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QT n. 21, 10 dicembre 2005 Servizi

Valle di Susa: Davide contro Golia

Le ragioni di una valle alle quali nessuno dà una risposta.

"Io c’ero" era lo slogan semplice della manifestazione contro la nuova linea ad alta velocità della Val di Susa. Lo portavano tutti: nonni, bambini, persone in sedia a rotelle, anziane con le gambe grosse caricate con le seggiole su un furgone aperto, le bande musicali di tutti i paesi, i medici in camice, le insegnanti, eccetera.

La mattina del 16 dicembre, un giovedì, la gente ha chiuso negozi, scuole, case, e si è radunata là a Bussoleno, e non credeva ai propri occhi nel vedere che non mancava proprio nessuno. Nonostante le voci sparse di pericolo terrorismo, di rischio di disordini. Su un furgone, i gonfaloni dei 40 paesi. I sindaci con il tricolore che facevano il servizio d’ordine e in alcuni casi si frapponevano agli schieramenti dei militari. La notte fra il 2 e il 3 dicembre, quando questo pezzo viene scritto, a Venaus ci sono duemila persone e la banda musicale di Bussoleno suona tutta la notte per far coraggio ai dimostranti. Loro vogliono offrire the caldo ai poliziotti, ma i loro comandanti glielo impediscono.

Ho amici in quella valle alpina da quindici anni, da quando fondammo insieme a Claudio Giorno e altri il Comitato SOS-Transit, per imparare con altri ambientalisti di regioni alpine svizzere e austriache e di tutte le regioni alpine italiane come difenderci dall’assalto del traffico alle nostre montagne.

La Valle di Susa è bella, una valle che ha perso la sua preponderante vocazione agricola almeno da un secolo, quando sfruttando le prime centrali idroelettriche i cotonifici cominciarono l’industrializzazione del fondovalle, ma mantiene qualità e attenzione al proprio paesaggio culturale storico. Anche la popolazione ha una gran componente di immigrati dal sud, o di montanari discesi dai loro villaggi in alto a cercare lavoro e una vita più facile. Quando la vidi la prima volta, la valle era cantierizzata selvaggiamente per realizzarvi un’autostrada costruita in parte nell’alveo dello storico fiume Dora Riparia, con danni enormi all’ambiente e al paesaggio. La guardavo e fotografavo pensando con timore che lo stesso potesse succedere con l’Alemagna in Val Pusteria. Allora ce l’avevamo con i TIR. Nel corso del tempo abbiamo imparato che i principali assaltatori di montagne sono i politici avidi di potere, disposti a svendere la patria per governare i flussi di denaro le cui destinazioni sono decise dalle grandi imprese e non dalle necessità del Paese. E proprio il ruolo del ceto politico in questa vicenda di grandi affari era l’argomento dell’intervento di Giuseppe Sergi, storico medievista e cofondatore del "Laboratorio per la democrazia", in una conferenza tenuta il giorno prima della manifestazione all’università di Torino da tre professori sulla questione della Val di Susa. Gli altri due erano Claudio Cancelli, docente al Politecnico e Roberto Burlando, economista alla Facoltà di Scienze politiche a Torino, che hanno spiegato senza giri di parole l’inutilità e anzi la dannosità di quest’opera dal punto di vista economico e finanziario, hanno criticato chi invoca l’Europa dei grandi affari per sopraffare gli interessi legittimi della popolazione, e hanno messo l’accento sull’anomalia costituita dall’affidare la realizzazione di un’opera di queste dimensioni a società di diritto privato con un’illimitata copertura di capitale pubblico e l’esempio del tunnel della Manica, i cui costi sono triplicati.

Sono le cose di cui si sente parlare anche nei presidi allestiti sui luoghi destinati ai sondaggi, attivi dal 20 giugno ininterrottamente, pieni di gente fino a notte tarda, vecchi e giovani, donne e uomini. "Stiamo qui, perché loro passano e controllano se ci siamo. E noi ci siamo. Sempre" - dice una donna anziana. Sono sorpresi, dopo tanto silenzio, dell’interesse da parte di una stampa, che ha dimostrato fino in fondo in questa vicenda di essere, come dice Erasmo Venosi, coordinatore del Comitato scientifico della Conferenza dei sindaci del Nordest nonché referente dei comitati ANTITAV di tutta Italia, "al 98 per cento… in mano a soggetti che poi risultano essere titolari della costruzione delle linee, della costruzione del materiale rotabile e della costruzione dell’infrastrutturazione aerea".

"Ci hanno trattato per mesi come montanari ottusi e ora sembrano scoprire che siamo montanari pensanti". La stampa ha cercato di costruire qualche "Masaniello" da gonfiare e distruggere. Ma i valsusini hanno capito in tempo e sono diventati un coro.

La resistenza è appassionata e tenacissima, sotto il sole in estate e sotto la neve e il vento gelido d’inverno. Agli slogan che dai politici di destra e sinistra che vengono scagliati come armi mediatiche contro di loro (opera "strategica", rischio isolamento, egoismo di valligiani di fronte all’interesse nazionale, l’Europa lo vuole) rispondono con i dati e su questi chiedono, inutilmente, di confrontarsi.

I dati della Commissione tecnica insediata dai governi italiano e francese, per studiare l’opera, fra il 1996 e il 2000, ad esempio. Dalla cui relazione finale emergono pesanti perplessità rispetto a punti essenziali: i costi e la stima della redditività della linea; la necessità di procedere alla realizzazione solo in presenza di politiche del trasporto che portino al trasferimento del traffico dalla gomma alla rotaia, oggi del tutto inesistenti; la necessità di una valutazione dell’impatto ambientale che riguardi tutta la linea; la necessità di potenziare prioritariamente la linea attuale, e di realizzare, in caso di bisogno, anzitutto le linee di adduzione, che raggiungeranno prima la saturazione, e solo in seguito la linea del traforo, che è di gran lunga la meno satura.

Per superare la riottosità del partner francese, perplesso di fronte a questi dati, il governo italiano, che non ha soldi, ha offerto di accollarsi il 63% dei costi della linea internazionale, solo in piccola parte in territorio italiano. La contropartita è succulenta, non per gli italiani che avranno debiti per tre generazioni, ma per il ceto politico. Infatti le due tratte sono divise fra la CMC (cooperativa muratori di Ravenna vicina ai DS) e la Luxoil, impresa della moglie del ministro Lunardi. Sono loro che scaveranno i tre tunnel, in montagne di amianto e uranio, portando devastazione e malattie nella valle e, dati i venti potenti della Val di Susa, fino a Torino. Devastazione bipartisan. E anche l’atteggiamento dei politici nazionali e regionali è bipartisan: tutti uniti contro i sindaci coraggiosi della valle, rei di stare vicini al popolo e di essere democratici, cioè portavoce degli interessi generali. E uniti nell’ignorare i dati che emergono dalle carte che loro stessi hanno prodotto.

I valsusini chiedono risposte ai problemi sanitari, che emergono spaventosi dagli studi dell’università di Siena su incarico dei committenti del progetto, non degli oppositori. E chiedono il rispetto delle leggi sulla valutazione dell’impatto ambientale. Chiedono di rifare i conti, perché secondo i dati ufficiali non ci sono né passeggeri né merci sufficienti per ripagare i costi. E inoltre dicono a gran voce che è una grande falsità che il Piemonte e l’Italia sarebbero fuori dall’Europa senza questa opera, perché di qui passa già il TGV francese; peccato che alcuni treni siano stati soppressi per la mancanza di passeggeri, e perché la quantità di merci, che occupa poco più di un terzo della linea ferroviaria attuale, è diminuita sensibilmente e perché di recente la Svizzera si è dotata di due tunnel, del Gottardo e del Lötschberg, che porteranno il traffico del bacino lombardo a seguire la via più breve. Il presidente DS della Comunità di Bassa Valle, Antonio Fermentino, vuole che qualcuno gli spieghi quale sarebbe il "superiore interesse del paese" negato da tutti i dati, per cui la Valle di Susa deve accettare la totale devastazione prevista da un progetto senza nessun riguardo.

Ai sindaci si risponde con il dileggio, la minaccia e infine con la militarizzazione della valle. Nei giorni in cui la Calabria chiedeva disperatamente e inutilmente l’invio di forze dell’ordine per difendersi dalla mafia, mille militari erano lì a Mompantero a chiedere i documenti alle mamme che portano i bambini a scuola e ai vecchi che andavano al cimitero o a visitare i nipoti, impedendo alla gente, come è avvenuto il primo di novembre, di andare a visitare i propri morti. Un comportamento avvilente per la democrazia italiana. E fa impressione il silenzio con cui i politici di centro sinistra al potere in Piemonte hanno accolto questo stato d’emergenza non dichiarato e l’umiliazione della gente impedita nei suoi movimenti.

Davide della Val di Susa contro i Golia bipartisan della politica. Non si sa chi vincerà, ma dobbiamo ringraziare i valsusini per questa lezione di democrazia e di amor di patria. Se loro perderanno, sarà una grande sconfitta morale, economica, e ambientale di tutta l’Italia e la fine dell’ultima piccola speranza di diventare, in questo caso sì, europei. Perché l’Europa esiste solo se riesce a far prevalere l’interesse generale, altrimenti, se funziona come cassa di risonanza delle mafie nazionali, è meglio lasciarla perdere.