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Ho spento la TV e ho cominciato a guardarmi intorno

Shira Cimadom

Sono contenta di essere qui. Sono contenta di essere in movimento, dentro una massa colorata che si muove, che conosce, che cerca di capire, cerca di inventare. Che cerca di capire cosa si dovrebbe progettare per riuscire a cambiare, a rovesciare questo pericoloso mondo, in discesa. Un mondo che ha gli anni contati, e qui non si scherza. Implode la Natura. Esplode il liberismo. Implode la natura della vita. Il senso dell’esistere.

Sono contenta di esistere. In un movimento che cerca di capire come poter seminare, germogli di iniziativa, di evoluzione culturale, di aria pura. Che cerca di capire come poter resistere alle tensioni, agli egoismi, alle nefandezze monetarie, alle atrocità militari. Alle iniquità delle politiche di potere.

In movimento, sperimentiamo piani di comunicazione, per poter arrivare alle persone, nelle persone. Per poterle toccare e magari scuotere. Perché io credo che lì vi sarà rivoluzione.

Il fatto è che le persone, ancora, sono ingabbiate dalla catena produttiva. E non hanno il tempo di riflettere profondamente sul ruolo della vita. Anche della loro vita. Forse non riescono a lasciarsi trasportare dal bisogno di sapere, perché ne hanno già abbastanza delle loro tensioni. Dei loro fine mese, delle loro bollette maledette. O perché sono rinchiusi nel loro finto benessere. Prigionieri della costrizione alla affannosa, grigia corsa della competizione. Come una gara al profitto, sennò non sei. Oggi comperiamo il nostro prestigio, la nostra rilevanza sociale. Senza più spontaneità e con davvero poca, pochissima serenità. Soldi, money, monet, dinero. Vacanze, tourist club, macchinoni e alta moda.

E la psiche sociale impazza e strapazza. Ed il tempo è realmente denaro. E si evolvono le tecnologie per poter non smettere più di lavorare, guidando un’auto dotata di pc, per ottimizzare i tempi. E non si rallenta più, e si è sempre in produzione per portare all’apice questo sistema economico, barbaro e devastatore.

Ed ho cominciato a muovermi, a seguire il flusso di informazione, di valore umano nonché di indignazione che avevo incrociato. E forse non per caso. Forse, in fondo, per mia necessità. Già, quel personale bisogno di capire le ingiustizie della fame e delle guerre che su questo nostro piccolo mondo dolorosamente accadono.

Ed ho assaporato il camminare. Il camminare domandando. Domandandomi. Ho spento la tv ed ho cominciato a guardarmi intorno, più nel profondo. Ed ho ricominciato a parlare. O meglio, ho cominciato a cercare, a leggere, ad ascoltare le cose attraverso i fatti ed il mio sentire. Attraverso il mio senso di giustizia. Spettatrice dell’urgenza umanitaria in corso, nonché peggiore in prospetto.

E non potrei oramai più tacere, o smettere di camminare. Perché sento il milione e più nei brividi della pelle, nelle mie riflessioni e nelle mie migliaia di fotografie mai scattate. Infiniti sono i percorsi, infiniti gli incroci e le possibilità d’incontro. Se ti muovi puoi farti rapire, dal sentimento, puoi crescere, e poi forse imparare ad iniziare, chissà, magari a cambiare le cose.

E lo si potrebbe mettere in discussione realmente, questo sistema. Ingiusto, esigente. Violento. Se solo comprendesse l’uomo, la bellezza di cambiare progetto... Rallentare, cercarsi, rendersi felice. Il nostro tempo è immancabilmente veloce, arbitrariamente condotto. Sono condotta alla produzione, comunque o per lo più per il più forte. Sono condotta, prima inconsapevolmente nei meccanismi, poi nell’ideologia, nella politica, nell’opinione, addirittura nei desideri. Come nel pregiudizio.

E la vita diviene difficile, anche nervosa.Rigida, talvolta impau- rita, preoccupata. Il nostro stesso tempo di lavoro è di frequente teso, preoccupato, certamente obbligatorio, altrimenti perdi tutto, altrimenti non vivi, altrimenti non hai, e non sei. E boccheggi ai margini, in ultima fila. Ciò che senti, ciò che hai dentro non paga il pane, purtroppo. Il nostro tempo di lavoro, se non scelto, se non motivato, ci lascia poco tempo. A noi. Ai nostri vecchi amici, ai nostri figli. Alla partecipazione sociale. Ma io ci sono, cazzo. E sento, e non mi do pace e m’indigno davanti alle guerre, davanti alle leggerezze d’un mondo che si dice modello, che si dice cultura raggiunta, eletta. Ma che si inventa di tutto per salvare la pazzia. E giocano ai disastri, ‘sti coglioni.

A Firenze eravamo un milione. Ora bisogna rubare il cuore delle persone, per contaminare con un’epidemia che deve essere di senso. Per la salvaguardia della vita tutta, emozioniamo. Scuotiamo quella potenzialità che potrebbe divenire rivoluzionaria.

Io reclamo reddito, un reddito universale di cittadinanza, incondizionato. Per il diritto all’esistenza, per la dignità di tutti e tutte. Per scegliere il mio tempo, per potermi fermare, per poter cooperare nella costruzione di quell’altro mondo che ho in testa. Rivoglio i miei soldi, quelli buttati nel marciume della potenza capitalista, quelli viscidamente fioriti in bombe, in armi nucleari. Voglio salvaguardare la terra. Ridatemi i miei soldi, quelli investiti nella ricerca del potere, nello sfruttamento, fioriti nella Bse, nella morte innaturale. Rivoglio tutti i miei soldi investiti nella sicurezza, nella militarizzazione dei territori, nei controlli alle frontiere, nella psicopatia generalizzata.

Rivoglio fino all’ultimo centesimo i soldi dei miei fratelli e delle mie sorelle migranti. Ridatemi ciò che voi, schifosi, avete sperperato in disumani centri di ‘permanenza temporanea’. Carceri del mio arcobaleno. Rivoglio tutto ciò che è stato sottratto alla dignità. Perché io non ho paura di andare incontro all’altro, ed ho bisogno di costruire, di distribuire e condividere.

Se tutti tornassimo a sentire, se tutti arrivassimo a cogliere, se tornassimo a desiderare la nostra vita. Se tutti provassero a camminare, fuori dalla fiction. Salveremmo i nostri figli. Salveremmo magari e libereremmo tutti i figli del mondo.

One solution, soul revolution.