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QT n. 2, febbraio 2022 L’editoriale

Una cagata pazzesca

Solo il buon Fantozzi avrebbe trovato le parole giuste per commentare il demenziale progetto del presidente Fugatti: un mega-concerto da 120.000 spettatori in un posto come Trento, un buco nelle montagne, tanto bello per tante cose, ma strutturalmente inadatto a mega eventi.

Occorrerebbe il buon Fantozzi, e la sua brusca sincerità, controcorrente rispetto all’ipocrisia prevalente.

Se Fantozzi se la prendeva, in un conformista cineforum degli anni ’70, con la “Corazzata Potemkin”, capolavoro invero un po’ bolso di retorica dell’altrimenti geniale Sergej Ejzenštejn, noi invece troviamo insopportabile il concerto trentino di Vasco Rossi, e il conformismo che finora lo accompagna.

Intendiamoci, non abbiamo niente contro Rossi, grande rocker italiano, che può anche vantare alcuni testi più che apprezzabili. E non abbiamo niente contro i megaconcerti in sé, sempre vergognosi dal punto di vista strettamente musicale, con acustiche inaccettabili, che però sanno offrire – ai tanti che sono disposti a lasciarsi trascinare – emozioni ed identificazioni.

Ce l’abbiamo con il concerto a Trento. Dovremmo ricordarcelo: Trento è una città alpina, un buco tra le montagne, come appare chiarissimo a chi la guardi dalla cima del Palon. Non è una città di pianura. La cosa comporta specificità, vantaggi – a iniziare dal turismo e dalla gradevolezza dell’ambiente: “Da qualunque parte della città si vede uno sfondo stupendo” diceva, forse un po’ esagerando, Renzo Piano. Ma comporta anche limiti. Spazio non ce n’è. E’ quindi inutile, controproducente, patetico, mettersi a scimmiottare le città di pianura, importandone le manifestazioni che abbisognano di vasti spazi. Tra le quali i megaconcerti da 120.000 persone.

Per tentare di realizzarlo, il presidente Fugatti, adiuvato dal sempre disastroso ing. De Col, sta forzando la natura, le convenienze e la logica. Si impermeabilizza un’area di 27 ettari, destinata originariamente alle colture biologiche, poi – ma solo in parte – ad alloggi militari, e la si toglie all’agricoltura; verrà buona, al massimo, per praticelli dalla stentata erbetta. Si smantella il punto vaccinale, nella fragile speranza che dopo la primavera non serva più, e che se servisse lo si reinstalla da qualche parte (paga Pantalone). Si blocca la città, a iniziare dalla tangenziale, dal pomeriggio fino alle 8 del mattino dopo, e chi va a lavorare di sabato si arrangi, e le scuole basta tenerle chiuse (DAD non più causa pandemia, ma causa Rossi?). Si intaserà l’A22. Si vaneggia addirittura di sospendere per alcune ore il traffico ferroviario sulla linea del Brennero. Si confida nello stellone: 120.000 persone in un’area non grandissima possono costituire un pericolo, anzitutto per se stesse, il piano della sicurezza non c’è, in qualche maniera arriverà quando saranno venduti tutti i biglietti e saranno finiti i lavori di allestimento, quando cioè non si potrà tornare indietro.

E tutto questo per cosa? Per sentire Vasco Rossi dal vivo, naturalmente, senza andare a Verona o Modena (dove invece si farebbe prima, i deflussi in città di pianura sono di un paio di ore, non di 8-9 come previsto da De Col a Trento). Per attirare turisti. Turisti? Non usiamo parole grosse, saranno persone che vengono, mangiano un panino, e scappano via, imprecando con Trento perchè dovranno camminare per ore per tornare ai mezzi di trasporto, per poi rimanere per altre ore imbottigliate.

Si argomenta che Trento ha ottimamente ospitato le adunate degli Alpini. Ma erano manifestazioni spalmate in diversi giorni, non in poche ore; i partecipanti avevano una cultura dell’arrangiarsi contando su se stessi, dell’adattarsi, del rispetto dell’ambiente, che poco ha a che spartire con le masse dei concerti. E questo è il punto: gli alpini esprimono una cultura che a molti può far storcere il naso, ma è nostra, viene dal nostro territorio, con esso si confronta e interagisce. I fan di un rockettaro sono tutt’altra cosa.

Insomma, anche se a Trento, in tanti – tra cui chi scrive – ascoltano con piacere Vasco Rossi, la cultura dei megaconcerti non c’entra con noi, e la pratica non c’entra proprio, fisicamente, col nostro territorio.

Se poi pensiamo che tutto questo costerà 2 milioni, si dice oggi, alla fine vedremo, siamo fuori da ogni logica. Si tagliano soldi alla cultura, alle biblioteche (tanto per cominciare agli abbonamenti) e li si sperpera in questa maniera? Per fare danni e creare disagi?

Appunto, una cagata pazzesca, direbbe Fantozzi. Ma sulla stessa lunghezza d’onda vale la pena ricordare Petrolini: “Io non ce l’ho con te, ma con quello che sta vicino a te e non ti butta di sotto” cioè oltre a Fugatti e ai suoi vaneggiamenti, è sconsolante vedere il conformismo di quelli che non osano dire che il megaconcerto è una fesseria. Timido il sindaco, timidissimo il Pd, che pur denunciando le carenze sulla sicurezza si è scappellato di fronte al progetto, non pervenuta l’università, silente il mondo della cultura, altrettanto il mondo ambientalista e la circoscrizione di Mattarello, che fanno fuoco e fiamme per temporanei cantieri per la ferrovia e nulla dicono su un’area agricola cementificata per il nulla.

Temiamo ci sia del metodo in questa follia. Una timidezza a dire che un fenomeno mediatico come Vasco Rossi va valutato per quello che è, e non ci si prostra ai suoi piedi. Insomma una grande carenza culturale, un disarmante provincialismo.

Speriamo di avere torto, e di sentire nel prosieguo qualche altra voce che segua il raziocinio e non il conformismo..