Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

La petizione

L’Austria garante del diritto sudtirolese alla auto-determinazione: una richiesta scriteriata per vari motivi.

Sembra il titolo di un giallonero alla Dürrenmatt. Ma a dare inizio alla petizione è stata un’iniziativa degli Schützen, i quali dopo le discussioni e i pentimenti seguiti alle oscure vicende dell’assassinio di Christian Waldner, il consigliere regionale ucciso dal loro responsabile culturale, non hanno mai smesso di incassare denaro come associazione culturale e di funzionare come provocatori del conflitto etnico. Loro l’hanno scritta, non senza qualche chiacchiera con Andreas Khol, noto "amico" dei sudtirolesi, attualmente presidente del parlamento a maggioranza di destra-centrodestra, che la deve presentare. E’ una richiesta di introdurre nella costituzione austriaca, che da qualche parte si vorrebbe modificare, un preciso riferimento alla funzione di tutela del Sudtirolo e al diritto di autodeterminazione della minoranza tedesca in Italia.

Manifestazione di Schützen.

Chi scrive pensa che, riconosciuto il ruolo storico dell’Austria, soprattutto del cancelliere socialista Bruno Kreisky a favore della soluzione della questione sudtirolese, oggi l’Austria, che non garantisce alla sua minoranza, quella slovena di Carinzia, neppure la segnaletica toponomastica bilingue, non ha i requisiti né tanto meno la competenza per porsi come tutrice di una minoranza. Ma a noi, se non per amicizia e solidarietà, in questo frangente non importa di porre l’attenzione sulle questioni interne austriache, perché la petizione, sollecitata da Vienna e sottoscritta da ben 113 sindaci e vicesindaci della SVP, compreso il vicesindaco di Bolzano che è anche segretario politico del partito di maggioranza etnico, costituisce non tanto una questione internazionale e forse neppure nazionale austriaca, ma soprattutto un problema di convivenza sudtirolese.

Va detto innanzitutto che è estremamente improbabile, per non dire escluso, che nel corso di questa legislatura austriaca si arrivi alla riforma della Costituzione, come ha d’altronde detto il presidente della Repubblica Fischer. Già nella commissione (Convent) che si occupò della proposta di riforma costituzionale, molte furono e rimangono le perplessità sull’opportunità che addirittura si introduca un preambolo, una dichiarazione di generici principi anteposta all’articolato costituzionale, dove i proponenti della petizione vorrebbero che si sistemasse questo riferimento a ruolo di tutela e all’autodeterminazione. La riforma costituzionale si voleva infatti allo scopo di ottimizzare e semplificare il testo, perché emergessero più chiari i diritti e i doveri di cittadinanza, dunque il contrario di quanto accadrebbe con una specie di dichiarazioni d’intenti, contrattata all’ultimo sangue fra visioni estremamente diverse, come quella dei Freiheitlichen di Haider e i socialdemocratici. Dunque, a pochi mesi dalle elezioni politiche d’autunno in Austria, la manovra di Andreas Khol, che neppure questa volta si è distinto per cautela, appare più che altro un tradizionalissimo metodo di acquisizione di voti di destra, piuttosto che un’iniziativa a favore del Sudtirolo. Lo conferma la sua mancanza di imbarazzo di fronte all’ipotesi di aggiungere alla prima bozza, che conteneva la funzione tutrice, anche il diritto all’autodeterminazione, come richiesto dagli Schützen, dai sindaci e dal segretario politico della SVP, quest’ultimo spinto probabilmente da preoccupazioni analoghe a quelle di Khol e dalla speranza di ripetere il successo delle elezioni comunali di Bolzano, dove SVP, insieme a Union e Freiheitlichen sono stati decisivi per la vittoria del sindaco di centro sinistra. L’ipotesi che le relazioni fra i due paesi confinanti si rompano per questa vicenda, appare assolutamente improbabile. Neppure il ministro La Loggia sembra del tutto convinto quando minaccia fuoco e fiamme, e peraltro non pare che il governo di destra abbia prodotto strappi nei rapporti fra la nostra autonomia e lo stato (a differenza che in molti altri campi).

Andreas Khol, presidente del Parlamento austriaco.

Ciò che emerge e fortemente preoccupa è la rinnovata scoperta che la Volkspartei, dalla chiusura del pacchetto, considerata fin dall’inizio una tappa insignificante, non ha fatto passi avanti sulla strada dell’autonomia, e che questo partito, pur accrescendo enormemente i suoi poteri, non ha assunto in parallelo le responsabilità che competono a chi governa una realtà pluriculturale, ma ha mantenuto e intende mantenere l’esclusiva connotazione di partito etnico.

Soprattutto, pur cercando di ottenere voti italiani e pur partecipando a coalizioni comuni con altri partiti, la SVP non ha fatto proprio l’impegno per la convivenza: la convivenza intesa non come spegnimento per disperazione di ogni voce critica e autonoma, ma come programma politico indispensabile per garantire pace e benessere, non solo economico, ad una terra in cui vivono persone di lingua e cultura diversa. La SVP non solo ignora, ma rifiuta e combatte un programma politico che preveda la crescita di luoghi di collaborazione e convivenza praticata, di un istituto di storia contemporanea, di occasioni di crescita e formazione comune per i giovanissimi e i giovani, di attenzione ai problemi diversi dei diversi microambienti che compongono la nostra complessa realtà, del drammatico divario fra la qualità della vita fra capoluogo e territorio. E’di qui che dovrebbe nascere l’attenzione per l’altro, la sensibilità verso le differenze che non basta enunciare come vacche sacre, ma bisogna saper trasformare in ragioni di ricchezza civile. Certo, i toni si sono ammorbiditi e di fronte a certe espressioni sgangherate di taluni esponenti della destra locale, è bello vedere che la presa di distanza coinvolge persone di entrambi i gruppi linguistici e si cade meno nella trappola del giochetto degli estremismi contrapposti.

Ma la convivenza è ancora rinviata, e quindi, se la calma prevale durante le epoche "normali", basta che si avvicini una campagna elettorale e si assiste al ripetersi rituale eppure sconvolgente del rapido cedimento alla tentazione di riattizzare lo scontro etnico, al vuoto di interpretazione comune della realtà e della storia da parte dei politici.

Qualcosa di nuovo c’è, ed è purtroppo l’arroganza, che deriva dalla certezza di non avere avversari, e dall’attitudine di volere solo nemici. Così un deputato SVP può dire l’indicibile, e cioè che a Bolzano e Bassa Atesina nessun candidato italiano riuscirebbe ad avere i voti di lingua tedesca, senza accorgersi di quanto fragile e finta diventi una coalizione democratica in cui il principio che prevale è comunque quello etnico.

La SVP ben si guarda dal dire una semplice verità: che l’autonomia è lo strumento della convivenza e che l’alternativa è l’autodeterminazione e la pulizia etnica. Il presidente della Provincia annuncia che in giugno "risolverà" il problema della toponomastica, contando su consensi dettati da uno snodo istituzionale, e 113 sindaci vengono incitati per lettera dal segretario del partito a "sganciarsi" dal loro ruolo istituzionale e "a non farsi intimidire" – da chi, di grazia? Dai loro consigli comunali? Dai sostenitori dell’autonomia e della convivenza? Dai cittadini e dalle cittadine che li hanno eletti, dai partner delle giunte interetniche, considerati evidentemente dei comodi burattini? - per riaffermare un principio che teoricamente è sacrosanto e in pratica attuazione ha provocato guerre sanguinarie nell’ultimo quarto di secolo. Tutto ciò fa sorgere il dubbio che la SVP ritenga – come ha spesso ribadito senza che ci si potesse credere – di considerare l’autonomia un giochetto temporaneo in attesa di sorti migliori e progressive, e che inseguendo un mito, tenga in ostaggio cittadine e cittadini di tutti i gruppi linguistici, preparando per loro un conflitto epocale, anziché una prospettiva di speciale normalità per loro e per i loro figli.

Elmar Pichler Rolle, Obmann della SVP.

La linea difensiva del partito, dopo che dall’ala economica aliena dal fanatismo nazionalista si sono levate dure voci contro questa iniziativa avventuristica e dopo le reazioni di meraviglia o indignazione che si sono levate in Italia e in Europa, consiste nell’affermazione curiosa che si sono sbagliati i tempi (Pichler Rolle, Durnwalder, Peterlini, Pürgstaller, eccetera). Come a dire: era meglio aspettare di incassare i voti italiani del collegio di Bolzano-Bassa Atesina per eleggere un senatore SVP (l’unico incerto) e poi si ricomincia a fare ciò che si vuole. Fra il resto, il segretario del partito ha sbagliato i suoi conti, se il suo scopo era di cercare a tutti i costi i voti dell’estrema destra, perché i Freiheitlichen hanno annunciato loro candidature. Peterlini tuttavia può stare tranquillo: pochi elettori di centrosinistra si sposteranno comunque verso una destra italiana che in quanto a nazionalismo lamentoso e aggressivo non ha niente da invidiare agli Schützen, e i suoi partner politicanti in fondo chiedono solo che dopo le elezioni si apra un tavolo (di chiacchiere) su una nuova modifica dello Statuto che completi la fine della regione.

Nessuna condizione di un comportamento a favore della convivenza, del bilinguismo, niente pretese di partecipazione di cittadini e cittadine alle decisioni democratiche, semmai qualche poltroncina di sottogoverno locale. Un gioco facile quello del partito etnico con una classe politica italiana incapace di pensarsi nel ruolo di chi progetta il futuro per una comunità composita, che per vivere in pace ha bisogno di discutere e decidere insieme.

La convivenza richiede un lavoro costruttivo a favore dello sviluppo del rispetto reciproco e richiede che chi ha la responsabilità politica la senta e la eserciti nel nome e a favore di tutta la cittadinanza, che non può essere lasciata sola o osteggiata nel suo civile convivere. La convivenza non significa sostituire alla durezza di Benedikter il paternalismo sprezzante di Durnwalder. L’obiettivo della convivenza non tollera che gli esponenti istituzionali del partito di maggioranza, eletti per risolvere i problemi delle loro comunità compreso quello della crescita della società civile, firmino un documento che sanno fin dal principio darà voce e forza agli estremisti di entrambe le parti.