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QT n. 9, settembre 2011 Seconda cover

Pensioni: i veri problemi

Breve viaggio nel sistema previdenziale italiano per cercare di capire su cosa sarebbe necessario intervenire

Fino alla scorsa settimana sembrava certo un ennesimo intervento correttivo sulle pensioni. A gara politici, industriali e analisti indicavano nella spesa previdenziale la causa principale della diffidenza dei mercati circa la stabilità futura del nostro Paese. Eppure, la situazione finanziaria dell’INPS non risulta essere particolarmente preoccupante. Alla fine del 2009, il comparto del lavoro dipendente (il F.p.l.d.), l’architrave, date le dimensioni, dell’intero sistema pensionistico pubblico, segnava un attivo di 4.564 milioni di euro. E il risultato sarebbe stato nettamente superiore se non avessero negativamente inciso i bilanci degli ex fondi speciali e dei dirigenti di aziende industriali, che nel corso degli ultimi due decenni sono stati fatti confluire nel Fpld.

Concentrandosi sui dati del bilancio 2009 è possibile osservare marcati disavanzi per quanto concerne il comparto dei trasporti (-1.053 milioni di euro), il fondo “Elettrici” (-1.893 milioni), “Telefonici” e soprattutto la cassa dei dirigenti di azienda (-2.148 milioni), a fronte di un attivo record, almeno dal 1990, per quanto riguarda i lavoratori dipendenti tout court (+10.369 milioni).

Occorre anche sottolineare come il risultato fatto registrare da molte di queste casse non dipenda tanto dalla presenza di particolari privilegi. Fatta eccezione per il comparto dei dirigenti di azienda, gli importi goduti da coloro che appartengono agli ex fondi speciali non sono molto differenti da quelli del settore privato. Quello che attualmente sta incidendo è la costante riduzione del rapporto tra iscritti e pensionati all’interno di queste casse. Pertanto, i lavoratori attivi in quei settori si stanno riducendo sempre più a fronte dell’accrescersi del numero di pensionati.

Rimane evidente però la logica sottostante il sistema previdenziale italiano. Tra i lavoratori dipendenti spetta al settore privato essere solidale con quei comparti che hanno goduto di posizioni vantaggiose durante l’attività lavorativa. Sono invece i lavoratori “atipici”, i cosiddetti parasubordinati, a compensare quasi totalmente il pesante debito dei lavoratori autonomi tradizionali. (vedi tabella A).

Tab.A Numero di iscritti e di pensioni erogate, risultato d’esercizio e situazione patrimoniale delle casse principali. (dati in milioni di euro). Fonte: dati INPS
IscrittiPensioniR. Iscritti/PensioniRisultato di esercizioSituazione patrimoniale
F.P.Lavoratori.Dipendenti (senza contabilità separate)12430000943709313210369-75203
ex Fondo Trasporti10630011440093-1053-13580
ex Fondo Elettrici3850010061038-1893-18335
ex Fondo Telefonici570007008581-711-14
ex INPDAI (Dirigenti Aziende Industriali)4350011959736-2148-11711
Complesso Dipendenti1267530098417851294564-118843
Artigiani18899001568633120-4197-21493
Commercianti20856001344720155-8515534
Agricoli477000180504326-4111-57740
Parasubordinati---775956456

Pensioni “elettorali”

Questa distorsione è connaturata alla logica che da sempre ha interessato le politiche pensionistiche e del mercato del lavoro in Italia. Rifacendosi al principio conservatore del “divide et impera”, i governi che si sono succeduti nel corso del Novecento hanno sempre cercato di impedire la creazione di una categoria comune identificabile nei “lavoratori”, preferendo accentuare con trattamenti differenziati le singole categorie. La stessa esistenza di molteplici casse previdenziali, ognuna con propri diritti, è l’emblema di una strategia volta non tanto a garantire un certo benessere durante la fase della vecchiaia, quanto il favore elettorale di certe categorie.

Nel 1990, nonostante il problema del debito pubblico fosse ormai evidente e la necessità di riforme previdenziali “restrittive” fosse costantemente paventata, l’ultimo governo di pentapartito approvò una riforma previdenziale che estendeva il metodo retributivo anche ai lavoratori autonomi, pur mantenendo il prelievo contributivo inalterato e a un livello nettamente inferiore alla contribuzione richiesta ai dipendenti.

“Attenzione, però, - ci tiene a sottolineare il professor Cerea - il problema redistributivo non è solo tra fondi diversi, ma anche all’interno della medesima cassa, con lavoratori che sono andati in pensione dopo pochi anni di contribuzione e che oggi fruiscono di pensioni sicuramente basse, ma in ogni caso squilibrate rispetto ai pochi contributi versati”.

Anche oggi, nonostante il costante controllo dell’Unione Europea, il vizio di elargire doni e prebende agli amici non sembra essere venuto meno, almeno per il Centro-Destra. È evidente che i proclami governativi riguardanti il rigore delle pensioni non sembrano seguire alcuna logica razionale effettivamente finalizzata a risolvere la questione. Si potrebbe insinuare che l’obiettivo sia invece di coprire con le risorse dei lavoratori più deboli i “privilegi” garantiti ad alcune categorie.

Che si sia in presenza di solidarietà che non vanno proprio nella direzione corretta è evidente anche considerando l’andamento della spesa raccolta nella cassa “Gpt”, che comprende assegni al nucleo famigliare, interventi a sostegno del reddito (cassa integrazione guadagni), maternità e malattia. Fatta eccezione per l’ultimo biennio, caratterizzato da un eccezionale ricorso alla c.i.g., negli ultimi anni è toccato alla previdenza rivolta alle categorie meno tutelate finanziare le pensioni di un Paese che non riesce ad attuare la riforma degli ammortizzatori sociali. I saldi attivi di queste voci non sono stati utilizzati per accrescere i trattamenti ancora molto limitati di alcune prestazioni, ma per compensare i regali fatti agli “amici”.

È evidente come, a partire dai primi anni del nuovo secolo, il risultato d’esercizio e quindi la situazione patrimoniale del comparto dei lavoratori dipendenti del settore privato sia nettamente migliorata, a fronte di un peggioramento costante delle casse di artigiani, coltivatori e, parzialmente, commercianti.

“Non c’è da meravigliarsi. - afferma lapidario il prof. Cerea - Se lo ricorda? ‘Garantiremo un milione al mese per tutti i pensionati’, disse Berlusconi. E chi pensa ne abbia fruito, gli operai con 40 anni di contributi? Artigiani, commercianti e tutti i loro famigliari ai quali sono bastati 15 anni di versamenti per avere diritto all’integrazione al minimo. E questi sono i risultati”.

Raggiunta al telefono, Paola Urmacher, direttrice del patronato della UIL, è altrettanto chiara: “Il problema di fondo è legato ai bassissimi contributi che gli autonomi hanno versato fino a pochi anni fa. Solo ora il livello di contribuzione richiesta ha raggiunto percentuali decenti. Resta però il fatto che oggi stiamo pagando le pensioni di coloro che hanno versato poco o nulla”. (Vedi tabella B)

Tab.B Risultato d’esercizio e situazione patrimoniale delle principali casse. Fonte: dati INPS
Lavoratori Dipendenti (senza contabilità separata)ArtigianiCommercianti
R.d'esercizioS.PatrimonialeR.d'esercizioS.PatrimonialeR.d'esercizioS.Patrimoniale
2000-3799-103018-14128566139229
2001-2397-105415-12901566-2348995
2002-726-106141-15615-218973
2003-1658-107799-2167-2162-4218553
20042096-105703-2224-4387-2828270
20052246-103457-2699-7087-3897881
20063345-100112-3470-10557-7947087
20075311-94801-3061-13618-2466841
20089229-85572-3676-17294-4566385
200910369-75203-4197-21492-8515534

Considerare il reddito, ma anche il patrimonio

Non solo una gestione distorta delle risorse pubbliche sembra essere la causa dei problemi dei bilanci dell’INPS; un altro fattore determinante risulta essere la spesa assistenziale che viene conteggiata all’interno di quella previdenziale.

“Scorporare la spesa assistenziale da quella previdenziale - spiega Cerea - è importante, ma non basta. Bisogna modificare il meccanismo con il quale si selezionano coloro che possono fruire di tali prestazioni. Non può essere solo il reddito, quando viene conteggiato, data l’elevata propensione ad eludere da parte di alcune categorie, ma è necessario considerare anche il patrimonio sia che si tratti dei soldi in banca, sia degli immobili, sia della situazione economica dei famigliari. E questo dovrebbe valere sia per le integrazioni al reddito, sia per le pensioni di accompagnamento”.

A tale proposito, è possibile citare i dati apparsi sul Corriere della sera di alcuni giorni fa. Confrontando la spesa erogata nel 2010 per le pensioni di invalidità civile (per la quale è considerato il reddito) con quella per le indennità di accompagnamento (concessa a fronte di un’inabilità del 100%, senza subordinare l’erogazione al reddito), è possibile osservare le profonde differenze.

Nel primo caso, i soggetti interessati sono circa 1 milione per una spesa pari a 3 miliardi e mezzo, nel secondo, 1,7 milioni, con una spesa di 13 miliardi. Il risultato è ovviamente legato ai bassissimi importi in media erogati per gli invalidi civili. Valori che potrebbero essere innalzati se venisse ristretta la platea di fruitori in funzione del patrimonio posseduto.

“È un meccanismo da perfezionare - mi spiega la signora Urmacher - ma anche noi riteniamo che l’ICEF sia il meccanismo migliore per garantire politiche sociali più eque”.

Non considerare tutte le fonti che compongono il reddito delle persone è un difetto che sembra caratterizzare anche i dati dell’INPS. Come spiega invece l’ISTAT, per valutare correttamente gli importi delle pensioni bisogna tenere presente che spesso il numero dei beneficiari non coincide con quello delle pensioni, in quanto ogni pensionato può percepire più trattamenti pensionistici. Ad esempio, il titolare di una pensione di vecchiaia può avere diritto anche ad almeno una parte della pensione di vecchiaia del coniuge deceduto. L’INPS invece considera gli importi elargiti in modo distinto, così che il risultato a volte sottostima il dato reale. (Vedi tabella C)

Tab.C Classi di importo mensile. Trentino. 2008. (euro)
Fonte: ISTAT, "I beneficiari di trattamenti pensionistici"
NumeroImporto medio annuale%% cumulata
Fino a 249,995.0301.8023,63,6
250,00 - 499,9922.0235.23015,619,2
500,00 - 749,9919.3437.45213,732,9
750,00 - 999,9917.78910.44312,645,6
1.000,00 - 1.249,9920.29913.45514,460,0
1.250,00 - 1.499,9916.72916.44411,971,8
1.500,00 - 1.749,9912.52119.3908,980,7
1.750,00 - 1.999,998.42322.4466,086,7
2.000,00 - 2.249,996.25325.3734,491,2
2.250,00 - 2.499,993.88528.3852,893,9
2.500,00 - 2.999,994.07632.4722,996,8
3.000,00 e più4.50351.6303,2100
Totale140.87414.680100

Trentino: il 45% con meno di 1000 euro al mese

I valori forniti dall’ISTAT riferiti al Trentino (di poco superiori al dato nazionale), indicano la presenza di una fascia numerosa (il 45% circa) di persone che vivono con meno di 1.000 euro al mese, ma anche settori della popolazione (il 40% circa) che fruiscono di una pensione superiore ai 16.444 euro annui e un 20% che gode di una pensione superiore ai 1.750 euro lordi al mese.

È necessario considerare anche un ulteriore aspetto. Gli importi più bassi si concentrano in buona misura all’interno delle classi d’età più giovani, ad indicare che si tratta soprattutto di prestazioni assistenziali. Le classi d’età più anziane, invece, sembrano fruire, in media, (sottolineando, in media) di importi accettabili - definirli elevati, è certamente eccessivo. (Vedi tabella D).

Tab.D Importo medio annuale per alcune classi d’età. Trentino. (euro)
Fonte: ISTAT, "I beneficiari di trattamenti pensionistici"
NumeroImporto medio annuale
55-5911.57817.169
60-6423.83716.521
65-6925.18315.499
70-7421.23614.567

Fatta questa premessa necessaria per comprendere il passato e, soprattutto, il presente del sistema pensionistico italiano, nel prossimo numero ci focalizzeremo su quanto accadrà in futuro. In modo particolare, affronteremo il tema delle pensioni complementari per capire quali importi si dovranno attendere i pensionati del futuro e individuare le strategie migliori da adottare per vedersi maggiormente tutelati.