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L’odore dei soldi

Centro-sinistra, Berlusconi, mafia e questione morale. Con Marco Travaglio un'assemblea elettorale, che spiega perchè il centro-sinistra doveva vincere, e perchè invece ha perso.

C’è un nuovo re, viva il re! – si diceva un tempo. Giusto. La vittoria di Berlusconi è legittima. Però siamo in democrazia, non in monarchia: e vale quindi la pena di rivedere come questa – resistibile e incredibile – ascesa, sia stata possibile. Perché la storia ha molto da insegnarci, per l’oggi e per il futuro. Riferiamo quindi della serata preelettorale in cui in un Auditorium pieno, ("Non ho mai parlato a un pubblico così vasto") Marco Travaglio ha presentato il suo celebre best-seller "L’odore dei soldi".

"Illustrerò solo un caso, quello del fattore Mangano" ha esordito. E con fare spigliato, brillante, ha raccontato la storia a un uditorio tutto orecchie. E anche chi già ne conosceva le grandi linee, è rimasto esterrefatto. Dunque Mangano, pregiudicato, mafioso, soggiorna per una decina di anni ad Arcore nella villa di Berlusconi, "in qualità di fattore" si giustificheranno il padrone di casa e il suo braccio destro Marcello Dell’Utri, che Mangano aveva per così dire assunto. Il fatto è che Mangano continua a delinquere, subisce condanne, organizza addirittura – sembra una telenovela - un sequestro ai danni di ospiti spagnoli dello stesso Berlusconi: ma le porte della villa gli sono sempre aperte. Travaglio legge verbali di interrogatori, sentenze, intercettazioni telefoniche: non ci può essere dubbio alcuno, Berlusconi e Dell’Utri sapevano con chi avevano a che fare, un noto mafioso, indicato – aggiungiamo noi – da diversi pentiti in maniera esplicita, e da Borsellino in maniera velata, come il referente della mafia nel nord Italia, per curarne gli investimenti in attività legali. Brivido per la schiena.

Ma urge riflettere.

Perché tutta la documentazione riportata per sommi capi da Travaglio, fa parte di atti della Commissione Antimafia. "Guardale quelle carte - mi hanno detto – tanto, a nessuno della Commissione gliene importa nulla" rivela il giornalista. Questo è uno dei (tanti) punti dolenti: il ceto politico, avversari di Berlusconi inclusi, non ha mai inteso esercitare la propria funzione di controllo. Su questo, come su millanta altri casi.

"Spetta alla magistratura giudicare" è stato l’indecente ritornello. "Non attaccherò il mio avversario sul piano dei suoi problemi giudiziari."

Ma come? Ospitare in casa per dieci anni un mafioso non è un reato; e la magistratura, se non prova altro, certificherà l’innocenza dal punto di vista penale. Ma dal punto di vista politico il problema è grande come una casa: come si comporterà l’amico dei mafiosi in Parlamento? E perché i suoi oppositori non denunciano, e con forza, tutto questo? Bensì si trincerano dietro un bon ton corporativo ("Non attaccherò il mio avversario…")? Ma, per dio, è dovere di un rappresentante vigilare sull’integrità delle istituzioni! Negli altri paesi occidentali, per infinitamente di meno si costringono personaggi politici di statura storica (pensiamo a Kohl in Germania) alle dimissioni: da noi non si attacca l’avversario, non si approfitta, da gentiluomini, "delle sue disavventure".

Giustamente nel dibattito si è approfondito questo tema, e il candidato Kessler ha proposto – su scala minore, ma perfettamente calzante – l’esempio dell’ex-presidente della Pat Mario Malossini, riconosciuto responsabile in via definitiva di un episodio di corruzione, ma essendo il reato prescritto perché è passato troppo tempo, reintegrabile, secondo una scuola di pensiero, in società pubbliche.

Ma non è tutto. La corresponsabilità del centrosinistra non è stata solo quella dell’omesso controllo. C’è stato anche un lavoro attivo: sul piano culturale, contribuendo alla delegittimazione dei giudici; sul piano politico, operando delle nomine come minimo inadeguate (la più eclatante, quella a capo dell’Antimafia di Ottaviano Del Turco, discusso personaggio del sottobosco sindacale, ignorantissimo di diritto e di mafia, che ha passato il suo mandato a polemizzare con i magistrati dei pool); sul piano legislativo, contrattando con Berlusconi tutta una serie di modifiche all’ordinamento giudiziario - dal "giusto processo" in poi, vedi su QT i tanti scandalizzati articoli di Renato Ballardini e Giorgio Tosi, ad es.

Papè Satàn, Papè Satàn, aleppe! (n°8 del 21.4.2001) "Giusto processo": il diritto al silenzio (n°6 del 24.3.2001) La svolta di Fassino (n°22 del 9.12.2000)

- che hanno scardinato la già ansimante giustizia penale, rendendo, con il gioco dei rinvii e delle prescrizioni, praticamente impossibile ogni condanna a un imputato assistito da un valido ufficio legale (cosa di cui difatti si è più volte avvalso Berlusconi).

Un disastro: morale, civile, politico.

Perchè? E’ stata la domanda più volte posta dalla sala.

Travaglio ha dato tre ordini di risposte. Primo: il calcolo del furbissimo D’Alema, di non affondare, bensì coltivarsi l’avversario debole, ricattabile per via dei problemi giudiziari, delle concessioni per le Tv, del conflitto d’interessi, tutte cose da tirar fuori nei momenti opportuni (e si è visto come è andata a finire). Secondo: l’idea di arginare il potere giudiziario, considerato comunque fastidioso e limitante, per un ceto politico arrogante e con qualche scheletro nell’armadio. Terzo: secondo il PM Gherardo Colombo in Italia tutti sono ricattati, basta minacciare l’uscita di un qualche dossier…

Quando la serata si è chiusa, il pubblico se ne è andato con l’amaro in bocca. Comunque convinto per chi e contro chi votare domenica 12 maggio. Ma anche più consapevole, se una sconfitta ci sarebbe stata, delle sue cause.