Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 6, giugno 2022 Cover story

La scommessa

Dalle associazioni imprenditoriali un nuovo quotidiano: contro il monopolio informativo. Anche contro il conformismo? E con quali probabilità di riuscita?

Fare un nuovo quotidiano, di questi tempi, è una pazzia. I lettori della carta stampata sono in calo ormai da anni, i costi viceversa salgono e negli ultimi mesi - a causa di energia e soprattutto prezzo della carta - addirittura si sono impennati.

Allora perché una buona parte del sistema imprenditoriale trentino ha deciso di diventare l’editore di un nuovo quotidiano a Trento?

Ce ne parla più sotto a lungo Fausto Manzana, presidente di Confindustria e grande promotore dell’idea. Ci parla di un giornale per la comunità, di un luogo in cui tutte le voci siano ospitate, di uno strumento per far crescere il Trentino nel suo complesso. Un giornale moderato, ma che non sarà, parole sue, né filo-governativo, né anti-governativo.

Ma alla sua visione complessiva noi aggiungiamo un dato più concreto. Nonostante tutto, un giornale di carta, un quotidiano, è ancora oggi lo strumento più autorevole per farsi sentire ad ogni livello.

L’operazione è complessa e rischiosa (ma “un rischio non è un azzardo”, ha sottolineato Italo Monfredini, vicepresidente della Federazione delle Cooperative che è l’altro grande sponsor dell’iniziativa) ma, grattando la vernice di molte belle parole spese nella conferenza stampa di presentazione, il 24 maggio scorso, esce il fatto che il quasi monopolio informativo in mano all’editore sudtirolese Michl Ebner stava parecchio stretto a molti.

Il nuovo quotidiano, di cui i promotori non hanno voluto svelare per ora il nome, uscirà a novembre prossimo e sarà un giornale di 40 pagine, con sei edizioni settimanali. La redazione sarà composta di 22 giornalisti più il direttore che, stando ad una quasi certa vox populi, dovrebbe essere Simone Casalini, ex Corriere del Trentino. La diffusione sarà capillare con “redazioni distribuite” - Manzana dixit - il che sta a dire che il giornale, almeno nelle intenzioni, riuscirà a coprire l’intero territorio provinciale.

La struttura proprietaria del nuovo giornale parte da una Fondazione, si chiama Synthesis, che riunisce i soci fondatori, tutte associazioni di categoria. A partire da Confindustria con Federazione delle Cooperative, per passare all’Associazione Artigiani, agli albergatori dell’Asat e ai costruttori dell’Ance. Sarà la Fondazione a possedere le quote della Srl che costituisce il braccio operativo, l’editore in senso legale, dell’iniziativa.

La discussione, all’interno delle categorie economiche, è stata lunga e travagliata. Da mesi le voci circolavano sull’iniziativa e su chi ci stava e chi no. Alla fine sono i commercianti che si sono chiamati fuori. Del resto, soprattutto per Confcommercio, sono noti i legami molto stretti tra il presidente Gianni Bort e l’editore dell’Adige Ebner e quindi era facile scommettere su come sarebbe andata a finire.

Ma, come ha sottolineato Manzana, le porte sono aperte e non solo ad altre associazioni imprenditoriali. L’invito è rivolto anche a soggetti rappresentativi della società trentina: sia singoli che associazioni. Ed anche a soci ordinari, che potranno entrare nella fondazione e farle “prestiti”. Perché dalla Fondazione viene il capitale necessario a far funzionare il giornale. Un’architettura complessa che definisce l’operazione come no-profit. Il quotidiano non cercherà di fare utili. Ma dovrà, ha sottolineato il presidente di Confindustria, arrivare all’equilibrio economico. Pena la fine dell’esperimento.

Fausto Manzana

Un’architettura che fa leva sulla forza del sistema, ma che porta con sé il problema di far convivere interessi non sempre coincidenti di soggetti collettivi. La sintesi, che da il nome alla fondazione, sembra essere la ricetta magica di Fausto Manzana per tenere insieme tutti.

Le difficoltà

E adesso passiamo al non detto. Ovvero a parecchi aspetti concreti sui quali, nel corso della conferenza stampa, si è glissato. E che sono vitali, anche se poco presenti nella mente dei lettori, quando si deve far uscire un giornale.

Punto primo e molto importante: la pubblicità.

È la vacca sacra dei quotidiani: se c’è, tutto funziona, se non c’è, difficile andare avanti, perché dalla pubblicità viene una quota molto consistente dei ricavi. Se le categorie economiche presenti nella Fondazione riusciranno ad indirizzare la pubblicità degli associati, magari unita a caldi inviti ad abbonarsi al nuovo giornale, allora potrebbero essere guai per il concorrente Adige. L’argomento non è stato nemmeno toccato in conferenza stampa.

Poi ci sono distribuzione e stampa. Perché puoi fare il giornale più bello del mondo, ma se non riesci a farlo arrivare in edicola… E il costo della distribuzione incide parecchio. Se n’è accorto Fausto Manzana che ha detto infatti di pensare a “forme innovative”. Ma per quanto ci piaccia l’idea di non morire ebneriani, solo il teletrasporto potrebbe innovare il modo di portare pacchi di giornali in giro per il Trentino.

La stampa. In Trentino, fino a pochi anni fa esisteva un’unica rotativa, quella dell’Adige (quasi nuova, per la durata di vita di una rotativa), poi smantellata da Ebner che ha deciso di stampare anche l’Adige a Bolzano, assieme al suo Dolomiten. Lì non sarebbe possibile per ovvie ragioni stampare il nuovo quotidiano. Oppure si va fuori provincia (costi che crescono). La più vicina è a Verona.

La nostra sensazione è che tutti questi aspetti non siano ancora del tutto definiti. Però si sa che a gestire questa delicatissima fase c’è un uomo con molta esperienza, l’ex amministratore unico dell’Adige, Luciano Paris.

Ecco. Finora non abbiamo parlato dello scontro sotterraneo con l’attuale quasi monopolista, che ha fatto di tutto per scoraggiare la nuova impresa. Con blandizie e minacce. Economiche, va da sé. Non ottenendo il risultato sperato di far desistere il futuro concorrente, Ebner avrebbe deciso - con mille condizionali perché si tratta di voci, sia pure ricorrenti - una mossa a sorpresa: riaprire il Trentino (il quotidiano) che ha chiuso solo un anno e mezzo fa.

Se la cosa sarà confermata, ci sarà da chiedersi quale sia la logica di un’operazione che sembra fatta solo per disturbare. Fateci dire una cosa di buon senso: ma non sarebbe meglio piuttosto rafforzare l’Adige (a cui ha imposto tagli alla redazione sotto forma di contratti di solidarietà) cosicché avremmo - oltre a una vera pluralità informativa - forse anche un Adige migliore? Che senso ha editare due giornali debolucci invece che uno forte, magari reso più credibile abbandonando l’attuale linea editoriale, del programmatico appiattimento sulle veline di Piazza Dante?

Il giornale e il potere

Questi, si dirà, sono problemi di Ebner. In realtà sono problemi anche di Fausto Manzana, e soprattutto del Trentino. Come abbiamo più volte rilevato, la nostra provincia è stata sempre caratterizzata da una peculiare situazione editoriale: la compresenza di due quotidiani (L’Adige e l’Alto Adige poi divenuto il Trentino), cui talora se ne aggiungeva un terzo (il Gazzettino o recentemente il Corriere del Trentino). Situazione pressoché unica nella provincia italiana, che generava una forte concorrenza, col giornale più forte che si adagiava sugli allori e sulle veline governative, e il più debole che intraprendeva una funzione critica, col tempo raggiungendo e superando il rivale. Per poi continuare il gioco a ruoli invertiti.

Michl Ebner

E così oggi L’Adige del monopolista Ebner si è appiattito sul potere locale per una scelta evidente della proprietà, vista anche la scelta del direttore (Alberto Faustini, non propriamente un rivoluzionario), mentre il Corriere si accontenta di un ruolo marginale, non certo di pungolo; quale sarà il ruolo del nuovo quotidiano? E’ a partire da questo tema che abbiamo intervistato Fausto Manzana.

Quale funzione intende svolgere il vostro giornale rispetto al potere politico? Tenendo presente che voi rappresentate buona parte del potere economico.

Cominciamo col dire che sicuramente io sono anomalo rispetto ai poteri forti. Non conoscevo Confindustria fino a quando non mi è stato chiesto di impegnarmi in questo ruolo, e dopo una contrarietà iniziale, capite le motivazioni per un mio impegno, mi sono detto ‘Beh, ho sessant’anni se non lo faccio ora, quando?’. E da lì mi sono messo a disposizione.

Questo per Confindustria. E per il giornale?

Ragioniamo sui numeri. Quando è nata l’Autonomia il Trentino aveva un Pil pro capite che era circa il 75% rispetto a quello italiano. Eravamo molto poveri. Dopodiché è una crescita, parallela a quella dell’Alto Adige,che ci ha portati, una quindicina di anni fa a circa il 130% del Pil italiano. Ma noi siamo arrivati a un plateau, e siamo ancora lì, mentre Bolzano cresce e arriva al 160%. Posso dire che potremmo essere un filo più ambiziosi? Perché non riusciamo più a crescere? Secondo me è un problema di classe dirigente. Dove, accanto alla politica, alla pubblica amministrazione c’entra sicuramente anche l’impresa. C’è l’impresa, c’è, ci sono tutte le figure. Cosa manca? Manca quello che io considero un dibattito proficuo e poi l’assunzione di scelte

Quindi il vostro focus è la mancanza di una classe dirigente, dovuta all’assenza di dibattito?

Questa è una ipersintesi: mancano i dirigenti perché abbiamo un benessere diffuso, una voglia di mantenere lo status quo, che sta portando i nostri giovani a preferire sempre più le vivacità che offre il mondo rispetto a quanto offriamo qui. E qui si può arrivare alla politica, dove distinguerei tra politica e sistema dei partiti. C’è stata una grave disaffezione alla politica dovuta al brutto esempio dato dai partiti.

In conferenza stampa lei ha sottolineato la necessità di essere inclusivi rispetto a chi viene nel nostro territorio. E’ questo un problema della politica?

Assolutamente sì. Partendo dai dati demografici, è oggettivo che noi dobbiamo tendere ad essere multiculturali. Naturalmente dobbiamo dare, ma anche pretendere rispetto; però non si può immaginare di risolvere i problemi chiudendoci al resto del mondo, cui non riconosceremmo pari dignità. Sarebbe una visione miope, che alla lunga non reggerebbe.

Cane da guardia? Non proprio

Torniamo al giornale: è il cane da guardia del cittadino rispetto al potere?

Non direi. Il giornale dovrebbe ospitare le tante difformi idee sulle proposte, dibattere, trovare spazio per qualsiasi tema e d’altra parte dar voce anche a quel partito dei sì che io trovo particolarmente poco rappresentato sui media. Questo perchè penso sia oltremodo opportuno alla fine fare le valutazioni e assumere delle scelte.

Prendiamo il caso del NOT: le nostre inchieste giungono alla conclusione che la Pat ha voluto a tutti i costi far vincere il progetto che non aveva nessun titolo per vincere. Quando noi presentiamo argomenti e dati ai nostri colleghi loro pubblicano invece le veline della Provincia; mentre invece gli uffici giudiziari si muovono sulla nostra falsariga. A noi sembra che i giornali abbiano il problema di non volersi mettere contro piazza Dante.

Io non credo. Non in questo caso perlomeno. Sul NOT mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Io vivo di sanità, conosco fin troppo bene. Ho smesso di leggere soltanto recentemente le cose che riguardano il NOT. È triste.

Lei pensa che le categorie economiche riusciranno a marciare tutte allo stesso passo in questa operazione del giornale? Dopo l’entusiasmo iniziale ci possono essere dei problemi, ad esempio legati a quello che un giornale può scrivere su determinate operazioni. Vediamo un caso: l’ipotesi presentata da Mak Costruzioni di un project financing per l’ospedale di Cavalese. Lì l’ANCE è tra i soci che sostengono questo giornale. Secondo lei quanto sarà difficile mantenere coesione e coerenza? Perché voi avete bisogno del supporto delle categorie. Forse non tanto in termini di esborso economico, quanto di vero supporto con abbonamenti e pubblicità.

Beh, Confindustria ha 600 imprenditori, non 600mila. Siamo veramente pochi. Gli artigiani sono tantissimi, molti di più, della Cooperazione non parliamo. In qualche modo l’idea è di provare a far sintesi, di ospitare idee su come sarà la sanità del futuro.

Più terra terra, il giorno in cui il nuovo giornale deve dire: signora Mak, hai cannato, quello che proponi non va bene. Come fa a farlo se la Mak è membro, influente, di uno dei fondatori?

Io la vedo molto semplice. Un progetto del genere deve ottenere l’interesse pubblico. Abbiamo le idee chiare su quello che sarà la sanità del futuro? Se quell’ospedale farà parte di quel disegno non vedo problema. Se non ne farà parte non potrà esserci un sostegno a un progetto semplicemente per il gusto di costruirlo.

Però noi avevamo detto che i giornali, di questa situazione, non scrivono niente.

Il nostro giornale dovrà scrivere rispetto a come sarà il nostro futuro in termini di ospedali di comunità, e centrali operative territoriali.

Lei è l’editore di questo giornale. Non tanto nel senso legale, quanto nel senso “politico”. Lei ha una visione condivisa con i soci fondatori, ma quale sarà il suo ruolo specifico?

Intanto vedremo se riusciremo a meritarcelo oppure no. L’idea è di creare qualcosa di davvero indipendente. Quanto a me, mi immagino, come mi piace definirmi anche in azienda, un costruttore di campi da calcio, dove sono altre le squadre che giocano la partita. A me preme costruire una squadra cui sia garantita libertà di scelta. Al direttore prometto due cose da parte mia: serietà, e che nessuno gli andrà a tirare la giacca. Che scriva cose che mi piacciono o meno. Perchè penso che sia giusto così, il giornale nasce per la comunità. Altrimenti non sarebbe una fondazione, ma un’avventura imprenditoriale. Non è quello che abbiamo fatto.

La scelta della fondazione è anche dovuta ai contributi per l’editoria, più alti per una fondazione?

Non è questo nei conti. I contributi arrivano al terzo anno o quarto, non lo so. La questione è etica. Noi vorremmo anche aggregare altri oltre ai soci fondatori, immaginando che possa nascere un qualche tipo di associazione “amici del giornale”.

Quindi un azionariato diffuso?

Assolutamente sì.

Differenza notevole rispetto al vostro concorrente che è un’impresa di proprietà familiare.

È una società di una famiglia che, come la mia azienda, fa i suoi conti. Con la nostra fondazione invece nessuno guadagnerà un euro, dovrà esserci sostenibilità sociale, ambientale, e poi anche economica. Se non abbiamo un equilibrio economico la cosa non è destinata a proseguire.

Per quello che lei ne sa, perchè le categorie economiche, quando l’Adige era in vendita, non sono riuscite – o non hanno voluto – comprarlo?

So che ci sono state delle negoziazioni. Hanno portato avanti questa cosa, ma alla fine servivano i denari e il coraggio di assumere la decisione.

Quindi torniamo al discorso di mettersi in gioco, di rischiare?

Sicuramente sì.

Conclusioni

In Trentino, anche nei momenti migliori i quotidiani mai sono stati indipendenti dal potere economico, le pagine dell’Economia, anche quando curate da professionisti validi in altri settori, sono sempre state fiacche. Quindi riteniamo difficile che, nonostante gli ottimi propositi di Fausto Manzana, un giornale di proprietà delle categorie economiche riesca ad essere, quando si parlerà di aziende, libero da condizionamenti. Lo potrà però essere su tanti altri fronti, e si spera possa non solo rompere l’anomalo monopolio di una famiglia sudtirolese sulla stampa trentina, ma anche, grazie alle logiche della concorrenza, rivivificare l’insieme dell’informazione, ultimamente adagiatasi su un desolante conformismo. E sarà senz’altro un caso, ma il giorno stesso della presentazione del nuovo giornale, L’Adige si risvegliava dai comodi torpori, e per la prima volta sul NOT si distaccava dalla disinformacja fugattiana, e sul concerto di Vasco osava addirittura contestarne alla radice il senso culturale ed economico.

Sarà stata una coincidenza. Eppure la concorrenza in genere produce effetti. Per questo ci sentiamo di augurare il miglior successo a Manzana e alla sua non facile impresa.