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Le questioni su cui sceglieremo

Divina o Dellai alla guida del Trentino. Con due visioni di fondo radicalmente diverse. Vediamo in che termini.

Non è costume di questo giornale fornire indicazioni di voto, non è questo il compito di un organo di stampa. E QT ambisce a occuparsi delle tematiche politiche in termini ampi, senza ridurle ad un’opzione secca tra due candidati favoriti. E tuttavia, al dunque di un’importante scelta elettorale, riteniamo doveroso esprimere i nostri giudizi su coloro che potranno guidare – verso dove? - il Trentino nei prossimi anni.

Dunque, in questo inquieto 2008 la polarizzazione è tra le candidature di Dellai e Divina. Entrambi, attraverso parole ed opere (molto evidenti queste ultime in chi come Dellai viene da dieci anni di governo, ma anche in chi – Divina - ha sostenuto un’opposizione molto innervata nel sociale) prefigurano una visione della politica e del Trentino abbastanza chiara; anzi, due visioni, nettamente distinte.

Partiamo da Dellai. L’uomo è indubbiamente intelligente, preparato, capace: in un convegno su qualsivoglia tema è in grado di tenere un discorso conclusivo che faccia sintesi di posizioni anche discordanti, e fornisca una direzione di marcia credibile. Aveva una lacuna fastidiosa, non sapeva l’inglese, ma in un anno l’ha imparato. Queste doti, unite a una tensione culturale verso il nuovo e a un’attenzione al sociale, lo hanno accompagnato nel progetto di un Trentino proteso alla modernità: centralità di istruzione e cultura, convinto supporto a Università, innovazione, ricerca, ma all’interno di una visione sostanzialmente solidale, che non tralascia gli ultimi né esclude i nuovi arrivati.

Però questa è solo una parte del Trentino e una parte pure di Dellai. Che è anche un politico tradizionale, di scuola dorotea: nelle zone periferiche della provincia ha agglutinato attorno a sé i boss locali, che a loro volta sono espressione degli interessi tradizionali, spesso assistiti e insidiati dalla globalizzazione. Emblematiche di tale gestione del potere sono ad esempio le alleanze del presidente con i costruttori e i cacciatori: è l’economia più dipendente dal pubblico, sono le clientele più bisognose di protezione, quelle con cui si tessono i rapporti privilegiati, anche a scapito di interessi più generali, come la protezione dell’ambiente. Non solo: il carattere forte, spigoloso e autoritario ha portato Dellai a piegare l’indipendenza della struttura provinciale, a farne un docile strumento, minandone l’autorevolezza e la terzietà. In questo quadro, per nulla modificato da esangui alleati, che non hanno nemmeno tentato di portare elementi correttivi, è nata grisentopoli (vedi Progettopoli).

Proprio dai punti deboli del dellaismo nascono le inattese chances del centro-destra. Nascono dal rifiuto della “magnadora”, la sudditanza ai voleri e interessi dei boss locali; dall’incertezza, nelle valli, per uno sviluppo tradizionale oggi rigoglioso, ma al contempo a rischio nel confronto con l’economia globalizzata: il turismo invernale rispetto ai paradisi tropicali, il nostro porfido rispetto a quello argentino, le mele nonese rispetto a quelle cinesi. La ricetta di Divina è però tutta declamatoria da un lato, regressiva dall’altro. Sulla “magnadora” infatti il centro-destra accusa, e giustamente, ma non propone rimedi, se non l’alternanza, cioè se stesso, che non è proprio (da Malossini alla Compagnia delle Opere) al di sopra di ogni sospetto. Sulle insicurezze delle valli la ricetta è brutale: meno controlli, meno tasse, meno ambiente, meno stato sociale, più sfruttamento, più lavoro nero. Alla globalizzazione si risponde chiudendosi a riccio, rilanciando il modello attuale ma imbruttito, illudendosi di evitare la competizione attraverso la chiusura, oppure, se proprio non si può evitarla, vincendola con le imprese sgravate dagli obblighi sociali. All’interno di questa impostazione la xenofobia, che altrimenti è solo un rigurgito irrazionale, risulta conseguente: lo sporco negro va spremuto come un limone, chi ciancia di diritti è un imbecille.

Dulcis in fundo: l’irrilevanza, anzi il fastidio, verso l’istruzione e la cultura. Quando Divina rivendica nelle scuole dei paesini le pluriclassi (più classi nella stessa aula con lo stesso insegnante), contro lo “sradicamento” del pullmino che porta i bambini a una scuola vera distante 15 chilometri o quando predica la fine dei contributi al Festival dell’Economia in favore della promozione del puzzone di Moena (vedi Il Trentino fra Dellai e Divina), il nostro prefigura un Trentino drammaticamente incolto e chiuso su se stesso, che orgogliosamente sbandiera l’ignoranza e la limitatezza come elementi fondanti della propria identità.

Al lettore le conclusioni.