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QT n. 3, 12 febbraio 2005 Servizi

I guasti della sanità trentina e i suoi perché

Le scelte dell’Azienda Sanitaria rispondono sempre più a soli criteri d’efficienza contabile.

Si parla poco di sanità sui nostri quotidiani. L’argomento assume interesse quando c’è qualcosa di eclatante, come morti impreviste o liti fra il personale, ma mai si vanno a ricercare le cause del disagio. Solo movimenti estemporanei ed emozionali a volte rendono espliciti problemi e disfunzioni non certo banali. Certo, la forma delle denunce, anche quando ben documentate, non aiuta nessuno a costruire progetti e soluzioni; ma è un dato di fatto che tutte queste contestazioni vengono lasciate cadere, nessuno le riprende e l’Azienda non le smentisce.

L'ospedale Santa Chiara di Trento.

C’è di che preoccuparsi. Non si legge mai nulla che analizzi la situazione del lavoro all’interno dell’Azienda Sanitaria, nonostante la presenza di innumerevoli situazioni di grave disagio riguardanti la qualità dei servizi offerti, o il rispetto degli obiettivi annuali.

Ciò è dovuto senz’altro al silenzio che l’Azienda impone ai dipendenti di qualunque livello, ma è imputabile anche all’assenza di attenzione verso i temi della salute da parte di tutte le forze politiche, anche quelle dell’opposizione. Ed è dovuto all’assenza di analisi da parte delle forze sindacali, ormai da troppi anni incapaci di offrire alla società trentina un progetto che rafforzi la salute, la qualità del vivere in Provincia, il livello di benessere e la qualità del lavoro; i sindacati, anche i confederali, non riescono più a confrontarsi con la società civile e presumono di poter sopravvivere solo prestando attenzione alla contrattazione interna del personale.

Così tutto rimane delegato ai "ragionieri" dell’Azienda, al gruppo di dirigenti che in pochi anni hanno stravolto un servizio pubblico tanto delicato.

Cos’è accaduto?

Da tempo in Azienda non si analizzano i bisogni reali dei cittadini. I dirigenti, clamorosamente tutti riconfermati dalla Giunta provinciale, a partire dal Direttore Generale per arrivare al direttore del dipartimento Cura e Riabilitazione, ragionano solo in termini di budget. I medici e i dirigenti non medici sono stati trasformati in manager. Davanti a sé non hanno più pazienti, solo numeri. Una determinata operazione chirurgica implica tre giorni di ricovero, un’altra patologia sette giorni. Ci si deve attenere a queste statistiche, mentre le mille variabili dei singoli casi vengono cancellate.

Gli anziani non vanno ricoverati, vanno rimandati a casa e saranno seguiti dai servizi assistenziali del territorio. Nessuno si preoccupa dei tempi burocratici necessari ad attivare questi servizi, e specialmente ad ottenerli, ogni responsabilità verso gli anziani o verso i malati dimessi precocemente ricadono sulle famiglie, quindi anche i costi.

Dopo i grandi scandali degli anni ’90, dalla superficiale gestione del sangue, fino ai tumori all’Ospedale di villa Igea, si poteva pensare che cinque anni di efficientismo ragionieristico avrebbero risolto i problemi più vistosi della sanità trentina: emigrazione dei malati, liste d’attesa interminabili che praticamente costringevano a passare attraverso le visite specialistiche a pagamento, pronti soccorso, anche in periferia, inagibili.

Niente si muove, invece, anzi la situazione peggiora, e non certo per inadeguatezza del personale. E’ necessario, al contrario, sottolineare che se a tutt’oggi la sanità trentina non è al collasso il merito va senz’altro ascritto al personale, a partire da quello amministrativo per passare a quello sanitario, infermieristico e a buona parte dei dirigenti.

Il sindacato spaccato. Questi dirigenti generali un risultato politico l’hanno comunque ottenuto: hanno frantumato i lavoratori in cinque sigle sindacali, hanno costruito e alimentato invidie e divisioni, hanno costruito nel pianeta sanità una serie di satelliti (corporazioni) fra loro incomunicabili. I dirigenti medici e non medici, oltre 1.000 dipendenti, sono costretti ad una continua conflittualità concorrenziale non certo tesa a migliorare i servizi offerti, ma impegnati nella conquista di cospicui premi obiettivo, a scapito di loro colleghi. L’effettivo raggiungimento dell’obiettivo sarà valutato dai dirigenti di via De Gasperi: il primo metro usato, grazie anche alla follia delle pagelle, è quello della fedeltà e della sudditanza ai primari di turno, ai dirigenti di dipartimento. In ogni caso il peccato per eccellenza che non si deve assolutamente commettere in Azienda Sanitaria è quello di disturbare i manovratori.

Mentre con la gestione economica dei premi si frantumava il fronte dei medici, si sono utilizzati i sindacati autonomi (Nursing-Up) e la UIL sanità per spaccare il fronte confederale dei sindacati. Queste due organizzazioni si sono strutturate per tutelare solo gli interessi della classe infermieristica e senza scrupoli hanno umiliato le altre professionalità, ausiliari, operatori assistenziali, amministrativi.

Carlo Favaretto, direttore generale dell’Azienda Sanitaria trentina.

In ogni passaggio delle trattative sindacali l’Azienda Sanitaria ha fatto il possibile per mantenere aperte queste lacerazioni, schierandosi di fatto a sostegno delle opzioni delle due organizzazioni (si pensi all’istituto della libera professione e alla gestione personalistica, ai favoritismi che questo passaggio contrattuale incentiva), e impedendo di fatto a CGIL e CISL perfino di intervenire nella gestione dei conflitti o in una equa partecipazione al tavolo contrattuale.

Ormai da cinque anni il personale amministrativo e quello ausiliario vengono offesi ad ogni passaggio contrattuale.

Non tutte le responsabilità cadono sulla controparte. Il sindacato fino al 1999 maggioritario, la CGIL sanità, è da tempo priva di un minimo di strategia e di azione propositiva. Non è un caso che nel breve volgere di cinque anni le tessere siano crollate da 1.400 a poco più di 700, l’organizzazione è stata pesantemente sconfitta nelle recenti elezioni delle RSU (da 18 delegati il crollo a 10 rappresentanti eletti, unico caso nazionale). E’ l’unica organizzazione della CGIL del Trentino ad aver perso nelle elezioni rappresentative sul luogo di lavoro.

Sono numeri eloquenti, che dimostrano l’assenza di una qualunque prospettiva di rilancio, di proposta nuova, di politica del personale e per la società in questo settore senz’altro complesso. Gettare sul sindacalismo autonomo o sulla incoerenza della UIL sanità tutte le responsabilità di un tale e continuo crollo è miope e privo di qualunque elemento che permetta soluzioni e cambiamento.

Il dato di fatto è drammatico: le RSU sono immobilizzate da anni di liti, e si è invece ricomposta una pericolosa alleanza fra Nursing Up, UIL sanità e FENALT, confermando di fatto come il mondo del lavoro della sanità trentina sia spaccato in corporazioni. Risulta così difficile la ricostruzione di un tessuto unitario e questo aspetto rafforza l’indirizzo aziendalista degli attuali dirigenti.

Ed i servizi per il cittadino? Ma non c’è solo questo a suscitare preoccupazione attorno al pianeta sanità provinciale. C’è la sensazione, fin dalla gestione Magnani, che la Giunta provinciale abbia delegato l’intero settore della salute ai dirigenti, che gli obiettivi annuali non vengano scritti dagli assessori, che non ci sia una regia politica, una prospettiva di medio o meglio, lungo termine.

Proviamo a pensare alle denunce fatte dai medici riguardo il dipartimento dei laboratori diretto ormai da anni da un dirigente privo dei titoli fondamentali. O ancora a strutture di periferia che vengono dirette da medici lontani un centinaio di chilometri e che si fanno vedere una volta al mese (Cles-Cavalese) lasciando queste strutture di fatto prive del dirigente, o meglio, risparmiando sul personale dirigente.

Pensiamo alla mancanza ormai strutturale di personale infermieristico, sia all’interno degli ospedali che sul territorio. Sul territorio vengono aperti e inaugurati nuovi sportelli in assenza totale di personale. Il settore della riabilitazione è quasi totalmente delegato alle strutture ospedaliere private di Arco o Rovereto. Per avere un appuntamento di riabilitazione è necessario inserirsi in liste di attesa di 6-8 mesi, anche nelle valli, come in Fiemme e Fassa, dove il problema assume grande importanza e questi reparti dispongono di strumentazione di lavoro obsoleta, offensiva nei confronti della stessa professionalità dei dipendenti.

Non parliamo poi della prevenzione, una parola sempre inserita nei programmi annuali e sempre disattesa nell’applicazione. Al di là delle ferme campagne contro l’alcolismo ed il fumo (arrivando a volte a toni di crociata proibizionista), il tema della prevenzione, dell’educazione nelle scuole, è totalmente abbandonato. Per mancanza di personale formativo - si dice in Azienda - ammettendo quindi la grave lacuna. Ma tutti sanno che per fare prevenzione è prima necessario conoscere lo stato di salute della nostra popolazione.

Perché non vengono resi noti i dati delle patologie presenti lungo l’asta dell’autostrada del Brennero e confrontate con altre realtà? O la situazione della valle di Non? Perché risulta tanto difficile dentro l’Azienda avere informazioni su questo argomento?

Un’altra questione che bene illustra la qualità dell’intervento preventivo dell’Azienda Sanitaria, è quella degli infortuni sul lavoro. Dal 2001 è stato sottoscritto da sindacati e Giunta provinciale un accordo che prevede il potenziamento del personale ispettivo da 51 a 71 dipendenti. A tutt’oggi siamo a 53 dipendenti: gran parte del lavoro di questo personale, ben oltre il 50%, viene svolto in supporto alle indagini della Procura della Repubblica. La parte ispettiva e della prevenzione viene quindi quasi completamente cancellata, resa impraticabile dall’assenza cronica di personale. Mentre si mantiene una tale impressionante carenza, perché non si interviene con la necessaria assunzione di laureati come di fatto prevede la legge nazionale? O si favoriranno anche in questo caso le richieste corporative della FENALT?

Anche questi aspetti potrebbero rispondere ad un preciso disegno politico: non disturbare in modo eccessivo i nostri imprenditori (ricordate le recenti scomposte affermazioni del presidente dell’Associazione degli artigiani?). Oppure non disturbare la stessa Azienda Sanitaria, la più grande azienda del Trentino (oltre 7.000 dipendenti), che vive un evidente, clamoroso conflitto di interessi avendo gli ispettori del lavoro come propri dipendenti.

Ma sono anche altri i settori abbandonati, e ce ne accorgiamo se non ci limitiamo a leggere gli slogan o la pubblicistica interna all’Azienda. Andiamo invece a confrontarci con i pazienti o i famigliari, pensiamo all’Igiene mentale, con interi territori che soffrono deficit di personale infermieristico e medico, mentre il disagio del vivere, specialmente nei giovani, aumenta, mentre la conflittualità sociale nel lavoro e nel quotidiano viene sempre più esasperata ed i cittadini si trovano indifesi.

I problemi, tutti, ricadono sulle famiglie. Ci si chiede anche perché nelle valli non vengano aperti i centri Sert; forse non si vuol fare sapere che anche nelle ricche valli turistiche, Giudicarie o Fassa, esistono gravi problemi di tossicodipendenza?

Mentre non si offrono risposte alle più elementari esigenze dei territori, in compenso si incrementano a dismisura le costosissime consulenze che a macchia d’olio coprono ogni passaggio dall’Azienda. Anche questo è un capitolo che andrebbe approfondito in sede politica, prima che intervengano altre istituzioni.

Da oltre un anno l’assessore alle Politiche della salute è Remo Andreolli, uomo di sinistra, oggi anche segretario dei DS. C’è attesa diffusa perché la situazione che abbiamo descritto venga modificata, togliendo finalmente potere al dirigismo aziendalista; è necessario che il timone della difesa della salute in Provincia ritorni alla politica. Per fare questo non è necessario attendere la comunque importante riforma della legge 10, i percorsi sono molto più semplici: riportare lo sguardo sul cittadino, prestare attenzione ai lavoratori del comparto e alla loro necessaria, fondamentale unità.

Attendere ancora significherebbe indebolire il servizio pubblico (trasporto infermi, assistenza, riabilitazione, ecc.), acuire la caduta di motivazione nei lavoratori, favorire il pesante intervento privatistico nella sanità trentina, come già accaduto in Lombardia e nel Veneto, regioni governate da tempo dal centro-destra.