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OGM a Trento?

Manuela Fontanive

Ho letto con molto interesse l’articolo di Ettore Paris pubblicato da Questotrentino nel numero 20 del 23 novembre scorso (Biotecnologie a Trento: c'è da averne paura?).

Negli ultimi tempi la stampa locale ha riportato delle notizie inquietanti sulle prospettive relative all’applicazione delle biotecnologie in Trentino.

Ho ritenuto un dovere morale scrivere questa lettera, dato che da qualche anno ho seguito gli sviluppi sul dibattito riguardante l’applicazione delle biotecnologie in campo agricolo e alimentare.

C’è molta saggezza e lungimiranza in quanto dichiara il prof. Renato Mazzolini sui rischi derivanti dall’applicazione di tale tecnica in Trentino.

Riflettendo su quanto riportato nell’articolo mi viene da fare la considerazione che sempre più spesso nel mondo accademico e nelle istituzioni, si nasconde il riduzionismo scientifico dietro ad affermazioni che tacciano l’opinione pubblica di essere ‘disinformata’ e ‘catastrofista’; in realtà nel ‘mondo globale’ l’informazione è ormai alla portata di tutti, e aggiungo, per fortuna!

Il settore delle biotecnologie implica volumi di affari di migliaia di milioni di dollari, malgrado la crisi attraversata negli ultimi anni negli stessi USA per la maggiore sensibilità dell’opinione pubblica sui potenziali rischi connessi all’applicazione di queste tecnologie.

Il settore dell’alimentazione è quello economicamente più rilevante a livello mondiale ed implica consistenti volumi di affari. Esso si compone di molteplici transazioni negoziali tra le quali vi è anche la commercializzazione di soia e mais tra Stati Uniti e Unione Europea.

Questi rapporti commerciali si stanno incrinando in quanto gran parte dell’opinione pubblica europea si è schierata contro gli alimenti OGM, ma nonostante ciò l’Europa risulta essere ancora uno dei maggiori importatori di mais e soia dagli Stati Uniti.

Attualmente nei Paesi dell’Unione Europea è vietata la produzione di OGM anche se è stata comunque approvata una direttiva, la n. 44 del 1998, che prevede la brevettabilità di organismi viventi o parte di essi e che molti Stati non hanno recepito entro la scadenza del luglio 2000.

Mi preme anzitutto porre l’attenzione sul Comitato Etico previsto nel progetto dell’Università quale ente controllore. Mi chiedo quanto questo possa essere effettivamente una garanzia pensando a quanto è successo nel passato in altri Stati. Negli USA nei primi anni ’70 e in particolare ad Asilomar in California nel 1975, si è tenuta una conferenza scientifica internazionale che ha ampiamente dibattuto sulle questioni etico-scientifiche della manipolazione genetica. Si era convenuto di vietare la brevettabilità degli organismi viventi e comunque di limitare le sperimentazioni ai laboratori con ‘batteri deboli’ e l’introduzione precauzionale di moratorie per l’incertezza scientifica del campo che si andava a studiare.

Malgrado ciò, nei primi anni ’80, con sentenza favorevole della Corte Suprema USA, uno scienziato indiano venne autorizzato a brevettare un particolare microorganismo.

Questo è stato il punto di partenza che ha consentito di introdurre brevetti sulle forme di vita.

Le Istituzioni statunitensi, da parte loro, hanno adottato una politica di ‘lasciar fare’ favorendo tutte quelle industrie che hanno investito ingenti capitali in biotecnologie. L’opinione pubblica è stata ‘tranquillizzata’ con promesse sulle potenzialità e i benefici che avrebbero tratto da questi nuovi prodotti, garantendo il principio di ‘sostanziale equivalenza’ tra OGM e altri alimenti.

In realtà non esiste e non è mai esistita alcuna dimostrazione scientifica che giustifichi tale principio e le sperimentazioni in campo aperto sono avvenute in America a mezzo di ‘field tests’, ovvero di coltivazioni protette da barriere fisiche che in realtà, è stato dimostrato, non hanno consentito di eliminare il rischio di inquinamento genetico.

Mi sembrava interessante porre l’attenzione su questo breve excursus storico che, anche se riduttivo, rende l’idea delle dinamiche che si innescano quando gli interessi economici prevalgono sul bene comune.

Attualmente non ci sono dati scientifici a favore o sfavore degli OGM.

Mi ha colpito personalmente un fatto che, sottolineo, può essere puramente casuale. La cronaca recente ha comunicato che negli USA, molti cittadini colpiti dal virus del carbonchio non rispondevano alle cure antibiotiche e che per questo si stavano studiando dei vaccini. E’ interessante sapere che spesso le biotecnologie statunitensi hanno fatto uso di marcatori antibiotici e già qualche scienziato ha azzardato l’ipotesi dell’assuefazione agli antibiotici da parte di coloro che avrebbero ingerito abitualmente tali alimenti.

Senza scendere in inutili catastrofismi, quello che mi preme sottolineare è che esiste il potenziale rischio per la salute dell’uomo.

Voglio però evidenziare un fatto: l’inquinamento genetico per l’introduzione di nuove forme vegetali è reale indipendentemente dal fatto che gli ogm si producano con la tecnica del DNA ricombinante o con altre tecniche come si sostiene per il progetto trentino.

L’emissione di sostanze mutagene nell’ambiente produce una alta aleatorietà, non se ne può controllare l’effetto nel tempo e nello spazio.

Il grosso rischio è quello dell’ulteriore riduzione della biodiversità con ripercussioni in campo agricolo, alimentare, farmaceutico.

Per poi non parlare dei conseguenti effetti a livello economico e sociale che inevitabilmente l’introduzione della nuova tecnologia comporterebbe. Potrebbe significare aumentare la dipendenza dei coltivatori dai detentori di nuovi brevetti (cosa che sta già accadendo) e perdita di valori di una società ancora legata alle tradizioni agro-alimentari che sono ancora la nostra ricchezza.

Per quanto riguarda invece il filantropico tema di combattere la fame nel mondo con l’uso delle biotecnologie, è doveroso precisare che altro non è che una delle azioni propagandistiche di ‘green wash’ delle multinazionali.

Si sa che il problema della fame nel mondo è dovuto a una rete di politiche economiche a livello mondiale di errata redistribuzione delle risorse. Il nord del mondo si ammala per eccessiva alimentazione mentre a sud muoiono di fame.

Ritornando al nostro piccolo Trentino ove l’equilibrio ecologico è precario a causa della morfologia del territorio e del continuo aumento dell’inquinamento, c’è da riflettere molto prima di trovarsi incanalati in insani antagonismi abbagliati dai possibili miracoli scientifici promessi dalla biologia.

Ricordo a tale proposito che a livello di normative comunitarie esiste la possibilità di seguire dei percorsi alternativi e sostenibili, in particolare per i territori montani. Un caso ad esempio è quello del settore biologico che, malgrado il notevole favore accolto negli ultimi tempi dai consumatori e dai contadini, secondo la cronaca recente sta per essere accantonato nel Trentino per il più remunerativo settore biotecnologico.

Un monito alle amministrazioni è quello di vedere l’ambiente come risorsa e di operare nei termini di maggiore sostenibilità ambientale.

In fondo ci si può differenziare puntando alla qualità della vita e al suo rispetto.