sua impresa, Frodo è accompagnato e protetto da un gruppo di amici, tre hobbit, due cavalieri, un nano, un elfo e il vecchio buon mago Gandalf, loro capo carismatico.

Attraverso foreste incantate, fiumi trasparenti e cascate, monti innevati e praterie, abissi infernali dentro le viscere della terra e improbabili ponti sopra sospesi, mondo di sogno di strabiliante bellezza e varietà, il gruppo affronta una dopo l’altra le tremende prove riservategli da mostri, orchi e ogni sorta di esseri deformi, spaventosi ed aggressivi, che si parano dinanzi per interrompere il cammino dei nove e impossessarsi del potente anello.

Fedele al romanzo nello spirito come nella struttura e nell’articolazione dell’intreccio, il film si presenta come una ricostruzione fantastica di un mondo primitivo celtico, in cui primeggia la lotta tra bene e male, questo identificato in un potere che doma, ghermisce, incatena, e che diviene stimolo a capire i classici valori della vita. Esso ci conduce nel cuore della saga celtica e dei suoi miti, ma si può ben dire che tali miti siano trasversali alle culture originarie e appartengano quindi a ciascuna, celtica, cristiana, pagana, induista... A qualche rivendicazione politica di destra che fece della mitologia di Tolkien il proprio punto di riferimento, il medievalista F. Cardini ribatte: ".. Certo (Tolkien) era un conservatore, ma detestava Hitler anche perché si era impadronito dei miti medievali cavallereschi, contaminando la purezza spirituale con la purezza della razza. Quel che affascinava le destre radicali era quel tessuto di tradizioni germaniche e celtiche, quell’orizzonte epico ed eroico di un Medioevo malinteso...".

Piuttosto, gli scenari splendidi di una natura maestosa e incontaminata, sempre protagonista e vitale, che simboleggia un rifugio oltre che estetico anche di alta forza morale, riportano ad un’idea attuale ambientalista, di una natura da preservare con amore, unica certezza e presupposto per una qualità e un senso superiori della vita dell’uomo. Da austero e imponente a volte lo scenario si fa quasi new-age, zampillante di acque terse, frondoso di alberi e radure fiorite, culla di dolcezza, di un senso di intimità e libertà, intenso specie nei momenti delle brevi quanto arcane apparizioni delle donne, Arwen, la principessa degli Elfi, e Galadriel, la Dama di Lorien, appena accennate ma già cariche dei presagi di sviluppi e amori futuri.

In questa ambientazione vengono quindi messi in scena tutti i topoi del mito, l’eroe e i compagni che gli sono sostegno e conforto, l’oggetto magico, prezioso e tutelato con ogni cura, i nemici e oppositori, che sfoderano abbondanza di mezzi e forze, il bene e il male assoluto in una tenzone all’ultimo sangue: con abile dispiego di splendore visivo e visionario, la maestria registica sa sapientemente dosare la spettacolarità, dagli straordinari effetti speciali pressoché invisibili, e una struttura densa di contenuto e classici valori. Le dure prove si susseguono eccitanti ed estenuanti, assorbite in quel mondo fantasmagorico, dove colore e complessità si amalgano all’intimo travaglio di una maturazione degli eroi.

Essi, pur coraggiosi e decisi, vengono spesso messi in difficoltà; impari fisicamente e numericamente rispetto alle schiere dei sicari del male, nel corso del viaggio evidenziano nel comportamento più che i lati eroici le virtù quotidiane, generosità, amicizia, pazienza, perseveranza, e pure le fragilità, timore, tristezza, o anche la seduzione subita dall’anello, gelosamente tenuto da Frodo, da cui forte giunge la tentazione verso quel potere che esso in sé racchiude e concede. Prevalgono però le qualità, la lealtà, la tenacia, la forza morale di resistere e procedere, nonostante sconfitte e sofferenza, anche dopo la dipartita di Gandalf, loro guida spirituale, punto di sicuro appoggio e ristoro, vinto e sprofondato negli abissi del Signore del Male.

Nel fragore degli scontri, nell’incalzare delle orde che seminano terrore, nel dispendio di energie e visionarietà, si alternano nei duri giorni degli eroi pause e momenti privati, in cui emerge il loro mondo di umanità e sentimenti, come è nella vita, che ne definisce le personalità coerenti e ben definite: tutto questo dà forza e vivacità al racconto, dai toni variegati, epici, lirici, elegiaci, divertenti, amalgamati in un insieme coeso ed ispirato; da questo deriva anche la partecipazione emotiva dello spettatore alle loro sorti.