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QT n. 9, 3 maggio 2003 Cover story

Acqua: patrimonio in svendita?

La politica planetaria dell’acqua, quella nazionale e quella trentina: dalle municipalizzate alle multinazionali, dalle Spa degli amici ai grandi gruppi esteri. Come si rischia di rimanere indietro; e come una serie di scelte, troppo furbe o troppo azzardate, rischia di svendere un patrimonio vitale.

Da Firenze a Porto Alegre, è stato uno dei punti sui quali più a fondo si è spinta l’analisi del movimento no-global: l’acqua. L’acqua del rubinetto, quella dell’irrigazione; per noi, oggi, sono cose scontate. Cose, neanche beni. Eppure nel resto del mondo non è così. E un domani anche in Italia l’acqua sarà più scarsa e preziosa. E attorno ad essa si stanno muovendo grandi società, grandi capitali, che hanno cercato e trovato appoggi politici a livello mondiale e nazionale. E forse anche locale, nel nostro Trentino che di acqua è ricco.

Foto di Monica Condini.

Ed ecco come un problema planetario, e drammatico per tanta parte del Terzo Mondo, si interseca con la nostra realtà. E come le denunce dei giovani no-global diventino particolarmente attuali e pressanti.

"L’acqua è un diritto dell’uomo": questo il principio base del "Forum Alternativo Mondiale sull’Acqua" tenutosi a Firenze lo scorso marzo, "Essa è espressione della vita, della dignità umana e della natura". Di qui tre punti fondanti: 1)"L’accesso all’acqua nella quantità (40 litri al giorno per usi domestici) e qualità sufficiente alla vita deve essere riconosciuto come un diritto costituzionale umano"; 2) "L’acqua deve essere trattata come un bene comune appartenente a tutti gli esseri umani ed a tutte le specie viventi del Pianeta"; 3) "Le collettività pubbliche (dal Comune allo Stato, dalle Unioni continentali alla Comunità mondiale) devono assicurare il finanziamento degli investimenti necessari per concretizzare il diritto all’acqua potabile per tutti".

Si può non essere d’accordo? Sembrerebbe di sì, a prima vista. Invece la politica mondiale ha preso un’altra strada: negli accordi di Kyoto ci si è rifiutati di considerare l’acqua come un diritto, ritenendola invece un "bisogno vitale". Ne consegue che "gli esseri umani sono dei consumatori/clienti di un bene/servizio che deve essere reso accessibile mediante i meccanismi di mercato". In questa visione l’acqua è una risorsa preziosa - "l’oro blu" - da gestire attraverso i meccanismi di mercato: di qui spinta alla liberalizzazione e privatizzazione dei servizi idrici in tutti i Paesi (condizionando alla privatizzazione l’erogazione di crediti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario).

Secondo il Forum Alternativo questa politica (che ha portato al boom delle grandi multinazionali dell’acqua, che oggi servono 400 milioni di persone) è fallita: le diseguaglianze mondiali sono tutt’altro che diminuite (1,5 miliardi di persone vivono senza accesso all’acqua potabile, e 30.000 al giorno ne muoiono per malattie conseguenti); prezzi e servizi non sono (globalmente) migliorati; la corruzione ha caratterizzato l’assegnazione delle concessioni ai privati; l’indebitamento dei paesi poveri è cresciuto.

Più in generale "la privatizzazione ha significato il trasferimento del potere - politico - di decisione in materia di allocazione delle risorse idriche da soggetti pubblici a soggetti privati. La credenza nutrita dai soggetti pubblici di conservare un potere di controllo sulle imprese private in materia, per esempio, di fissazione delle tariffe, si é rivelato per ciò che è: un’illusione".

Questa la situazione internazionale. E in Italia? In Italia dal ’91 la cosiddetta legge Galli cerca di razionalizzare il settore, in mano a un viluppo troppo frammentato di società municipalizzate, consorzi, ecc. Individua degli Ambiti Territoriali Ottimali in cui dovrebbe operare un unico gestore, e separa la proprietà delle reti (acquedotti ecc) che rimarrà pubblica, dalla loro gestione, che può essere privata.

Questa apertura alla privatizzazione diventa totale con la finanziaria del 2002 del governo Berlusconi: all’articolo 35 si obbliga a trasformare le municipalizzate in Spa a partecipazione pubblica, con la partecipazione privata individuata mediante gara; Spa che dopo un periodo transitorio dovranno diventare completamente private.

"In realtà si pensava di fare i furbi – ci dicono Cristina Fait e Dario Casagranda della Rete Lilliput – Privatizzare a metà, con delle Spa in mano agli enti pubblici, gestite dagli amici degli amici, cui si affida la gestione del servizio senza gara. Ma la cosa gli è scappata di mano."

Infatti a questo punto entra in gioco l’Unione Europea "che non ammette gli affidi diretti, e pretende la gara. Su questo ha avviato contro l’Italia un procedimento d’infrazione. A questo punto sono spalancate le porte alle grandi multinazionali estere."

Che sono già arrivate. La regione Toscana ha fatto da battistrada: "per 25 anni ci sarà un monopolio privato in mano a una delle multinazionali."

Il punto è che questo percorso non era obbligato. "L’Unione Europea rispetta l’autonomia delle comunità nella gestione del servizio idrico. Olanda, Svezia, Danimarca hanno un servizio completamente pubblico, e tale rimarrà. Ma se si decide invece di affidarlo a delle Spa, come ha fatto l’Italia, poi la strada si deve percorrerla fino in fondo: fare la gara, e accettare che vinca il più forte."

Qui si ritorna al discorso pubblico/privato, privatizzazioni si o no. Il nostro giornale su questo ha espresso posizioni articolate. Sinteticamente: il privato è più efficiente, ed è bene che dispieghi le sue capacità in una serie di ambiti la più ampia possibile. Ma non in tutti; non dove la ricerca del profitto andrebbe a scapito della qualità della vita e dei diritti del cittadino. Ad esempio nella sanità, in cui sono noti i disastri americani; o – caso estremo eppure illuminante - nella gestione delle carceri: dove (come accade negli Usa) la ricerca degli incrementi di fatturato porta a gestire la prigione non in funzione della riabilitazione del detenuto, ma nella cronicizzazione della criminalità.

E così l’acqua: ha senso che siano le dure e stringenti leggi del mercato a presiedere alla gestione di una risorsa vitale, preziosa, e in prospettiva scarsa? Soprattutto in un’ottica planetaria, dove l’accesso a questo elemento vitale condiziona la sopravvivenza di milioni e milioni di persone?

Il problema si pone ora anche per il Trentino. Dove si è già avuto il passaggio dalle municipalizzate Sit e Asm di Rovereto alla Trentino Servizi spa ( e similmente altre spa, la Air di Mezzocorona e Mezzolombardo - vedi Svendite nella Piana Rotaliana -, l’Anea di Pergine, la Primiero Energia). Ora, con un disegno di legge presentato dallo stesso Lorenzo Dellai, si prevede che "l’erogazione dei servizi pubblici e la gestione delle relative reti e impianti sono affidate ... a società di capitali individuate attraverso gare". E se gli enti locali non lo fanno, ci pensa la Pat a indire, al posto loro, la gara.

Anche il Trentino recepisce quindi la legge nazionale: si va avanti verso la privatizzazione totale. Le multinazionali sono dietro la porta.

"Non si poteva fare altrimenti, è l’Unione Europea che ci obbliga" ha commentato il vicepresidente Roberto Pinter.

Vignetta di Marco Dianti.

Di diverso avviso gli esponenti di Lilliput. "Effettuato il passaggio alle Spa, c’erano due strade: andare avanti, verso le multinazionali; oppure tornare indietro e rimunicipalizzare. Questa è la strada indicata dall’ANCI (Associazione Comuni Italiani), che chiede l’abrogazione dell’articolo 35; da cinque Regioni (Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Basilicata, Campania) che hanno sollevato un’eccezione di incostituzionalità; da città come Grenoble, che sta avviando una rimunicipalizzazione, dopo il fallimento della privatizzazione. Perché il Trentino invece dovrebbe andare avanti?"

"Non vedo proprio perché dobbiamo essere i primi della classe in questo campo – commenta il consigliere provinciale Vincenzo Passerini – L’Europa viene invocata quando fa comodo. Abbiamo un enorme ritardo nell’adeguare la legislazione provinciale sul fronte dei diritti sociali, vedi leggi sull’handicap e sull’assistenza. Non vedo il senso di tutta questa fretta nel recepire una legge contestata; e su una materia così delicata e controversa."

Abbiamo sentito anche i diretti interessati. Ossia Trentino Servizi. "Il Ddl presentato in Provincia non spinge tanto sulla privatizzazione, ma sulla razionalizzazione – ci dice l’amministratore delegato Marco Giovannini – Le tante piccole società trentine non avevano neanche la logica della contabilità industriale, di tenere i singoli capitoli di spesa sotto controllo. E ora, se consideriamo l’acqua una risorsa finita, da preservare, se vogliamo passare dal concetto dello sfruttamento a quello della coltivazione, dobbiamo passare per una razionalizzazione."

Indubbiamente il privato razionalizza. Ma poi persegue le sue – assolutamente legittime – finalità. Innanzitutto l’aumento del fatturato. Il che fa dubitare sul fatto che la privatizzazione possa comportare un utilizzo oculato della risorsa, rivolto alle generazioni future.

"Una privatizzazione deve essere operata correttamente – risponde Giovannini - In particolare l’ente pubblico deve stipulare convenzioni, con cui si stabiliscono le tariffe, e le modalità di gestione. Certo, poi queste convenzioni bisogna saperle farle rispettare..."

"L’esperienza insegna che questa è utopia – ribattono Fait e Casagranda di Lilliput – Abbiamo visto in tanti paesi come le multinazionali non siano controllabili, come la politica dell’acqua poi la impostino loro e il pubblico la subisca. Ma anche noi, in Trentino, se a suo tempo non siamo nemmeno riusciti a imporre all’Enel i rilasci minimi dell’acqua dalle centrali! E abbiamo lasciato che la fauna ittica morisse, perché l’azienda non voleva privarsi di una parte infinitesima dell’acqua dei bacini! (vedi Toh, l'acqua) Non raccontiamoci favole sulle capacità di condizionare una multinazionale."

Le multinazionali, appunto. E Trentino Servizi? E Air, Anea ecc? Che fine faranno quando si arriverà alla gara, e concorreranno le varie Vivendi Environment, Suez, RWE, Thames Water, ACEA, Aguas de Barcelona?

"Speriamo che l’affido diretto possa continuare per un periodo transitorio sufficientemente lungo – ci dice Giovannini – Così nel frattempo potremo unirci, rafforzarci; e poi competere ad armi pari."

Gli esponenti di Lilliput vedono anche un altro aspetto: "Non dimentichiamo che in Trentino Servizi c’è la presenza, sempre più decisiva, di ASM di Brescia. La quale sta a sua volta allargandosi a dismisura, dopo l’ingresso di Hopa, la finanziaria presieduta da Emilio Gnutti, l’alleanza con la spagnola Entesa, e l’apertura di nuove attività all’estero. ASM sta cercando di diventare essa stessa una multinazionale. E in questo suo percorso segue modalità, tenta di imporre decisioni molto discutibili: come sulla questione rifiuti/inceneritore (vedi Chi vuole imporci l'inceneritore). Non vorremmo ritrovarcele sulla questione acqua."