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QT n. 5, 4 marzo 2000 Servizi

E noi studenti possiamo dire la nostra?

Il concorsaccio di Berlinguer ha sollevato non solo la protesta di Cobas e Gilda (sindacati autonomi degli insegnanti) cui hanno aderito massicciamente insegnanti, ma anche la contrarietà dell’Unione degli studenti. Quello che lascia perplessa l’associazione studentesca, è la concezione della scuola fondamentalmente aziendalistica (peraltro sottesa anche nella recente riforma sull’autonomia scolastica) della proposta: un aumento degli stipendi di 6 milioni lordi annui a una ristretta fascia di insegnanti mediante un concorso meritocratico. Alla base del progetto, del resto fumoso nelle sue modalità di attivazione, sta il concetto errato di una meritocrazia che Berlinguer avrebbe voluto applicare mediante oscuri test di verifica, altrettanto misteriosi progetti alternativi presentati dagli insegnanti e, somma idiozia, con simulazioni di lezioni in classe, il tutto valutato da commissioni composte da ex-insegnanti.

Anzitutto pare un po’ presuntuoso pretendere di punto in bianco di aver trovato la soluzione ideale per giudicare la qualità dell’insegnamento, quando ormai da anni a livello europeo tramite l’Ocse si tenta di venir a capo del problema con studi e ricerche non ancora approdate a soluzioni accettabili. E poi agli studenti pare grave la totale mancanza della componente studentesca tra i soggetti da interpellare in merito alla qualità dell’insegnamento. Lo studente non viene minimamente preso in considerazione come parte del sistema scolastico e categoria pensante, in grado quindi di formulare giudizi ed avvertire esigenze anche in merito a chi sta dall’altra parte della cattedra. Ma al riguardo non c’è di che stupirsi: un simile atteggiamento è in linea con la politica del "non ascolto" finora adottata da Berlinguer con la totalità delle componenti del mondo della scuola.

Altri limiti? La velleità dell’idea di migliorare la qualità dell’insegnamento con incentivi a una fetta così ristretta di insegnanti (150.000 su 530.000); il pericolo di creare rivalità e rancori nel corpo docente; l’esclusione dal progetto degli insegnanti giovani che in realtà sono spesso i più volonterosi ed appassionati.

Insomma quella del concorsaccio sembra la tradizionale soluzione all’italiana, in cui anziché affrontare un problema con serietà, apertura al dialogo e, soprattutto, studio e ricerca preventivi, si tenta di rattopparlo in malo modo con soluzioni di compromesso, ambigue e inefficaci.

Certo, il problema della qualità dell’insegnamento rimane, è anzi uno dei più sentiti dagli studenti. La realtà di chi vive la condizione studentesca è purtroppo quella - senza per questo voler generalizzare, e con le dovute eccezioni - di insegnanti demotivati, asettici e noiosi, spesso incapaci di comunicare la materia in modo efficace o di interagire con gli studenti superando lo stantio sistema della lezione frontale. Eppure ci troviamo di fronte a persone dalla preparazione - quasi sempre - ineccepibile, talora molto approfondita.

Il problema è che il criterio su cui si basano i concorsi per insegnanti è esclusivamente la preparazione e conoscenza della materia; ma per essere un buon docente ciò non basta; ci vuole passione, capacità comunicativa, competenze psicologiche e pedagogiche quantomeno di base. Occorre insomma conoscere anche le tecniche migliori per facilitare l’apprendimento e per mettere lo studente nelle condizioni di essere un interlocutore protagonista della propria formazione, e non un contenitore in cui viene travasata una conoscenza che rimane pur sempre estranea, e pertanto destinata, così com’è stata senza sforzo travasata, ad essere altrettanto facilmente dimenticata.

Certo, sarebbe troppo pretendere dagli insegnanti passione, amore per il proprio mestiere, cambiamento dei metodi di insegnamento, senza considerare che sono tra i meno pagati d’Europa e che si sono trovati in pochi anni al centro di vere rivoluzioni copernicane, come la riforma dei cicli e quella sull’autonomia scolastica, senza avere avuto altre possibilità oltre a quella di adattarvisi, con un senso di smarrimento credo non molto inferiore a quello degli studenti.

Insomma migliorare la qualità dell’insegnamento è un imperativo, ma non ci sono scorciatoie. La via da percorrere è quella innanzitutto dell’ascolto democratico di tutte le componenti (studenti compresi, una buona volta); e l’individuazione di nuovi criteri, che tengano conto non solo delle conoscenze degli insegnanti, ma anche della capacità comunicative e didattiche; l’adeguamento delle retribuzioni agli standard europei; e la possibilità di più capillari e continui aggiornamenti e riqualificazioni. Per questo agli studenti il dietrofront di Berlinguer pare un segnale positivo, anche se dettato più dall’uragano di proteste che da una reale volontà di ascolto.

Ciò che più sgomenta è l’inquietante quesito che emerge da tutta la vicenda: per ottenere confronto, ascolto e dialogo è davvero inevitabile dover sempre scegliere la strada della rottura e dello scontro a cose fatte? Ce lo siamo chiesti molte volte, noi studenti, non solo in merito alle riforme ministeriali, ma anche dietro ai banchi, a scuola, giorno per giorno, e la risposta, purtroppo, si autoafferma con tutta l’evidenza che l’uso prepotente del potere sa avere.