Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Una giornata

Il senso unico e arzigogolato che affronto in salita sulle rotelle è spesso fonte di curiosità, ma anche di quell’interesse umano che fa sempre piacere. Stando sempre attenta che non si diffonda l’odore agro e appiccicoso della compassione. Quest’anno, in una clinica per la consueta riabilitazione annuale, ho avuto modo di conoscere anche l’effetto positivo di questa mia vita su ruote, diventando un esempio, un faro acceso per persone alle quali è capitata da poco una malattia extrastrong e che tentano di organizzare la loro nuova vita a rotelle. Capiscono che è possibile vivere anche così, mantenendo la lucidità e anche l’ironia, se già la possiedi.

Per molti anni il primo pensiero del mattino era stato l’incredulità. Negazione della gravità della malattia che mi possedeva come il demonio. Senza nemmeno chiedermi perché fosse capitato proprio a me. Tanto non avrei ricevuto risposte, convinta non ci fosse qualcuno cui porre una tale domanda. La mamma rivolge sempre un pensiero di cristiano ringraziamento per essere ancora viva, ma personalmente, come laica, ne sono dispensata!

A occhi bene spalancati fin dal mattino mi devo concentrare per spostarmi dal letto alla vicina carrozzina. Per mantenere il mio grado di autonomia è necessario che lavori quotidianamente per far durare a lungo una scioltezza sempre più precaria. La mia capacità di essere autonoma comincia nello spostarmi dalla carrozzella al letto. È fatta di allenamento costante, di esercizi ripetuti stringendo i denti, di qualche lacrima che sgorga spontanea. Talvolta indugio, preferendo restare ferma a letto per rimandare l’avvio della giornata. Mi esercito così all’immobilità praticando la pazienza, a costruire un rifugio antiatomico dentro me stessa. La sofferenza in quei primi anni non si poteva esprimere a parole, ma solo con grida mute inavvertibili creando un ostacolo che faticherò a oltrepassare. Passerà molto tempo prima di riuscire a scrivere pagine che urlassero.

Faccio una colazione speciale secondo il metodo Kousmine, con la crema Budwig, connubio di nutrienti essenziali e di alto valore nutrizionale, e già da questo si comprende che la prima cura per malattie degenerative è l’alimentazione. Basta dare un rapido sguardo agli ingredienti per capirne il valore alimentare. Comincio poi a camminare col deambulatore e calzini antiscivolo, almeno venti minuti. La casa è piccina e mi sento un’orsa in gabbia. La fatica è sempre tanta, troppa considerando il ripetersi giornaliero. Poi mi sposto alla scrivania e comincio a pedalare in forma sia passiva che attiva, in avanti e indietro, almeno mezz’ora. Scioglie le gambe, la circolazione migliora e si riducono i gonfiori alle caviglie.

Doccia e poi pranzo, quindi un leggero massaggio alle gambe che mi dà la voglia di ricominciare il cammino e la pedalata. Ma la sera sono così stanca e dolorante da cercare di sdraiarmi sempre più presto. Nadia pipistrella che non aveva mai sonno e cercava impegni intellettuali che fossero un cinema, il teatro, un concerto, le mostre, eccetera, ha dovuto arrendersi alla stanchezza.

La mia è una malattia caratterizzata dal dolore fin dal principio; e oggi, in una scala da uno a dieci, l’intensità di questo dolore supera il dieci. Il dolore di un altro è difficile da immaginare: il mio è continuo, una morsa che azzanna, un bustino di cemento che costringe, un cane che addenta i glutei. All’inizio non conosci nemmeno le parole giuste con cui spiegarlo. Perché il dolore fisico non resiste al linguaggio, lo distrugge e riporta a uno stadio anteriore, fatto di suoni e di gemiti che un essere umano emette prima di apprenderlo.

Amo e ammiro Frida Khalo, la pittrice messicana, la sua pittura piena di colore e dal dolore lancinante. La poliomelite la colpì a sei anni e rimase zoppa superando la prova, ma a diciotto anni l’autobus sul quale viaggiava ebbe un terribile incidente. Costretta da allora a stare su un letto a baldacchino, trentuno operazioni e l’amputazione della gamba destra, cominciò a dipingere l’infermità e l’isolamento. Lasciandoci coloratissimi quadri che gridano e qualche perla di saggezza: “Il dolore non è parte della vita, può diventare la vita stessa”. “Aspetto felice la partenza - e spero di non tornare mai più”.