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QT n. 20, 27 novembre 2004 Servizi

L’etica nell’impresa: il fumo e l’arrosto

I bilanci sociali, sono chiacchiere o strumenti per una diversa gestione delle imprese? Cassa Rurale di Trento e Supermercati Poli: due esempi.

E’ probabilmente difficile trovare un qualsivoglia imprenditore, magnate dell’industria o piccolo artigiano, padrone delle ferriere o boss della cooperazione, che non si ritenga un benefattore della società. Il termine sbrigativo in italiano sarebbe "padrone", ma loro amano chiamarsi "datori di lavoro", a sottolineare – e con vigore - il proprio ruolo sociale. Ruolo che peraltro, dopo il crollo dell’utopia comunista, nessuno sembra più contestare.

Eppure non basta. La società dall’impresa chiede di più.

"Creato un certo livello di benessere, alle imprese non si chiede più solo lavoro e profitto - ci dice Michele Andreaus, professore associato di Economia Aziendale all’Università di Trento - Ci sono nuove richieste, di tipo etico: rispetto dei lavoratori, dell’ambiente, ricadute positive sulla società".

Ed ecco quindi che le imprese più "sensibili" - talora per propensione, talaltra per convenienza - pensano a come far conoscere tale ruolo: ed ecco di qui nascere il bilancio sociale, quando si vuol andare oltre la mera propaganda, verso una condivisione dell’essenza della propria attività.

Nasce negli anni ’50 il bilancio sociale negli Stati Uniti, dove prima si è raggiunto un certo benessere e si è potuto andare oltre la richiesta di pane e lavoro; e dove anche è forse più radicata una visione etica dell’impresa. In Italia questo accade negli anni ’80, inizialmente nel settore della chimica, non a caso quello che più di altri ha colpe da farsi perdonare e sente di dover trovare il modo di rivendicare i propri meriti; e poi la cosa si allarga al settore no-profit, che oltre alle chiacchiere sui propri meriti, capisce di dover portare argomenti circostanziati e soprattutto cifre.

Sì, perché un bilancio sociale è fatto - o meglio dovrebbe essere fatto - di cose concrete, misurabili; in maniera anzitutto, da fornire un quadro realistico dell’impatto dell’impresa sulla società. Ma non solo.

"Del bilancio sociale abbiamo due modelli molto diversi - ci dice Andreaus - Può essere redatto come strumento di marketing, in alcuni casi manipolativo. Oppure può essere la misura degli obiettivi (non economici) che si propone: e quantifica il livello di raggiungimento di questi obiettivi."

In sostanza il bilancio sociale può essere impostato per comunicare le ricadute sociali dell’attività dell’impresa. Oppure per misurarle: ponendosi degli obiettivi (ad esempio meno inquinamento, più soddisfazione dei clienti o dei lavoratori, ma questi obiettivi possono essere, come vedremo, molto articolati) e poi verificando in che misura sono stati raggiunti; e quindi ponendo il problema del che fare per raggiungerli. "Sì, perché il bilancio sociale nella sua accezione più completa diventa uno strumento operativo, per decidere i comportamenti dell’azienda."

Venendo all’ambito locale, in Trentino da alcuni anni c’è un boom d’interesse: se cinque anni fa i bilanci sociali erano pochissimi, ora sono diverse decine. Ma è tutto oro quel che luccica?

"E’ un percorso indubbiamente positivo, ma non ancora completato - risponde Andreaus - Si tratta del classico caso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Mezzo pieno perché evidenzia la consapevolezza delle imprese sulla positività di rendicontare all’esterno la politica aziendale; il che è un dato molto importante, perché vuol dire che ci si rende conto del fatto che la mancanza di trasparenza è un handicap per le aziende italiane, che crea problemi notevoli rispetto alla clientela e soprattutto nei rapporti con i mercati finanziari e partner esteri.".

Nell’economia globale, infatti, anche l’azienda trentina da una parte ha la necessità di essere credibile rispetto al cliente anche locale; dall’altra deve sempre più spesso allacciare rapporti a livello internazionale, dove la credibilità è tutto. Ricordiamo, solo per fare un esempio, come il crack della Nones poteva essere evitato - oltre che dalla Tecnofin, che invece sostenne un compratore balordo - dall’intervento di una multinazionale tedesca, che invece si ritirò non fidandosi della correttezza dei bilanci di un’azienda italiana.

E il bicchiere mezzo vuoto?

"La mancanza, nella grande maggioranza di questi bilanci, della criticità, dell’evidenziazione degli aspetti negativi".

In un bilancio tradizionale, i dati economici negativi sono ben evidenziati, anzi, sono scritti in rosso, perché su di essi bisogna concentrare l’attenzione. Andreaus ci fa vedere il bilancio sociale di una cooperativa Acli friulana; ogni tot pagine compare un riquadro evidenziato da un triangolino giallo col segnale di pericolo: è un obiettivo non raggiunto, una tendenza non soddisfacente, che viene sottolineata perché lì bisognerà concentrarsi per rimediare.

"Ecco che allora il bilancio diventa uno strumento di rendicontazione, che indica che gli obiettivi posti sono una cosa seria, e impegna a lavorare per raggiungerli. Purtroppo in Italia, e il Trentino non fa eccezione, sono ancora pochi i bilanci di questo tipo".

Vediamo ora un po’ più da vicino due bilanci sociali, tra i migliori delle due tipologie: quello della Cassa Rurale di Trento, e quello dei supermercati Poli. Come sono fatti, che obiettivi si propongono? Sono fumo o sono una cosa seria?

Cassa Rurale di Trento: la presentazione del bilancio sociale.

La Cassa Rurale ci presenta un classico bilancio "comunicativo": bella impaginazione, foto gradevoli, pochi numeri. Che però indicano con chiarezza gli scopi, non solo economici, dell’impresa. "E’ nel nostro Dna la simbiosi con la comunità locale, peraltro esplicitata nella Carta dei Valori del Credito Cooperativo - ci dice Mario Longo, curatore del bilancio - Ne consegue un’attività rivolta prevalentemente verso i soci".

Di qui la peculiarità del credito cooperativo: banca di rispettabili dimensioni (1.206 milioni di euro di raccolta, 2.400 miliardi delle vecchie lire) la Cassa rurale si impone di operare prevalentemente nei confronti della base sociale, che necessariamente deve essere molto ampia e adeguatamente motivata. Non è uno scherzo, e il bilancio sociale (evidentemente realizzato soprattutto per questo) rende conto di questo obiettivo, diciamo "costitutivo". Ecco quindi il numero dei soci (6.010) e la distribuzione territoriale e per classe d’età; l’obiettivo di avere una base sociale più rappresentativa dell’attuale composizione dell’economia locale (ma non sono forniti dati sull’estrazione sociale dei soci); la percentuale degli impieghi (cioè crediti) prestati ai soci, il 65%, a sottolineare la prevalenza del socio nell’attività della banca.

TAB 1 - CASSA RURALE DI TRENTO
Evoluzione base sociale
AnnoN° soci
20014.634
20025.158
20036.010

Ancora: vengono contabilizzati i vantaggi riservati ai soci: 1,58 milioni di euro per condizioni di favore rispetto agli altri clienti, e 309.000 euro per ulteriori iniziative, come assistenza fiscale gratuita, assicurazioni, borse di studio, ecc.

Questo è il capitolo più cospicuo. Cui va aggiunta "la ricchezza distribuita sul territorio" in termini di promozione di iniziative socio-culturali, di sostegno allo sport, ecc., per un totale di 750.000 euro.

Il grande pregio del bilancio sociale è che permette di commisurare la rispondenza dell’attività della cooperativa rispetto ai propri principi. E di misurare la peculiarità di una Cassa rurale rispetto ad una banca privata: di discutere quindi non sull’aria fritta, ma sui dati: se sono significativi i 750.000 euro di elargizioni, quanto è importante il 65% di attività verso i soci, e così via.

Dove invece il bilancio fa cilecca è sugli aspetti negativi dell’attività della Cassa, che non vengono evidenziati.

Uno è noto, anzi clamoroso: il caso dei bond argentini, che ha pesantemente coinvolto le Casse Rurali trentine (vedi anche su QT n° 18 La storia infinita dei bond argentini). Il bilancio sociale non tenta di nascondere la spazzatura (peraltro troppo ingombrante) sotto il tappeto, ed alla questione dedica una pagina, che però dice ben poco: "Non vengono comunicati dati, numero di clienti coinvolti, capitali interessati; mentre invece un vero bilancio questi aspetti dovrebbe riportarli, e in evidenza" - commenta Andreaus.

I Supermercati Poli sono molto espliciti nel presentare le motivazioni del proprio bilancio sociale: alla prima pagina chiariscono subito come sia "la rete del Sait e delle Famiglie Cooperative il principale concorrente". Concorrente "che nasce con finalità solidaristiche, non ha come scopo il ritorno economico per la proprietà e punta alla massimizzazione del suo impegno etico-sociale". Ora "questi valori positivi sono pacificamente riconosciuti dalla collettività", il che, per i concorrenti, è pura zavorra. Di qui il bilancio sociale del gruppo Poli, per dimostrare di essere, per quanto azienda di natura privata, soggetto "attento non solo agli aspetti di mero ritorno economico, ma impegnato anche al sostegno della comunità locale ed alla creazione dei benefici per il territorio".

Come si vede, una sorta di circuito virtuoso: la cooperazione (come abbiamo visto con la Cassa Rurale di Trento) vuole evidenziare come la sua attenzione al territorio sia effettiva; il concorrente privato, per non essere da meno, compete anche su questo terreno. E il bilancio sociale è lo strumento per verificare che tutto questo non siano solo chiacchiere.

Più che da un generico buonismo, nasce da questa oggettiva esigenza commerciale l’impegno del gruppo Poli a redigere un bilancio sociale molto corposo e analitico.

Marcello Poli, amministratore delegato dell'omonima catena di Supermercati.

"Noi non siamo interessati alla filantropia aziendale, tipo la Parmalat che restaurava le cattedrali e poi si comportava come noto – precisa Marcello Poli, amministratore delegato del gruppo – Gli obiettivi sociali intendiamo raggiungerli svolgendo la nostra attività in modo che essa sia proficua per il territorio, creando il minimo impatto e fornendo il massimo di vantaggi".

Sembrano belle parole. "In epoca di globalizzazione un territorio come il nostro, e in particolare l’economia di montagna, non arretrano, se si riesce a fare rete. Di qui il primo tassello: i produttori locali, anche quelli piccoli e piccolissimi, che noi privilegiamo. Questo comporta delle scelte strategiche (in pratica, la rinuncia ad espandersi fuori dalla regione, dove i prodotti trentini hanno poco mercato), comporta dei costi, comporta una crescita più lenta; ma è una crescita di tutto il tessuto, di cui noi diventiamo parte fondamentale, e quindi è una crescita più sicura, duratura nel tempo".

Di qui il bilancio sociale del 2001 dedicato soprattutto a focalizzare i rapporti con i fornitori, in particolare con quelli locali. "E’ questo un esempio di come il bilancio sociale diventi strumento di indirizzo delle scelte dell’azienda" – sottolinea Michele Andreaus.

TAB 2 - GRUPPO POLI Confronto retribuzione media annua
AnniRetribuzione aziendaleRetribuzione contratto nazionaleDifferenza assolutaDifferenza percentuale
200319.47316.9742.49914,72%
200218.98216.4372.54515,48%
200118.10216.0152.08713,03%

Infatti negli anni successivi il tema non viene abbandonato, anzi viene monitorato il perseguimento degli impegni presi: dal 2001 al 2003 assistiamo così ad una progressiva, anche se lenta, crescita dei fornitori locali, in numero, articoli trattati, percentuale di fatturato (che nel 2003, nel settore alimentare, ha superato il 50%).

Nel 2002 il gruppo Poli focalizza l’attenzione sui rapporti con i clienti (e quindi sulle varie dinamiche dei prezzi). L’anno scorso infine sui rapporti con il personale.

TAB 3 - GRUPPO POLI Valorizzazione della figura femminile
199720022003
Ruolo in aziendaTotaleDonneTotaleDonneTotaleDonne
Gerenti342484517
Buyers111165175
Product manager007292
Assistenti Direzione61103114
Totale51481148818

Nella tabella 2 riportiamo un dato "tradizionale": il confronto tra la retribuzione aziendale e quella del contratto collettivo nazionale. Ma vengono trattati anche argomenti più innovativi e complessi. Nella tabella 3 la valorizzazione delle donne: come si vede, nell’azienda quasi il 60% dei 1.200 dipendenti sono donne, ma salendo ai piani alti della gerarchia societaria si trovano solo uomini. La tabella indica il percorso dell’azienda, tesa "a valorizzare il ruolo della donna, garantendole ruoli di maggior responsabilità" a parole senz’altro, e lentamente, stando al bilancio, anche nei fatti.

TAB 4 - GRUPPO POLI Personale appartenente a categorie protette
AnniDiversam. abili
e invalidi civili
Orfani
2003297
2002186
2001168
2000179

Se positiva è pure la tabella 4 sull’inserimento lavorativo dei disabili, significativa è la tabella 5, l’indice del turn over. Indice elevato, che sta a significare un certo disagio dei lavoratori, e per di più in crescita. "Non è un dato che ci piace; vogliamo migliorarlo, anche perché con ogni lavoratore che ci lascia perdiamo pure tutto l’investimento fatto in formazione - ci dice Marcello Poli - La spinta maggiore al turn over viene soprattutto dagli orari, spesso poco soddisfacenti, soprattutto per le donne sposate. Stiamo cercando di venire incontro, ove possibile, alle varie esigenze, caso per caso. E poi abbiamo avviato un programma per inserire donne over 40, che perso il lavoro per esempio in fabbrica, stentano a trovarne uno nuovo. Con questi inserimenti da una parte diamo una risposta a un problema sociale, dall’altra pensiamo di migliorare il dato del turn over, perché le quarantenni hanno minori esigenze di orario".

TAB 5 - GRUPPO POLI Indice del turn over del personale
AnniTotale in organicoPercentuale di turnover
20031.23223,54%
20021.11922,07%
20011.05319,66%

Sfogliando le 95 pagine del bilancio sociale e il centinaio di tabelle si vedono incrociare molteplici aspetti della vita dell’azienda, si vedono i successi, ma anche alcuni punti critici.

La domanda è: fino a che punto un documento del genere riesce ad essere uno strumento operativo, per adeguare i sistemi di gestione?

"E’ uno strumento di cui siamo pienamente soddisfatti - ci risponde Poli - Per esempio, la gestione dei rifiuti: stabilito l’obiettivo sociale di ridurli e di conferirli autonomamente, senza utilizzare i cassonetti della nettezza urbana, questo concetto deve passare per tutta l’organizzazione, dai direttori dei punti vendita alla centrale acquisti che deve minimizzare gli imballaggi. E’ tutta l’organizzazione che viene coinvolta e responsabilizzata sull’obiettivo di agire in funzione del territorio. E questo è positivo per tutti".