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QT n. 1, gennaio 2019 Monitor: Musica

“La Voix Humaine” “Cavalleria Rusticana”

Povera donna: da Mascagni a Poulenc

“Cavalleria rusticana”

In tempi come quelli d’oggi, in cui la figura femminile è così vilipesa e, nel bene o nel male, sempre sotto i riflettori, non sembra un caso la scelta della direzione artistica della Fondazione Haydn, che nell’ambito della rassegna “Opera 20.21” mette in scena un dittico che parla di donne amate e bistrattate, incapaci di reagire alle offese e al dolore che l’amato infligge loro. Da un lato La Voix Humaine di Francis Poulenc, scritta nel 1958 sull’omonima pièce di Jean Cocteau, dove semplicemente una donna parla al telefono con il fidanzato in un dialogo a tratti allucinato, a tratti tragico; la figura femminile esce debole vittima di una relazione che arriva al capolinea dopo una telefonata dai toni sfiniti ed esasperati, da cui affiora man mano una psicologia della donna sfaccettata, contraddittoria e insicura.

Le fa da contraltare una musica piana, elegante, equilibrata, senza eccessi smodati, fatta anche di rispettosi silenzi, che accompagna il dipanarsi dell’azione senza mai emergere a protagonista. Solida voce, nella fragilità del suo personaggio, quella di Anna Caterina Antonacci, che solitaria e squisitamente nevrotica regge tutta la scena.

Da contraltare a questo dramma così moderno e precursore dei tempi (di relazioni che nascono, vivono e muoiono costantemente mediate e guidate dal mezzo comunicativo quante ve ne sono ogni giorno?), la Sicilia arcaica e passionale di fine Ottocento della Cavalleria Rusticana (1890) di Pietro Mascagni, dove Compare Turiddu, abbandonato dalla vanesia Lola, seduce per consolarsi la povera Santuzza, un po’ amata ma poi abbandonata quando la volubile Lola, ormai sposata, riapre le braccia a Turiddu. Ovviamente la tragedia è dietro l’angolo e il marito di Lola ammazza il rivale. Opera che apre la strada al genere del dramma verista, la partitura si costruisce su stilemi compositivi caratterizzati soprattutto dal richiamo alla musica popolare locale e a quella delle funzioni religiose: i paesani ballano e cantano in piazza e i personaggi stessi dialogano tra loro a suon di semplici melodie tradizionali dell’epoca. L’inventiva felice di Mascagni si spiega soprattutto nell’intensità melodica del rinomato Intermezzo (anticipato dal Regina Coeli della Messa di Pasqua, che ci prepara al sacrificio -senza risurrezione- del traditore Turiddu, Figlio ciecamente amato dalla madre); sì, ormai davvero non c’è più nulla di nuovo da dire su questo brano, e la Haydn ce ne restituisce un’interpretazione semplicemente corretta e senza troppi manierismi, come in generale di tutta l’opera, sotto la bacchetta a volte forse inutilmente energica di Francesco Ciluffo. Corretti, senza splendori, anche i vari interpreti; solo un Turiddu-Angelo Villari talvolta poco morbido e sopra le righe.

Un plauso a parte per la regia di Emma Dante, dove l’aspetto cromatico è cifra stilistica di entrambe le messe in scena: tutta e solo bianca e rosa, quasi un confetto vanitoso, quella de La Voix Humaine, fatta di due letti e due comodini che sembrano porre la scena in un albergo glam degli anni Sessanta, ma poi le pareti e il soffitto si chiudono a prigione, la luce si fa d’un bianco crudele, i letti diventano di metallo e la protagonista si ritrova rinchiusa in una casa di cura. Tre semplici strutture mutevoli a rappresentare gli edifici del paese, niente oggetti, abiti scuri da Sicilia premoderna e scene della passione di Cristo, con tanto di croce portata a spalle da un claudicante Cristo nero, per l’opera di Mascagni: non per perdonare, crediamo, quell’ignobile maschio che è Turiddu, ma a condividere l’atroce dolore della madre sofferente, come quello della Vergine che infine le pone sul capo il suo velo azzurro, corona di spine del martirio al femminile.

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