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Gli immigrati? Animali da lavoro

Tutti i rischi della legge Fini-Bossi. Da L’Altrapagina, mensile di Città di Castello.

Daniele Barni

Il 28 febbraio, dopo un durissimo scontro tra i Poli, il Senato ha varato le nuove norme sull’immigrazione, la cosiddetta legge Fini-Bossi, dal nome, appunto, dei suoi paladini. Si attende ancora l’approvazione definitiva da parte della Camera, dove sicuramente il clima non sarà meno arroventato. La legge Turco-Napolitano sulla stessa materia, promulgata a suo tempo dall’Ulivo e giudicata insufficiente dalla destra, sta, dunque, per essere archiviata definitivamente.

Vediamo, allora, come cambia la vita di Mohammed, un ipotetico immigrato dal Nordafrica, di 40 anni d’età, genitori ancora vivi, una moglie e due figli, uno di 19 e uno di 15 anni. Mohammed arriva in Italia con un contratto di lavoro a tempo determinato di 6 mesi. Il suo datore di lavoro si incarica di trovargli anche un alloggio, dove però, stando alla legge Fini-Bossi, potrà condurre dal paese d’origine soltanto la moglie e il figlio minorenne; né i genitori, né il figlio maggiorenne. Scaduto il contratto di lavoro, se il proprietario dell’azienda decidesse di non rinnovarglielo, il nostro Mohammed sarebbe costretto a tornare di nuovo, con tutta la famiglia, in patria, pena l’espulsione o la detenzione in un centro di raccolta, o, alla terza infrazione, il carcere.

Il Biancofiore, ovvero i centristi della maggioranza, hanno annunciato, in vista della discussione della legge alla Camera, diversi emendamenti, alcuni dei quali riguardanti proprio i ricongiungimenti. Tuttavia, se il documento rimanesse invariato, ci troveremmo di fronte a un concentrato di opportunismo ed egoismo non definibili in altro modo se non con la parola sfruttamento. L’immigrato viene spremuto finché torna utile farlo, dopo di che lo si rimanda da dove è venuto e buona notte. Neppure gli è concesso, mentre con il suo lavoro paga il nostro benessere, di vivere con l’intera famiglia, dato che i genitori e i figli maggiorenni non può portarseli appresso.

Non è difficile intravedere, dietro un tale capolavoro dei legulei nostrani, le tre anime della destra latino-italiana: quella post-fascista di Fini, impettita e a mento all’insù; quella xenofoba di Bossi; e quella menefreghista e danarosa di Berlusconi. Se poi condiamo il tutto con un pizzico d’integralismo cattolico, la pietanza risulta finalmente compiuta.

Nessuno mette in dubbio il fatto che i flussi migratori non possano essere lasciati a se stessi, ma che debbano essere controllati e guidati, che occorra vagliare con oculatezza coloro a cui permettiamo di entrare in casa nostra. Ma è altrettanto fuor di dubbio che debba essere integrato il più velocemente possibile chi mostra reali buone intenzioni e desiderio di far parte della nostra società, a meno che non si vogliano creare, in una prospettiva futura, divisioni ed attriti fra italiani ed extra-comunitari. E "integrare" non significa altro che concedere la cittadinanza con tutto ciò che ne consegue, diritto di voto compreso. Purtroppo, non è difficile constatare che la legge Fini-Bossi va esattamente nella direzione opposta.

Ma con questa destra si è raggiunto davvero il paradosso: il pacchetto varato in materia d’immigrazione, infatti, è così restrittivo che fa storcere il naso non solo a tanti industriali italiani, ma anche a molti burocrati di Bruxelles. Nemmeno l’Europa delle multinazionali, dunque, vede di buon occhio un simile pastrocchio. Perché, non dimentichiamocelo, l’immigrazione è diventato un fattore necessario e decisivo per l’industria occidentale; non si pensi, perciò, se proprio vogliamo fare un discorso puramente utilitaristico e sgombrare il campo da ogni pulsione umanitaria, che gli immigrati possano davvero essere ributtati a mare, come in tanti mostrano di intendere.

In ultima analisi, vorrei far notare i molti punti di contatto che uniscono le politiche del Polo riguardanti l’immigrazione e quelle concernenti il mondo del lavoro, con i tentativi di modifica dell’articolo 18 sui licenziamenti e con questa montante voglia di deregolamentazione che adesso va di moda.

Almeno un paio di coincidenze non sembrano casuali, una più superficiale e immediata, l’altra più profonda e strisciante.

Innanzitutto, se davvero si volesse contrastare il lavoro precario, anziché favorirlo, per gli immigrati si dovrebbe battere inevitabilmente la strada dell’integrazione: qualora a nessun extracomunitario, infatti, scadesse il contratto lavorativo, verrebbe meno anche la necessità, se proprio vogliamo metterla su questo piano, di rispedirlo a casa. Procedendo di questo passo, c’è da aspettarsi che, tra poco, vengano espulsi, non appena scaduti i termini, persino gli italiani con un rapporto di lavoro a tempo determinato!

In secondo luogo, questa rincorsa al denaro, al profitto perenne, al guadagno come scopo principale dell’uomo, e non al benessere inteso come miglioramento delle condizioni di vita di tutti, pare stia mietendo, per la prima volta molto vicino a noi, le sue prime vittime: gli immigrati non sono forse i più deboli fra i deboli? Un loro sfruttamento sistematico, come la legge Fini-Bossi si prefigge, non è forse il primo gradino di quella scala che raggiungerà ben presto i pensionati, i lavoratori dipendenti, e poi, magari, anche il ceto medio, per lasciare ogni cosa, potere e ricchezza, in mano di pochi potenti?

A mio parere, è suonato un nuovo campanello d’allarme; a questo punto, continuare a dormire e non reagire con fermezza potrebbe risultare pericoloso.