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QT n. 3, marzo 2010 Cover story

Un giornale diocesano oggi: si può fare?

Vita Trentina, le chiese vuote, la secolarizzazione, i nuovi media; e i lettori che calano e invecchiano. Ha senso oggi un giornale della Curia? Al settimanale un nuovo direttore, di transizione dicono. Lui però a innovare vuole provarci.

Tra la stampa diocesana in tutta Italia, Vita Trentina è sempre spiccata sopra gli altri, considerata il miglior periodico: un giornale vero, non un bollettino, con una platea ampia di lettori - fino a 15.000 abbonati - una rete di sostenitori e diffusori, e i conti in ordine quando non in attivo. A questo ha indubbiamente contribuito la particolarità trentina - la diffusa e robusta alfabetizzazione; e l’Autonomia, il fatto che i problemi nostri fanno capo a Trento, non a Roma - che tuttora sostiene ben tre quotidiani locali, mentre nelle altre province ne sopravvivono uno-due. Ma ha anche contribuito la tradizionale vivacità del settimanale, spesso spintosi a del tutto insoliti livelli di autonomia dal padrone, ossia dalla Curia: ricordiamo, alcuni anni fa, la polemica con lo stesso vescovo Bressan per la pelosa mancia multimilionaria elargitagli dal senatore Ivo Tarolli (che beninteso l’aveva scippata alla Finanziaria); o, ai tempi dell’arcivescovo Sartori, la traumatica rimozione del direttore don Cristelli, conciliare e troppo autonomo.

Poi però, fenomeni di fondo hanno cominciato a incrinare le basi stesse su cui si regge il giornale. Innanzitutto la secolarizzazione, ossia la progressiva perdita di rilevanza, nella vita quotidiana, del momento religioso; per cui è difficile capire perché un cattolico pur praticante (e sono sempre meno) dovrebbe informarsi proprio presso media cattolici. In contemporanea la diffusione di nuovi mezzi informativi, più tempestivi per quanto scialbi (le tv locali), oppure al contempo tempestivi, ridondanti, pluralissimi fino ad essere caotici (Internet). In questo contesto il lettore tipo di Vita Trentina si è progressivamente ridotto e marginalizzato - persone anziane e residenti in valle - e in tante edicole del centro di Trento il settimanale non viene nemmeno distribuito. Sono dinamiche culturali, demografiche, tecnologiche inarrestabili: il futuro di Vita Trentina è oscuro. Ma anche il presente non è roseo: l’attivo dei tempi andati è solo un ricordo, e il vescovo Luigi Bressan ha fatto chiaramente capire che per lui il gioco non vale la candela, soldi non ce ne vuole rimettere.

È in questo quadro che il direttore Ivan Maffeis, a suo modo carismatico al punto da aver potuto opporsi al vescovo sul caso Tarolli, è stato chiamato dalla Cei a Roma, come vicedirettore dell’Ufficio Nazionale Comunicazioni. E a Trento il suo posto è stato affidato a Marco Zeni, giornalista Rai da poco in pensione. Sulle sue spalle è quindi caduto l’onere dell’indispensabile rinnovamento.

Un pensionato al comando

Redazione VT.

Zeni è un sessantenne con alle spalle anni di onorato servizio giornalistico nella grigia Rai regionale, nella quale peraltro non ha mai eccelso. Assunto con un contratto vago e molto a termine (“uno-due anni”, ci confida) da un padrone che non sembra intenzionato a investire, è un direttore vero, una pedina su cui si punta, oppure un uomo di transizione: intanto vediamo come vanno avanti le cose e poi decideremo?

I dati che abbiamo esposto deporrebbero per la seconda risposta, ma lui non sembra d’accordo, si è messo di grande impegno, ha iniziato a lavorare, rafforzare la struttura, prendere nuovi contatti, allargare l’area di riferimento del settimanale. Culturalmente appartiene all’area dei cattolici democratici, e intende innovare il giornale (vedi intervista a lato) caratterizzandolo per una maggior apertura, nei contributi di chi scrive e quindi nel profilo di chi legge: insomma un periodico che non si riduca alla sola platea, sempre più ridotta, dei valligiani cattolici praticanti.

Missione impossibile, dal momento che in contemporanea non si può certo scontentare Bressan? Zeni è direttore ormai da alcune settimane, e quindi si può tirare un primissimo giudizio.

L’arduo tema del sesso

Prendiamo l’ultimo numero. Il cuore del giornale è rappresentato da due servizi, uno sull’amore tra i giovani, l’altro sullo sciopero del 1° marzo degli immigrati. Il servizio sull’affettività tra gli adolescenti prende lo spunto da un testo elaborato dall’insieme di alcune commissioni diocesane, e che la Chiesa trentina intende diffondere nelle varie comunità. Ecco quindi il settimanale diocesano fare la sua parte: di divulgazione e supporto a un’iniziativa della casa madre. Pertanto si intrecciano i due piani: quello pastorale della diocesi e quello giornalistico del periodico.

Sul primo c’è da dire che si è evidentemente di fronte a una indispensabile manovra ad U: si passa dalla posizione ufficiale della Chiesa di condanna senza se e senza ma della sessualità giovanile, tanto dura quanto aliena dalla sensibilità e dalla prassi degli interessati da almeno due-tre generazioni, ad uno spostare il discorso dalla sessualità (comunque mai esplicitamente condannata) all’affettività, tema tanto grande quanto incerto. Il tutto avviene tra mille genericità ed imbarazzi, ma indubbiamente consente di abbandonare una posizione altrimenti incomprensibile. Tutto questo però sul piano giornalistico si riflette in una serie di pezzi impacciati, una serie di banalità sull’arduo versante delle relazioni sentimentali, in cui non si capisce bene cosa si vuole dire e dove si vuole parare: che quindi forse possono essere utili al praticante, che vi intuisce per la Chiesa la fine (o meglio, l’inizio della fine) dell’ormai ingombrantissimo tabù sessuale; ma risultano acqua fresca per qualsiasi altro lettore.

Tutt’altra musica per il servizio sullo sciopero degli immigrati: uno splendido racconto su un occasionale incontro con un ragazzo clandestino, il miglior pezzo del giornale, e poi schede, informazioni, riflessioni, tutte evidentemente orientate (verso la tolleranza) eppur molto convincenti.

In conclusione, Vita Trentina ci sembra andare in parallelo alla Chiesa. Dove questa ha un ruolo definito nella società (e secondo noi molto positivo, nel caso in oggetto), il settimanale è pienamente convincente anche dal punto di vista giornalistico; dove invece la Chiesa arranca, altrettanto fa il giornale.

Un giornale per i cattolici praticanti?

La controprova l’abbiamo sul terreno politico. Non sulle questioni dei partiti, del tutto assenti; ma del rapporto tra istituzioni e società. Qui il giornale sembra non avere alcunché da dire di proprio: sulla riforma Dalmaso della scuola, sotto un titolo ruspante “Scuola, blitz serale” l’articolo si limita a un pedissequo elenco degli istituti previsti dalla riforma; nell’editoriale sui travagli di Università e Fondazione Kessler, si affastellano, come in un collage, e smussandole, le varie opinioni, senza offrirne alcuna ipotesi interpretativa. Sono articoli compilativi, senz’anima, sostanzialmente noiosi. Insomma, dove la Chiesa non è vivacemente presente, o non lo è il mondo cattolico (a riprova vedi il buon servizio sui 70 anni della Casa della Giovane), Vita Trentina si trova spiazzata, senza la capacità di valutare i fenomeni, ma sembra anche con scarso interesse nel descriverli.

Secondo noi Marco Zeni, se vorrà vincere la sua non facile scommessa, dovrà partire proprio da qui. Fare un giornale che sia specchio di una società complessa, non di una sua parte che una volta poteva pretendere di essere il tutto, ed oggi non può più farlo. In fin dei conti il nuovo direttore il problema lo ha individuato, o almeno così ci sembra; riuscire a risolverlo sarà tutt’altra cosa.

Comunque, auguri sinceri.

“Non è un’impresa facile...” intervista a Marco Zeni, nuovo direttore di Vita Trentina

Come sei stato nominato direttore?

Marco Zeni

Era nell’aria da qualche tempo che Don Ivan Maffeis (il precedente direttore, n.d.r.) potesse lasciare il Trentino per un incarico a Roma, ma fino ad adesso aveva resistito alle pressioni. D’improvviso però è arrivata dalla Cei una chiamata urgente e impellente a cui non poteva sottrarsi: è dovuto partire molto velocemente lasciando un vuoto da colmare in fretta. Non so come il Vescovo sia giunto a nominare proprio me: non ho mai ricoperto alcun incarico in diocesi, sono appena andato in pensione da giornalista Rai e non pensavo certo di ricominciare con un incarico di una certa responsabilità. La cosa è stata cosi non programmata che la notizia era girata tra i colleghi prima che arrivassi a comunicarlo di persona.

Tu sei il primo laico a dirigere il settimanale diocesano. Don Maffeis era riuscito a ritagliarsi uno spazio di libertà notevole, come è avvenuto nel caso dei 5 milioni di euro che l’ex senatore Tarolli voleva “regalare” alla diocesi pescandoli dalla Legge finanziaria. Tu avrai la stessa libertà?

Credo proprio di sì, anche perché un laico non è strettamente a contatto con il vescovo. Monsignor Bressan mi ha incontrato al momento della nomina, ma poi non è mai intervenuto nella concreta gestione del giornale. Se dovesse ripetersi di nuovo una vicenda simile a quella di Tarolli, cosa di cui comunque dubito che accadrà, sono sicuro che il giornale avrebbe la stessa capacità di critica. Siamo il settimanale diocesano ma non un pulpito da cui proclamare la retta dottrina. La nostra libertà è completa.

E con la politica?

Ancora di meno, come si può anche vedere da molti nostri servizi. Ho avuto molte felicitazioni al momento della mia nomina, ma solo un politico in carica mi ha mandato un sms di auguri. E vorrei che Vita Trentina diventasse un periodico su cui i lettori si possano dare un’idea anche critica sulla politica locale e nazionale. Non ci sottrarremo a questo. Mi sembra che lo stiamo dimostrando intervenendo per esempio sulla questione della Fondazione Kessler oppure del San Camillo o delle acciaierie di Borgo.

Ritornando a Vita Trentina, il tuo incarico è pro tempore oppure pensi di portare a termine nuovi progetti destinati ad avere un impatto notevole sul settimanale?

Io ho avuto un incarico per un anno, rinnovabile comunque. Quando mi ha nominato, il vescovo mi ha detto: “Quello che devi fare, fallo subito” ma non nel senso che sarò direttore per un tempo breve, ma perché ci sono molte cose da fare. Il mio obiettivo è di fermare l’emorragia di abbonati costante da molti anni. Non è una impresa facile, sia per la crisi generalizzata dell’editoria, sia perché il target dei nostri lettori invecchia. Spesso perdiamo lettori perché muoiono e non vengono sostituiti dai giovani. Non basta mettere copie di Vita Trentina in fondo alle chiese per recuperare terreno. Ci vuole uno sforzo prima di tutto organizzativo. Non dobbiamo dimenticare che siamo tre giornalisti a tempo pieno (più un praticante e alcuni validi corrispondenti dalle valli; a Radio studio 7 lavorano in due più un part-time) e che quindi uno solo di noi può girare. Il 90% dei nostri abbonati abita nelle valli mentre abbiamo più problemi in città: occorre essere maggiormente presenti nelle edicole e su questo stiamo già lavorando. È una partita delicata ma spero di vedere in un anno alcuni frutti.

Ma oltre ai problemi organizzativi per recuperare e conquistare lettori occorrono contenuti forti e una chiara linea editoriale. Cosa pensate di fare?

Vita Trentina dovrebbe essere il settimanale di tutta la comunità. Certamente siamo anche il periodico della diocesi e abbiamo un occhio molto attento alla realtà ecclesiale. Ma questo non impedisce di guardarci intorno: per esempio durante la visita pastorale che il vescovo sta tenendo in Valsugana non ci limitiamo a seguire passo passo i suoi movimenti o a riportare semplicemente le sue parole, ma cogliamo l’occasione per fare un’inchiesta sul territorio a 360°. Non vogliamo essere un giornale confessionale. È mio desiderio che Vita Trentina riesca a parlare anche con il mondo laico, con posizioni magari lontane dalla Chiesa ma che pure sono risorse vive della comunità che non possiamo permetterci di ignorare. I lettori di Vita Trentina troveranno sempre notizie e riflessioni legate alla Chiesa e alla sensibilità cristiana, ma spero di poter offrire loro un panorama completo sul nostro Trentino. E poi le notizie sono sempre notizie e da cronista ho imparato che non bisogna filtrare i fatti attraverso una lente ideologica.