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I migranti a Bengodi

Secondo il presidente Fugatti il Trentino stava diventando il paese di bengodi per i richiedenti asilo

Bengodi, nella novella di “Calandrino” di Giovanni Boccaccio, è il paese dove, nel ‘300, “si legano le vigne con le salsicce” e dove “scorre un fiumicello della migliore vernaccia, senza una gocciola d’acqua”. Un paese di Cuccagna: le montagne sono di formaggio parmigiano grattugiato, le genti passano il tempo a cuocere maccheroni e ravioli, e ognuno se ne mangia a volontà.

Nell’intervista al Trentino del 1° novembre, il giorno dei Santi, il presidente Maurizio Fugatti spiega l’urgenza della stretta con la metafora letteraria: il Trentino per i migranti stava diventando il paese di Bengodi. In un’altra occasione, su Vita Trentina, i migranti sono paragonati a quei fantomatici trentini che per godersi la vita si trasferiscono a Montecarlo. Sono i nostri bisogni primari ad essere minacciati da chi viene da fuori.

Lo scorso anno alcuni volontari proposero un incontro elettorale alla Residenza Fersina: c’era una realtà da conoscere, non voti da conquistare o da perdere, perché i richiedenti asilo non votano. Un’esperienza dal vivo nelle sale, sui banchi e nei cortili dell’ex-caserma. Anche in mensa, dove scorrono a fiumi le leccornie. Le porte potevano aprirsi per una giornata di “educazione alla politica”, per i migranti, per i politici, per i cittadini. Dichiararono la loro disponibilità Giorgio Tonini e Paolo Ghezzi, Filippo Degasperi e Antonella Valer. Fu la mancata adesione di Maurizio Fugatti e di Ugo Rossi, il governatore uscente e quello entrante, a rendere impossibile l’incontro. Lo spazio era “inadatto”, fu la giustificazione del Dirigente generale della Provincia.

Nell’ascolto, e nel confronto, in quello spazio ristretto avremmo verificato se il Trentino era impegnato in uno sforzo di integrazione, o se stava diventando una “pacchia” a cui era doveroso mettere fine con lo slogan “Prima i trentini”. Anche “pacchia”, come Bengodi, è però letteratura, del ‘500, che parla alla pancia. Significa “mangiare in abbondanza, e con ingordigia”. Indica un fatto e un’emozione.

È giusto riconoscere che nelle tradizionali giornate di “porte aperte” alla Residenza Fersina, in cui operatori, volontari e migranti ci mettevano l’anima, i visitatori erano (quasi) sempre i soliti cinquanta trentini, già informati. Come puoi impegnarti nell’integrazione, e difenderla il giorno del voto, se non la conosci almeno un poco? Se immagini quelle stanze - è il pensiero di troppi - come degli hotel a cinque stelle, il paese di Bengodi appunto? Se non partecipi alla sfida, difficile, dell’incontro fra culture, lingue, religioni diverse? Anche, certo, fra pelli dai colori diversi.

Un’ultima osservazione. Fugatti, nell’intervista, riconosce che gli industriali trentini affermano di avere oggi bisogno di lavoratori stranieri. Non sa, il presidente, che chi vive a “Bengodi” è il lavoratore da formare, incominciando con l’insegnargli la lingua italiana e con l’imparare noi il rispetto persino della sua religione, fosse anche la musulmana? Non riconosce invece Fugatti, nel rispondere a Luca Petermaier, che anche i sindacati concordano con la Confindustria sul bisogno di lavoratori stranieri. Forse ritiene che ormai sia la Lega, e non più il sindacato, l’autentico rappresentante dei lavoratori?

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