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QT n. 20, 23 novembre 2002 Cover story

Bio-tecnologie a Trento: c’è da averne paura?

“Se introducessimo gli Ogm in Trentino saremmo pazzi furiosi” afferma il preside di Scienze prof. Bassi. Eppure c’è chi non si fida... I cibi transgenici, le biotecnologie, le multinazionali, e il nuovo progetto dell’Università di Trento.

Trento: piccolo rimorchio dietro il grande treno delle multinazionali? La salute pubblica in pericolo? La produzione agricola locale, che pur con contraddizioni cerca di affermarsi sul piano della qualità, costretta a un’impossibile riconversione verso la quantità? L’immagine ecologica del Trentino azzerata? E tutto questo a seguito di avventurose scelte dell’Università?

Questi gli interrogativi posti in una polemica, rovente anche se tutta interna al mondo accademico, sorta, alcuni mesi fa, attorno al progetto di un nuovo centro di ricerca nel campo delle biotecnologie, proposto con grande forza dal rettore Massimo Egidi.

E’ il professor Renato Mazzolini, direttore del Dipartimento di Scienze umane e sociali, nonché studioso proprio di Storia della scienza, a contestare il progetto: "Poiché conosco l’inglese e seguo con interesse gli sviluppi della biologia contemporanea, ho capito immediatamente che l’istituto in questione dovrebbe occuparsi anche di organismi geneticamente modificati (OGM)" - scrive in una lettera ai colleghi. E del resto già sull’Adige aveva espresso la sua preoccupazione: "Mi chiedo se un Trentino che un domani produca degli OGM non rischi di dare di sé un’immagine negativa rispetto a quella che attualmente vorrebbe presentare."

L’argomentazione è molto forte (ne vedremo poi meglio le implicazioni). E sia il rettore Egidi che il presidente della giunta Dellai rispondono a muso duro: "Nessun tentativo di studiare o addirittura creare OGM, lo assicuro" - replicano entrambi, aggiungendo considerazioni sprezzanti su Mazzolini, "poco corretto perché usa argomenti inconsistenti e disinformati".

Mazzolini però non dev’essere uno sprovveduto, se le sue preoccupazioni vengono confermate addirittura da uno degli esperti internazionali in predicato per venire a Trento, Giulio Superti-Furga, docente all’Università di Bologna e responsabile dei progetti di ricerca al Molecular Biology Laboratory di Heidelberg: "Certo che gli OGM vanno studiati" - afferma. E rincara: "Se (a Trento, n.d.r.) riuscissimo, ad esempio, a fare un riso che nutre più di quello normale per il terzo mondo…"

E allora il timore che il rettore e il presidente non la raccontino giusta, è diventato plausibile. Anche perché OGM sarà una parola tabù, ma significa affari.

Ma cosa c’è di negativo, o meglio, di problematico, negli organismi geneticamente modificati? Perché da una parte tanti timori, dall’altra tante speranze, e al di sopra di tutto un colossale business?

Alcune cose vanno chiarite: le biotecnologie, ossia le modificazioni dell’uomo sulle specie viventi, esistono da migliaia di anni. Dallo yogurth, alla vite, alla rosa, al barboncino, attraverso molteplici tecniche come fermentazioni, innesti e incroci, l’uomo ha modificato le specie viventi, creandone di nuove a suo uso e consumo. Ora, con lo studio della genetica, queste possibilità si sono immensamente dilatate.

Per cui è possibile, con operazioni che potremmo definire chirurgiche, di trapianto di un segmento di DNA da una specie all’altra, incrociare specie lontanissime, addirittura animali con vegetali, come ad esempio un insetto e la pianta del mais; ottenendo così dei prodotti con le caratteristiche volute. Soprattutto - al giorno d’oggi - resistenza ai parassiti e tolleranza degli erbicidi. Ma è facile prevedere come altre caratteristiche siano in fase di progettazione.

Questi nuovi prodotti, per la loro superiorità economica, sono stati facilmente imposti sul mercato dalle multinazionali dell’agro-alimentare: a livello mondiale, nel 2001, il 7% del mais, l’11% della colza, il 20% del cotone e addirittura il 46% della soia sono transgenici. Quali effetti potrà avere, sul lungo periodo, l’ingestione di questi alimenti, in cui la naturalità è stata tanto profondamente trasformata? Il timore è che le modificazioni genetiche attraverso vie oggi sconosciute si trasmettano all’uomo. In realtà questa è solo un’ansia non supportata da dati di fatto. Ma anche le insorgenze di tumori dovute alle cause più svariate, dal DDT all’amianto, come pure gli effetti del nucleare, o dei raggi X, sono state scoperte, amaramente, solo dopo molti anni di contaminazione delle popolazioni.

"Gli scienziati ci hanno sempre tranquillizzati, in un primo tempo. Salvo poi finire nel ruolo degli apprendisti stregoni, che non riescono a controllare gli effetti delle loro scoperte e creano disastri -afferma Piegiorgio Rauzi, docente a Sociologia.

Ci sono anche altre obiezioni. In particolare quelle portate avanti dai new-global: le multinazionali fanno il loro mestiere, massimizzare i profitti infischiandosene dei diritti dei cittadini, figuriamoci dei diritti dei contadini del terzo mondo. Gli OGM, presentati come soluzione ai problemi agro-alimentari dei paesi poveri, spesso invece instaurano una nuova dipendenza: quella dalle sementi. Eclatante il caso della semente del mais "sterile", cioè che non si riproduce. Venduta dalla Monsanto in India e Bangladesh senza alcuna pubblicizzazione di questa caratteristica, ha portato alla rovina intere province, dove i contadini l’anno dopo invano hanno ripiantato le sementi: circa duecento di loro, travolti dai debiti, si sono suicidati.

L’Europa ha scelto un’altra strada. Non tanto per un maggior rispetto per la salute pubblica, ma per le esigenze della propria agricoltura. Operante su aree molto più ridotte delle distese americane o delle grandi piantagioni, fornisce redditi molto elevati: ha imboccato la strada della qualità, della specializzazione. In Europa quindi la coltivazione degli OGM è proibita. Sono commercializzati invece i prodotti americani, e questo è causa di timori nella popolazione e di scontri nelle assise del commercio internazionale.

In questo quadro, se il Trentino volesse mettersi al fianco delle multinazionali, farebbe una scelta demenziale. Lo slogan (e la politica sottesa) "Dal Trentino, naturalmente" verrebbe capovolto: proprio in un momento in cui si amplia sempre più il mercato di qualità e un colosso come la Coop ha deciso di garantire come Ogm-free tutti i suoi prodotti, e ha creato appositi laboratori per poterlo certificare.

Per questo, quando alla dichiarazioni di Superti-Furga ha fatto seguito un documento sulle "Linee Guida per un progetto di sviluppo delle biotecnologie" presentato al Consiglio di amministrazione dell’Università di Trento, con alcuni passaggi ambigui sulla questione OGM, le inquietudini sono aumentate.

"Io, sia chiaro, non sono contro la ricerca nelle biotecnologie, sono contro questa impostazione" - ci dice Rauzi, che nel Cda ha votato contro.

Vediamo nel concreto.

l settore delle scienze della vita è uno dei punti fondamentali dello sviluppo scientifico di questi e dei prossimi anni - ci dice il prof. Davide Bassi, preside della facoltà di Scienze - Noi siamo attivi nel campo dell’informatica, della fisica, della matematica, mentre ci manca del tutto la parte biologica. Il fatto è che la facoltà di Scienze è un tutt’uno, in cui le varie discipline collaborano e crescono assieme. Ad esempio, i premi Nobel per la chimica del 2002 sono stati assegnati a scienziati che hanno scoperto come applicare l’informatica allo studio delle proteine, potendo così gestire numeri colossali di dati ed arrivare a una mappatura delle proteine, ed aprendo quindi la possibilità di arrivare ai farmaci personalizzati."

IArriviamo quindi al contestato argomento degli Ogm.

"Il nostro scopo è capire come funzionano i geni, attivando o disattivando il singolo gene in maniera casuale. Si tratta di attività in laboratorio su un campione unico, che rimane lì e poi viene distrutto. Altra cosa è produrre nuovi organismi. Cosa che non faremo, perché farlo sarebbe stupido: saremmo a rimorchio di multinazionali partite dieci anni fa."

Eppure queste sono le preoccupazioni. Per esempio, che si voglia produrre un Teroldego artificiale…

"Se lo facessero, i Trentini sarebbero pazzi. Il vino da OGM già lo fanno i californiani; con loro, con le loro superfici, non si può competere, noi siamo obbligati a puntare su qualità e naturalità. Ci castreremmo con le nostre mani…"

Il ricercatore pensa al successo del suo laboratorio, non ai problemi dei contadini…

"No. I soldi a un’università vengono dal contesto socio-economico. Se noi impoverissimo il Trentino, saremmo finiti".

L’argomento coinvolge in prima persona l’Istituto Agrario di San Michele, che sta portando avanti, finanziato dalla Fondazione Caritro, un progetto di "Biologia avanzata applicata a vite, melo e salmonidi", di cui studia la mappa genetica; e che è con l’IRST uno dei partner dell’Università nel nuovo progetto sulle biotecnologie.

"Posso tranquillizzare: noi, come ente funzionale della Provincia, abbiamo vincoli molto rigidi nel rispettarne le delibere, tra cui una che proibisce di ospitare OGM sul territorio provinciale - ci dice il dott. Basilio Borghi, direttore del Centro sperimentale dell’Istituto -E il rilascio di OGM non autorizzati è comunque un reato. Noi non produciamo varietà transgeniche, non utilizziamo, né utilizzeremo, le tecniche del DNA ricombinante per trasferire caratteristiche da una specie all’altra, anche fra loro lontane. Anzi, abbiamo costruito (ora siamo in fase di collaudo) un laboratorio specializzato nell’individuazione di eventuali OGM."

Allora in che consiste la manipolazione genetica che pur effettuate?

"La manipolazione genetica si effettua da 10.000 anni, sfruttando gli incroci, per creare varietà più resistenti. E questo facciamo noi, cercando gli incroci migliori tra i cosidetti ‘genitori selvatici’, ossia le vecchie varietà resistenti ma poco produttive, e le varietà moderne. Solo che con le tecniche di analisi del genoma possiamo operare molto più celermente".

In sostanza, con i metodi tradizionali, da un genitore A e uno B, si possono avere mille semi: per vedere i risultati bisogna metterli a dimora, e aspettare che la pianta cresca e fruttifichi; e poi selezionare la decina di piante che interessano e magari passare a ulteriori incroci.

Con le analisi del genoma, effettuate sui semi, non occorre fare tutto questo: si analizzano, in laboratorio, in tempi brevissimi, migliaia di semi, si individuano quelli che interessano, e quindi si passa a riprodurli con i metodi tradizionali.

"Gli OGM producono l’innovazione nelle varietà. Anche noi dobbiamo e vogliamo farlo. Ma sfruttando le potenzialità genetiche all’interno della specie, non introducendo nuove caratteristiche prelevate da una specie del tutto diversa. E’ una strada più lunga, ma sicura".

Una delle solite odiatissime multinazionali ha prodotto e ultimamente commercializzato una nuova varietà di mela, la Pink Lady, coperta da brevetto. Ma la varietà non viene ceduta al contadino, bensì concessa in uso: "L’agricoltore ospita le piante, alla commercializzazione della mela pensa la multinazionale. Il che da noi vorrebbe dire bypassare tutto il sistema, magazzini, consorzi ecc. E per contrastare questa deriva dobbiamo produrre l’innovazione, perché ormai, gratis, non la si trova più."

Poniamo la questione OGM anche al rettore prof. Massimo Egidi. Che mostra qualche imbarazzo per via delle dichiarazioni di Superti-Furga (le ricordiamo: "Gli OGM li studieremo; se riuscissimo a fare un riso che nutre più di quello normale…"). Ma il rettore ribadisce il no agli OGM: "Noi con le imprese che producono gli OGM per motivi di lucro, o perché li ritengono qualitativamente superiori, non intendiamo avere alcun rapporto. Se qualcuno vuol fare business, esca dall’Università e si rivolga altrove, non è questo il luogo".

Il rettore dell'Università di Trento, prof. Massimo Egidi.

Eppure nelle "linee guida", di business legato alle biotecnologie si parla, e insistentemente.

"E’ ipotizzato un rapporto con le case farmaceutiche. Nel vasto campo delle scienze della vita noi dovremo concentrarci su un paio di settori. Completata la decodifica del DNA umano, si apre quello della post-genomica, ossia lo studio delle interazioni fra le proteine, e i loro effetti: e quindi l’origine delle malattie".

Volgarizzando: le proteine interagiscono tra di loro inviandosi segnali; quando il segnale è sbagliato si ha la malattia, come il cancro o l’Alzheimer. La vecchia farmacologia distruggeva "la cellula che sbaglia", la nuova interverrà sul segnale, correggendolo.

"Da qui - dice il preside di Scienze, Davide Bassi - la possibile nascita di aziende che sviluppino queste nuove medicine personalizzate. Sarebbero aziende fortemente innovative, che pur con notevoli investimenti, occuperebbero volumi modesti, con inquinamento pressoché nullo: quindi adatte al Trentino che vorremmo".

Tutto questo però porta a nuove implicazioni: "Basti pensare al passaggio dall’eugenetica negativa (arresto le malattie) a quella positiva: creo l’uomo che non si ammala; e poi il super-uomo, forte e intelligente; e il sub-uomo, stupidissimo, per compiti ingrati - afferma Rauzi.

Si arriva subito al problema del rapporto scienza-etica, peraltro già insito nella decisione se studiare o usare gli OGM, con la loro potenziale pericolosità e capacità accertata di scombinare l’attuale equilibrio tra le specie. Il punto che più ha preoccupato nel progetto dell’Università, è stata proprio la previsione di un Comitato etico come controllore, ma molto depotenziato, una sorta di foglia di fico. Infatti se ne parla in due paragrafi nelle "linee guida": in uno gli si attribuiscono compiti da ufficio-stampa ("occuparsi della comunicazione tra il mondo scientifico ed il tessuto sociale"); nell’altro, una funzione di "monitoraggio e controllo" sul fatto che le attività dei laboratori siano conformi alle "linee guida", invece di giudicare se sono le linee guida ad essere conformi all’etica.

I nostri interlocutori, con qualche imbarazzo, condividono queste critiche: "In effetti si è trattato di una formulazione ancora approssimativa… il documento era molto sintetico, - ci dice il preside Bassi. "E’ un documento che è solo un punto di partenza… fissa qualche paletto iniziale" - afferma Egidi.

"Invece Trento potrebbe essere un laboratorio in cui siano fuse competenze umanistiche e scientifiche, per uno studio critico sulle strade su cui si sta avviando la scienza - ci dice Piergiorgio Rauzi - Per evitare gli opposti fondamentalismi: quello ecologista, per cui la natura è intoccabile, e quello degli apprendisti stregoni, per i quali la scienza è comunque buona e il suo cammino inarrestabile. Sarebbe una cosa nuova, di valore internazionale".

[/a]Su questo punto, inaspettatamente dopo le virulente polemiche, concorda anche il rettore: "Sì, Trento potrebbe qualificarsi in questo settore. A Giurisprudenza c’è già della buona ricerca sul fronte etico-giuridico. Però, complessivamente, a Trento in questo settore - come peraltro nelle biotecnologie - non abbiamo risorse adeguate. Dovremo importarle."

Finora nessuno ha parlato di importare qualcuno nel settore della bio-etica.

"Lo sto facendo adesso. E’ un mio impegno, per aprire questo livello di alto valore scientifico, sull’incrocio tra nuove tecnologie, filosofia, e giurisprudenza, con un apporto sia pur minore del campo sociologico. Credo che nel giro di sei mesi potremo avere un progetto serio, in maniera da far partire insieme le due cose, biotecnologie e bioetica, in una visione di non separabilità tra scienze umane e naturali".

Comunque si parla sempre di "importare" studiosi. E una delle critiche rivolte al progetto biotecnologie è proprio questo: non si parte da una facoltà, con il suo biennio, triennio, professori, ricercatori, fondamenta ampie che permettano di crescere nel tempo; si parte subito dal tetto: laboratori e dottorati di ricerca, aspirando nell’immediato a un’eccellenza che facilmente sarà velleitaria.

"Questo fa parte del mio modo di operare, ed è uno dei motivi del successo del nostro Ateneo - ribatte Egidi - Importare uno o più nuclei di ricerca, già noti a livello internazionale per la loro alta qualità. Non possiamo competere con Biotecnologie di Milano e i suoi mille studenti, o con Bologna con i suoi cento professori, che producono giovani con capacità medie, che finiscono per fare i venditori farmaceutici. Noi da una parte diamo la possibilità ai migliori laureati di lavorare nella ricerca, dall’altra operiamo in un settore, la ricerca avanzata, dal quale purtroppo l’Italia si sta ritirando: questo è il nostro spazio".

Ci sarebbe infine la questione del vile denaro, quanto mai importante in questi giorni di selvaggi tagli governativi. Riuscirà l’Università di Trento a tener dietro, oltre che ai vecchi, anche a questi nuovi impegni? Rimandiamo ad una prossima puntata.